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Vento di rivolta in Sardegna

Riceviamo da Giovanni Ugas e pubblichiamo un testo che tratta di problemi storici irrisolti e di nuovi, emersi con l’attacco speculativo alla Sardegna, nel nome della transizione energetica.
Il testo, data la sua lunghezza, sarà suddiviso in tre parti.


Tante cose sono state dette e scritte sui tormenti dei Sardi e questo frettoloso scritto, lontano dalla storiografia del lamento, vuole essere un rapido richiamo alle ragioni della loro ribellione, a lungo sopita, che oggi sta esplodendo. I Sardi sono stanchi di soffrire in silenzio e la loro rivolta proviene dal cuore e dalla testa. La goccia che fa traboccare il vaso nasce dall’ennesima, perfida, iniziativa nei confronti della loro terra: un assalto nel nome della transizione energetica che, per come si prospetta, mette in pericolo non solo il paesaggio e i valori culturali ma la stessa identità del popolo sardo. 

La creazione di tanti comitati spontanei e la raccolta di oltre 210.000 mila firme contro l’invasione speculativa che si nasconde dietro il messaggio del progresso salutare ed economico è solo un sintomo del sentimento di rivolta che agita i Sardi. Li spinge non una azione politica contro o pro un partito o una coalizione del governo regionale o italiano, come talora sostengono i giornali della penisola, ma la paura del domani che si profila assai peggiore del presente già insopportabile. I Sardi sono giunti al limite della tolleranza della loro infelice condizione e non combattono affatto contro le energie rinnovabili ma contro la insaziabile voracità degli speculatori, non diversamente da tanti cittadini della Regione Friuli Venezia Giulia e di altre regioni italiane (Puglia, Calabria, etc. ). 

Oggi i Sardi intendono respingere lo sbarco nell’isola dei falsi profeti della ricchezza e del progresso e vogliono costruire un futuro sereno e senza lacci perché la loro coscienza si ribella alle ingiustizie e alle ingordigie dei potenti. Saranno vani i tentativi dei parlamentari italiani di controllare questa rivolta con ipocriti sostegni o di demonizzarla con ulteriori decreti e leggi perché gli abitanti della Sardegna vogliono percorrere con grande determinazione il cammino della speranza in un futuro migliore, cammino che passa anche attraverso la rimozione delle cause del loro profondo malessere. 

1. La Sardegna incatenata

Le straordinarie caratteristiche naturali della loro terra, le vicende della sua lunghissima storia, la lingua e la cultura sostengono che i Sardi sono un popolo distinto dagli altri, ma non sono liberi come altri da quando Cartagine, oltre 2500 anni fa, li rinchiuse con un recinto di navi. In seguito come i Cartaginesi, hanno deciso che la Sardegna era una loro terra Romani, Vandali, Bizantini, Pisani, Genovesi, Aragonesi, Spagnoli, Austriaci, Piemontesi e Italiani. Anche la Corsica l’isola sorella, ha subito una sorte analoga e la Liberté e la fraternité se le tengono stretta i Francesi e la tolgono ai Corsi. Sardi e Corsi non possono stare insieme; lo vietano le catene che si stringono intorno ad essi. Benché si proclamino paesi libertari, Francesi e Italiani operano con spirito coloniale e ad essi non importa che Sardi e Corsi siano popoli vicini e fratelli. 

Dopo il crollo dell’impero Bizantino, qualche tempo prima del 1000 dopo Cristo, la Sardegna aveva acquisito la sua indipendenza dal dominio straniero con i Giudicati, ma dopo le mire espansionistiche di Genova e Pisa non poté mantenerla per l’intervento di papa Bonifacio VIII che, verso la fine del sec. XIII, preoccupato per l’avanzata degli Arabi e per il suo potere temporale, fece dono arbitrariamente del regno di Sardegna agli Aragonesi costringendo i Sardi a una guerra ingiusta e a un sacrifico di sangue. Da allora, da un padrone all’altro, di dono in dono come un monile qualsiasi, la Sardegna è finita nelle mani dei Piemontesi e poi dell’Italia. Alla fine del dominio spagnolo, dopo una fugace transizione all’impero austriaco, l’isola non decise liberamente di essere aggregata al Piemonte nonostante che il nome di Regno di Sardegna assunto dai Savoia senza corona, faccia pensare diversamente che la Sardegna occupò il Piemonte. Ancora con questo equivoco, il Regno di Sardegna ha costruito l’unità d’Italia e per l’Italia l’isola ha versato il suo sangue. Nella sostanza, il popolo sardo ha perso l’indipendenza per un grave sopruso, ma l’Italia che non ha alcun sentimento di riconoscenza calpesta sistematicamente la sua autonomia. 

