Viaggiare, curarsi, istruirsi: il deficit di sentire il deficit di Marcello Fois
de Ivan Monni
Dalle pagine della Nuova Sardegna Marcello Fois lancia un appello a colleghi scrittori ed intellettuali sardi.
La richiesta è un guazzabuglio non specifico sull’azione (petizione? Manifesto? Invito alla disobbedienza civile?) che i colleghi tirati in causa dovrebbero compiere e sulla controparte cui l’azione dovrebbe rivolgersi (Governo sardo? Italiano? Europeo?). Per ulteriori informazioni, contattare in privato.
Ponendo l’accento sulle drammatiche problematiche Fois mette il dito nella piaga, ma nel farlo commette il solito errore che viene perpetuato dall’unità d’Italia in poi: pensare che esista un deficit strutturale in quanto sardi, e che il malgoverno non dipenda appunto dal malgoverno.
Il problema nasce dal sentirsi cittadino della “Nazione” (scritto proprio in maiuscolo) italiana, in cui Fois svela il suo nazionalismo, e il suo confrontarsi con chi vive in continente, vissuto come una mancanza: il “deficit di essere sardo” (“Fino a che punto l’essere sardi è diventato un deficit, per chi vive in Sardegna“).
Per Fois vivere in Sardegna è “diventato” un deficit. Quando lo è diventato? Non nel periodo nuragico ovviamente. Neppure in quello giudicale, visto che nella Corona de Logu non esiste nessun articolo sull’insularità. I Giudici avevano rapporti commerciali e istituzionali con re e repubbliche europee.
Forse per Fois è diventato un deficit con la perdita dell’indipendenza e con il successivo passaggio ai piemontesi?
Ad esempio, a fine ‘800 una politica errata italiana, con l’obiettivo di difendere gli interessi del nord, istituì una tassa doganale contro la Francia, che mise in ginocchio le esportazioni agroalimentari sarde, causando il fallimento del sistema bancario sardo.
Il sistema sardo, era già un’isola anche allora, esportava e commerciava, a dimostrazione che l’insularità non era mai stata un problema, visto che il trasporto su mare costa meno rispetto a quello terrestre.
Forse Fois pensa al deficit come dovuto alle cattive politiche italiane e quindi pensa a come riformare il rapporto tra Sardegna e Italia?
Oppure, Fois perpetua ancora una volta la falsa idea che essere sardi è diventato un deficit strutturale, in quanto sardi, in quanto “poco imprenditori”, in quanto abitanti di un’isola, in quanto “divisi”, in quanto “da soli non ce la facciamo”, e altri falsi luoghi comuni simili?
È la vecchia idea, storicamente infondata, che da soli saremmo incapaci di autogovernarci e che quindi questo deficit debba essere colmato con l’aiuto del colonizzatore esterno.
Una visione assistenzialista e pietitora di cui già parlava Tuveri, quando si schierava contro gli appelli degli intellettuali volti a chiedere maggior aiuto:
“Molti però fra quelli che si assumono di parlare in nome dell’Isola […] m’hanno l’aria di limosinanti, anziché di oratori d’un popolo, che sente la propria dignità, e che si crede in grado di farsi rispettare. Un tempo era la povera, ora è l’affamata Sardegna, che grida, senza posa: Misericordia!”
L’esatto contrario di ciò che è necessario: recuperare la fiducia dei sardi nei sardi, uscire dagli stereotipi angusti, e intraprendere un percorso di emancipazione e autodeterminazione.
Fotografia: festivalletteraturemigranti