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Feste nazionali a confronto: la Diada catalana

de Stefano Puddu Crespellani

Ogni popolo ha la sua ricorrenza nazionale. Quello che per la Sardegna è (o dovrebbe essere) Sa Die, per la Catalogna è la Diada. È interessante conoscerne origine e significato.

Molto prima delle Torri gemelle di New York, nel 2001, o del colpo di stato in Cile, nel 1973, l’11 settembre è una data marcata a fuoco nella memoria dei catalani, tanto da farne la loro festa nazionale. Un momento di gran significato civile che viene vissuto da tutto un popolo nelle piazze di città e paesi, con l’esibizione di bandiere ai balconi e atti di commemorazione che cominciano dalla sera prima. 

I fatti evocati risalgono al 1714 e la prima volta che ti spiegano che si tratta dell’anniversario di una sconfitta si rimane un po’ interdetti. L’11 settembre, infatti, è l’ultimo giorno di resistenza della città di Barcellona davanti all’esercito borbonico, dopo 14 mesi di assedio. È l’epilogo, almeno per i catalani, della Guerra di Successione spagnola (tra le cui conseguenze ci fu il conferimento della corona sarda ai Savoia): Asburgo contro Borboni. La Corona d’Aragona avrebbe preferito un’alleanza con la monarchia asburgica, più disposta a concedere margini di autogoverno, al modello di stato centralizzato dei Borboni. 

L’11 settembre rappresenta quindi lo spartiacque storico e simbolico tra la condizione di autogoverno della nazione catalana e la perdita drammatica di questa condizione. Col Decreto di Nuova Planta, approvato poco dopo, vengono abolite le istituzioni politiche e abrogate le leggi vigenti. La Catalogna cessa di essere una nazione libera e diventa un territorio sconfitto e annesso militarmente alla Corona spagnola di Felipe V. 

Per cui ci si domanda: come può questa sconfitta essere motivo di celebrazione del sentimento nazionale? Il fatto che la risposta sia affermativa esprime molto bene il senso della specificità catalana. L’11 settembre è un memento, un atto di memoria collettiva: prima di quel giorno, i catalani erano una nazione libera, forte di una lunga storia, iniziata prima dell’anno mille; una nazione prospera, riconosciuta nel contesto europeo, evoluta nell’economia, nella legislazione civile e commerciale, nella cultura, nelle istituzioni sociali. La coscienza storica, per i catalani, è importante, perché è nella storia che radica la propria autostima. 

Ma non è solo per ricordare la forza di quella piccola nazione, e l’eroismo dei suoi cittadini nel difenderla da un esercito molto superiore, che si festeggia l’11 settembre: serbare la memoria della libertà perduta serve per non dimenticare quello che, da allora, è l’obiettivo principale della nazione: riconquistarla.

Direi che c’è anche un altro punto, non meno importante, che viene festeggiato nella diada, e questo non riguarda il passato ma il presente: i catalani festeggiano, anzi celebrano, come si dice qui, il sentimento di essere nazione, di aver conservato la lingua, le tradizioni, la coscienza nazionale, nonostante tutti i tentativi di annullarla. Non sono stati pochi, in questi ultimi tre secoli. 

La festa dell’11 settembre è capace di mobilitare l’intero popolo, e le bandiere ai balconi non sono un arcaismo puramente formale. La data venne sancita dal Parlament nel 1980 come festa nazionale ufficiale, ma lo era già nei fatti. E ancor più lo è diventata a partire dal 2010, l’anno in cui il Tribunale Costituzionale spagnolo revocò una serie di articoli del nuovo Statuto della Catalogna, approvato prima dalle Cortes di Madrid e poi, col referendum, dal popolo catalano. Una decisione che suscitò un’ondata di indignazione straordinaria in Catalogna. Nel giro di pochi giorni, fu convocata una manifestazione che riempì le strade di Barcellona con più di un milione di persone. Sullo striscione che apriva il corteo era scritto: «Siamo una nazione, abbiamo il diritto di decidere».

Questa manifestazione venne ripetuta, con ancora maggiore affluenza, l’11 settembre del 2010, che fu propriamente la data d’inizio del procés nonché la prima di una serie di manifestazioni impressionanti, organizzate meticolosamente dall’ANC, l’Assemblea Nacional Catalana, associazione nata con il preciso proposito di organizzare in modo trasversale il movimento indipendentista.

A partire da quel momento, la diada diventa l’appuntamento imprescindibile in cui rendere visibile la vitalità e forza del movimento indipendentista, nonché per attivare un merchandising capillare — attraverso le sezioni locali dell’ANC, diffuse in tutto il territorio — per finanziare tutte le azioni: un dettaglio non secondario. 

Chi ha vissuto quelle giornate conosce bene il sentimento di forza civica, di entusiasmo collettivo, che trasmette questa mobilitazione. Che nasce da un intenso lavoro di coscientizzazione che dura tutto l’anno, con conferenze, attività di autoformazione e incontri organizzativi. Si può dire che è stato questo processo di «empowerment» della base sociale e civica ciò che ha reso possibile vincere la tremenda sfida lanciata allo stato spagnolo con il referendum del 2017, dichiarato «illegale» ma che venne fatto lo stesso, malgrado tutto.

In conclusione, la festa nazionale dell’11 settembre è stata determinante nello svolgersi del procés verso l’indipendenza, per il suo significato storico e la capacità di coinvolgere il popolo. Lo sarà ancora, in un modo o nell’altro, anche dopo le prossime elezioni della Comunitat, il 12 maggio 2024. Se il risultato è incerto, una cosa è sicura: l’11 settembre del 2024, a 310 anni dal 1714, il popolo catalano sarà di nuovo in piazza per manifestare la propria volontà davanti al mondo.


Immagine: reve.me

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