2. La Sardegna fuori dall’Europa

La Sardegna è una Regione Autonoma a Statuto Speciale, ma di fatto ha poche competenze primarie e anche su quelle lo Stato italiano tende a imporsi invocando le sue priorità nazionali. Lo Stato favorisce le regioni più popolose ed economicamente più forti e non c’è da meravigliarsi se i Sardi non possono eleggere neppure un rappresentante per il parlamento europeo a causa di una subdola legge che gli stessi Sardi vorrebbero cambiare e che i politici italiani impediscono che sia cambiata. Le leggi elettorali “furbe” non sono intelligenti ma semplicemente disoneste, un modo per mantenere il potere eliminando una parte sempre più consistente di elettori scomodi. I Sardi per un senso “del dovere” e di rispetto anche alle ultime elezioni europee hanno votato per i partiti italiani, cioè per quelli che impediscono ad essi di essere rappresentati in Europa. I Sardi non sono più disposti a tollerare tali imbrogli e intendono rispondere con determinazione alla volontà dello stato italiano di emarginarli e considerato che in Europa essi non hanno voce, gli Italiani alle prossime elezioni europee si eleggeranno da soli, senza i Sardi.

3. Le servitù militari, bombe e scorie

L’Italia ha concentrato il 70% delle sue basi militari in Sardegna occupando 35000 ettari di suolo sardo di cui i Sardi, ovviamente non possono fruire. Anzi, in caso di esercitazioni militari spesso i divieti si estendono anche ad altre aree. L’Italia dovrebbe pagare ai Comuni sardi quanto i Sardi pagano in tasse per l’occupazione, oltre che di aree marine, dei 35000 ettari di suolo, spesso offerti in prestito d’uso alla Nato per i suoi giochi di guerra. Ovviamente sono enormi i danni arrecati da queste servitù militari ai beni culturali e naturali del territorio sardo, all’economia (turismo sulle coste, terreni a vocazione agricola e pastorale) e alla stessa sicurezza dell’isola. Considerato che nessun pericolo proviene dalla prospiciente Africa nord occidentale, è palese che l’ubicazione delle basi militari in Sardegna non deriva da ragioni di sicurezza del territorio italiano e dei paesi della Nato; i motivi sono altri: quello principale è che non siano le altre regioni italiane a pagare per l’occupazione di suoli. Se i governi vogliono difendere nel migliore dei modi il territorio della Repubblica trasferiscano nella penisola l’esercito e le loro armi! La stessa Nato, trovi altre terre per le sue esercitazioni gratuite: i Sardi non debbono essere marionette nel teatrino delle guerre. 

Gli affaristi tedeschi vengono in Sardegna per produrre le bombe che servono per sterminare altri popoli. I Sardi sono pacifici, ma oramai molti sono poveri e senza lavoro, e così questi galantuomini trovano qualche comune sardo disposto a cedere i terreni e persino le persone per dare una mano a preparare le bombe. Come sono ipocriti questi gentiluomini affaristi tedeschi, complici e amanti della guerra degli altri che non fabbricano in casa le bombe e se le fanno pagare senza correre rischi! L’Italia, fa finta di non saperlo, tanto chi subisce è la Sardegna non la penisola! Giusto la Sardegna non è la penisola!

La Sardegna ha bocciato sonoramente con un referendum, le armi nucleari: i governi italiani, dunque le altre regioni della penisola pensano di ricompensarla individuando nell’isola una delle aree destinate ad accogliere le scorie nucleari, oltre a quelle industriali e ai rifiuti di varia natura. Per lo stato italiano è facile liberarsi dei prodotti nocivi: l’immondizia, specie se è pericolosa, meglio che vada in Sardegna, perché è lontana e ha pochi abitanti! Come è brava e generosa l’Italia: non si preoccupa affatto dell’emigrazione dei Sardi e dello spopolamento dell’isola, ma fa arrivare i suoi rifiuti dove non colloca le sue basi militari! Se i Sardi proponessero di far pagare alle regioni settentrionali della penisola, quelle più benestanti, lo smaltimento e il trasferimento nelle stesse regioni delle pale eoliche dismesse degli impianti energetici imposti con la forza delle leggi in Sardegna, certamente i governi italiani non accetterebbero! Eppure si vuole imporre ai Sardi non solo le pale ma anche l’occupazione del suolo senza un ritorno economico!

4. Discontinuità territoriale, disservizi, spopolamento, emigrazione 

Da vari decenni, lo Stato, coinvolgendo anche le Regioni, persegue l’accentramento dei servizi nelle grandi città, concentrando su di esse i finanziamenti e di conseguenza determina la fuga degli abitanti dai paesi dell’interno che ne sono sprovvisti e dunque l’emigrazione interna, verso le grandi città, e quella esterna. Con la stessa logica, per i finanziamenti statali delle infrastrutture stradali, lo Stato tiene conto del numero degli abitanti delle regioni e non dell’ampiezza e dell’articolazione morfologica e ovviamente la Sardegna è la regione più penalizzata, mentre ne beneficiano le aree più popolate del nord e le grandi città. Ovviamente, non si tiene conto del fatto che l’accentramento della popolazione rende i servizi più economici nelle grandi città e dunque dovrebbero essere queste ad avere meno finanziamenti per favorire le aree interne e il decentramento.

Della carenza delle infrastrutture e dei servizi soffrono soprattutto le zone interne che continuano ad avere strade tortuose da percorrere a 50 all’ora o addirittura inesistenti, con paesi vicini non raccordati tra loro. Le strade sarde sono in continuo rifacimento con ovvie conseguenze per la circolazione. Non mancano certo le strade trappole a due corsie costruite di recente come la nuova SS 125, separate per decine di km da strisce continue in cui non è possibile sorpassare e con gallerie ben poco illuminate, ovviamente con file interminabili e incidenti che bloccano la percorrenza. Gli esempi dei disagi nella viabilità stradale sono infiniti e non è il caso di continuare. 

Per la rete ferroviaria basti dire che è addirittura abbreviata di molto rispetto agli inizi del Novecento e le corse sono sempre più ridotte. Sono tanti i raccordi ferroviari che dovrebbero essere realizzati o ammodernati. Ci sono turisti che da Cagliari pensano di raggiungere il complesso archeologico di Su Nuraxi a Barumini in treno. Non sanno che il raccordo della linea ferrata che da San Gavino conduce a Barumini è stata smantellata da vari decenni; basterebbe poco per ripristinare questo tratto di ferrovia, che serve una delle più importanti aree di attrazione turistica dell’isola per i suoi meravigliosi antichi monumenti, e collegarlo anche con la linea “del trenino verde” che transita per Mandas. Ma in Sardegna anche le piccole cose diventano impossibili. Oggi su quest’area della Marmilla e della vicina Trexenta ricca di monumenti e povera economicamente non incombono i treni ma le ombre nere delle pale eoliche e i latifondi dell’agrivoltaico. 

Ci sono cose irrinunciabili come il diritto di spostarsi da un luogo a un altro. Tutti sanno quanto siano deficienti oramai da tanti anni i trasporti aerei e navali nell’isola. Per i Sardi non esiste la libertà di movimento e hanno catene che ora si stringono e ora si allentano a piacimento come i guinzagli dei cani da passeggio. I Sardi sono costretti all’isolamento da una insopportabile discontinuità territoriale col resto del mondo e in primo luogo con l’Italia, discontinuità imposta dai costi proibitivi, da mezzi di trasporto aerei e navali che spariscono in vari periodi dell’anno, da navi penose sul mare. 

Gli amministratori della Regione Sardegna per invocare la continuità territoriale per i Sardi sono stati costretti all’unisono a chiedere al Governo di riconoscere per legge che la loro terra è un’isola! Gli Italiani non si accorgono pienamente che la Sardegna è un’isola se non quando viaggiano come turisti, ma i collegamenti funzionano senza intralci quando vengono trasportati i pericolosi rifiuti dalla penisola italiana e vengono trasferiti i componenti delle enormi pale eoliche e l’occorrente per gli smisurati impianti agrivoltaici dei latifondisti che invadono l’isola. Allora i trasporti sono persino scortati; ci tiene tanto lo Stato, anche bloccando la circolazione stradale e qualche tentativo di protesta. I governi italiani non vogliono le proteste in Sardegna. I collegamenti funzionano bene quando nei cieli dell’isola sfrecciano i bombardieri e quando le navi militari sbarcano sulle sue coste. I governi italiani, quando vogliono, anche senza il consenso dei Sardi sanno collegare molto bene l’isola alla penisola e al resto del mondo!  

Che cosa ci si deve aspettare dall’Italia, uno Stato allo sfascio che, oltre ai beni vitali per l’esistenza quotidiana come le risorse energetiche, ha messo nelle mani dei privati i servizi essenziali? I trasporti non dovrebbero essere assegnati alle compagnie private perché hanno come fine il profitto, non certo la qualità e la continuità dei voli e dei percorsi navali; tutti sanno che non esiste la competizione e la concorrenza tra loro per abbattere i costi dei viaggi, ipocritamente predicata dai governi europei. In queste condizioni sperare nella continuità territoriale dell’isola col resto del mondo è pura utopia. 

I governanti italiani non vedono ciò che avviene e non sentono le voci dei Sardi. I Sardi non possono sperare che, per risolvere la questione della continuità territoriale lo Stato italiano realizzi con la generosa Francia un ponte tra la Sardegna e la Corsica sullo stretto di Bonifacio, e un altro ponte tra la Corsica e la Toscana attraverso le piccole isole tirreniche! Con lo Stato latitante, l’unica soluzione per risolvere la continuità territoriale è la riproposizione di una flotta aerea e navale sarda con modalità differenti e con controlli più severi rispetto alla prima analoga iniziativa.

5. Il disagio sociale, la disoccupazione giovanile, e la malasanità, gli incendi e l’acqua dispersa.

Dicono che i Sardi si lamentano sempre, ma perché dovrebbero rallegrarsi del loro grave stato di malessere? Da oltre 30 anni la Sardegna è tormentata da una disoccupazione preoccupante, non solo giovanile e la sua crisi economica oramai non è da meno di quella delle regioni più povere del meridione d’Italia. L’isola è sempre più povera e si spopola. I giovani sardi non trovano occupazione anche se diplomati, laureati e specializzati, nonostante il loro numero sia diminuito fortemente a causa del numero chiuso istituito per l’accesso alle Università, che, con la falsa scusante della sostenibilità e della governabilità del sistema, ha reso un privilegio di casta il diritto all’istruzione. Non c’è da sorprendersi se tanti ragazzi e giovani, senza speranze per il futuro, abbandonano gli studi anzitempo. Oramai per tanti giovani, in Sardegna, come in Italia, il diritto allo studio è un diritto negato che favorisce la disoccupazione e l’emigrazione. 

D’altra parte è inconcepibile che in vari settori lavorativi ci sia carenza di personale, come nella sanità dove mancano laureati e diplomati. I giovani hanno non minore difficoltà a inserirsi nelle attività dell’agricoltura e dell’allevamento perché i costi di produzione sono intollerabili per tante ragioni, non ultima la dipendenza dalle multinazionali per ciò che attiene le sementi ed altro. Ovviamente le aree interne, già desolate per la grave la carenza dei servizi, vedono aumentare sempre più lo spopolamento. 

Oggi gli insegnanti della nostra isola sono costretti a fare i concorsi per accedere all’insegnamento e a insegnare in altre regioni accollandosi le spese notevolissime per i viaggi e i soggiorni. È indispensabile che fin d’ora la Regione Sardegna affronti un contenzioso con lo Stato sulla base della legge sulla Continuità territoriale della Sardegna; anche i parlamentari sardi debbono far sentire la propria voce presso il governo. Se lo Stato non vuole affrontare le spese per le trasferte, come spese per le missioni, per gli insegnanti sardi le sedi dei concorsi e d’insegnamento debbono stare nell’isola. 

 Il diritto alla salute, è calpestato. Tutti sanno che la sanità è in stato comatoso; dovrebbe essere pubblica e di fatto non lo è, con attese infinite al pronto soccorso, con esami differiti di mesi, talora persino di anni, con i pazienti costretti a recarsi in luoghi lontani dalle loro residenze, anche fuori dalla Sardegna. Spesso le strutture sanitarie delle aree interne sono prive di attrezzature adeguate e di personale. Oramai molte persone rinunciano alle cure per i costi elevati e per le difficoltà che incontrano. È una situazione indecorosa per un paese civile che, come allude Papa Francesco, presta più cure ai cani che agli uomini. È stata favorita la privatizzazione dei servizi essenziali, sono stati finanziati nuovi ospedali privati con soldi pubblici, e negli ospedali pubblici i medici e infermieri risultano in numero del tutto inadeguato. È inaccettabile che i medici possano lavorare in strutture pubbliche e ad un tempo in strutture private, togliendo ad altri medici la possibilità dell’occupazione. La giunta regionale eletta da poco ha il dovere di eliminare i malanni della Sanità; la libertà passa anche per la sanità. In questa situazione di crisi, la Regione Sardegna sta cercando di correre ai ripari chiedendo ai medici pensionati di rimanere o ritornare al posto di lavoro finché non ci saranno altri concorsi e dunque altre assunzioni; il governo dice che non si può e intanto i malati restano senza cure; assistiamo alla solita farsa all’italiana. 

Un’altra delle piaghe che affliggono l’isola sono gli incendi dei boschi che provocano ulteriori gravi danni al già scarso patrimonio boschivo e forestale dell’isola con ripercussioni sul clima e sulla consistenza idrica. Nonostante il gravoso noleggio dei Canadair e l’assunzione di tante guardie forestali questo problema non è stato risolto e non sarà risolto se una flotta aerea sarda dotata anche di Canadair non opererà rapidamente contro gli incendi.

 È assurda la mancanza d’acqua in Sardegna, sia quella potabile sia quella da utilizzare per l’agricoltura. Molti Sardi sono costretti a bere l’acqua potabile imbottigliata da ditte private e la mancata scorta dell’acqua nelle dighe non è giustificabile; è inconcepibile che un anno si butti al mare l’acqua delle dighe, con la scusa del mancato collaudo, e nell’anno successivo manchi l’acqua per irrigare i campi e talora per usi domestici. D’altro canto, l’acqua dalle dighe è fondamentale anche per incrementare l’energia elettrica e dunque per impedire l’assalto delle devastanti e intrusive pale eoliche. Purtroppo c’è chi non conosce ancora il racconto biblico delle sette vacche grasse e delle sette vacche magre. Per inciso, perché in Sardegna tante importanti opere pubbliche, come le dighe, non hanno ricevuto il collaudo dopo tanto tempo dalla realizzazione dei lavori?! Perché non si completano le dighe in corso; chi ha interesse a impedirlo? Ma non è una energia, quella elettrica prodotta dalle dighe, più pulita e meno ingombrante delle pale eoliche e del fotovoltaico? Per gli speculatori dell’energia non lo è.


L’articolo continuerà la settimana prossima, e si parlerà sulla questione della lingua sarda tagliata.

Immagine: YouTube.com

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