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Transizione energetica e vento di ribellione

Continua la pubblicazione della terza parte dell’articolo di Giovanni Ugas.
Qui trovate la prima parte (Vento di rivolta in Sardegna) e la seconda (La lingua tagliata).


7. I falsi profeti dello sviluppo economico

La lotta per la rinascita della lingua e della cultura sarda non può essere dissociata dalla lotta per abbattere il disagio sociale, l’emigrazione, le tante servitù che lo stato italiano ha imposto e vuole imporre, a cominciare da quella energetica.

La Sardegna conosce bene i falsi profeti dello sviluppo economico venuti dal mare, i divoratori di alberi, gli industriali delle miniere, i trafficanti dei rifiuti. Essi hanno ottenuto i loro cospicui guadagni lasciando la Sardegna senza boschi, senza riserve minerarie e offendendo la natura con discariche di prodotti speciali che nessuno vuole. La Sardegna conosce bene il miraggio delle cattedrali nel deserto, come quella del polo chimico di Ottana, industrie che hanno inghiottito i soldi pubblici e poi i loro padroni hanno levato le tende, lasciando solo le macerie. 

Le raffinerie di petrolio erano strategiche per l’Italia, ma nel campo energetico si impose la speculazione privata a scapito del controllo pubblico propugnato da Enrico Mattei fondatore dell’Eni; sono molti a pensare che non fu un caso che, agli inizi degli anni ’60, egli precipitò con l’aereo su cui viaggiava. Uno dei punti chiave del disegno energetico di Enrico Mattei era il rapporto con l’Africa nord-occidentale e con la sua fine è tramontata anche la prospettiva di un ruolo rilevante nel Mediterraneo assegnato dall’Italia alla Sardegna; è stata ribadita la sua marginalità. Si faceva credere ai Sardi che, con le industrie del petrolio nell’isola, il costo della benzina sarebbe diminuito, ma la realtà si è rivelata molto diversa perché ancora oggi la benzina costa non meno che altrove e i padroni degli impianti della Saras di Sarroch, i Moratti, nonostante siano stati tra gli industriali più seri giunti in Sardegna, e ora anche la società olandese Vitol con sede a Ginevra, non pagano le tasse nell’isola ma in un’altra regione, e si aggiunge la beffa dei profitti attribuiti all’isola, come se i beneficiari fossero i suoi abitanti, impedendo alla Sardegna di fruire per tanto tempo i contributi per le regioni povere. Quando cesserà l’attività dell’industria petrolifera ai Sardi resteranno in eredità le macerie e i veleni in tanti ettari di terreno e la Regione Sardegna non sarà risarcita per questo danno al suo territorio che resterà ai posteri: una servitù senza limiti di tempo. 

Inizialmente le industrie hanno portato uno stipendio a un numero consistente di operai ma ora sono ben pochi gli occupati nelle industrie  ed è svanito il miraggio di un mondo migliore per coloro che avevano abbandonato le attività dell’agricoltura, dell’artigianato e della pastorizia; con la perdita del lavoro sono rimasti nell’isola macerie, malattie e desolazione. È ben noto che anziché favorire la creazione di piccole industrie a supporto delle attività economiche isolane sono state sostenute grandi industrie allogene che hanno spopolato le campagne e i paesi e così i Sardi sono stati costretti a emigrare anche verso gli stabilimenti industriali dell’Italia Settentrionale e dell’estero. Come dimenticare le vittime della tragedia della miniera di Marcinelle in Belgio! Così in Sardegna è nata la crisi dell’agricoltura e della pastorizia, grazie anche all’intervento devastante delle multinazionali americane che controllano silenti e invisibili persino l’erba dei campi. 

È di questi giorni la notizia che il polo metallurgico della Glencore di Portovesme ha chiuso in parte il polo dei prodotti minerari dell’Iglesiente e ricatta gli operai e la Regione Sardegna con un progetto di riciclaggio delle scorie di batterie al litio provenienti da tutto il mondo che lascerà in eredità ai Sardi una montagna di rifiuti pericolosissimi. Immaginiamo la ragione per cui non si realizza questa “meravigliosa” industria in Svizzera, nella casa dei signori della Glencore, o in Piemonte, la regione del Ministro del MASE (Ministero all’Ambiente e la Sicurezza Energetica) Gilberto Pichetto Fratin cui stanno tanto a cuore non solo queste scorie mondiali ma anche le invasioni della pale eoliche nel paesaggio e la colonizzazione dell’isola con gli impianti agrivoltaici.  

8.  Il piano della transizione energetica in Sardegna 

Non si può fare a meno, in accordo con tanti studiosi e intellettuali, di esprimere un pensiero sulla questione della transizione energetica che da qualche tempo tormenta i Sardi, riprendendo quanto era stato scritto insieme a Raimondo Zucca in una lettera inviata il 14 luglio scorso alla Presidentessa della Regione Alessandra Todde e al Presidente del Consiglio Regionale Piero Comandini. 

Come emerge anche dai comitati spontanei, uniti nella sigla Pratobello 24, che hanno raccolto oltre 200.000 firme, i Sardi hanno la piena consapevolezza che il piano energetico per la Sardegna così come è congegnato è un tentativo di occupazione neocoloniale della loro terra. Occorre lottare unitariamente, come sollecita Bachisio Bandinu, “contro la speculazione sulle fonti rinnovabili, che minaccia l’identità ambientale” e per “l’auspicabile prospettiva di un autonomo modello di sviluppo economico e sociale che generi salute e benessere diffusi”. Non di meno i Sardi, debbono difendere con fermezza, come si è detto, la loro identità culturale. 

Sarebbe un tragico errore non capire la gravità della situazione e il sentimento popolare che esplode. La Presidentessa e i componenti della Giunta e del Consiglio regionale hanno il dovere civico di unirsi alla popolazione sarda per cercare le soluzioni più idonee per impedire un nuovo assalto, spregiudicato, all’isola; hanno l’obbligo di rappresentarla e di operare in armonia con essa. È una dura battaglia da affrontare insieme perché non si tratta di portare il consenso a questo o a quel partito, agli indipendentisti o agli autonomisti e non è in gioco il successo di un gruppo o di una persona ma la vita futura di tutti i Sardi e va abbandonato senza indugio qualsiasi interesse particolaristico. È importante che nei vari campi gli esperti mettano a disposizione le loro competenze per offrire una mano agli amministratori ed è altrettanto importante che gli amministratori li ascoltino. 

Qualche giornale e qualche politico italiano scrive che i Sardi debbono essere solidali e accettare il programma delle energie rinnovabili così come è voluta dallo Stato, ma ciò equivale ad accogliere a braccia aperte coloro che vogliono devastare e occupare loro terra; i Sardi, nel corso della storia, sono stati derubati dei prodotti agricoli e pastorali, gli alberi dei boschi, i minerali e tanti altri beni e ora sono stanchi, ma non è certo per una questione di rivincita che si oppongono al piano energetico italiano. I signori dei paesi del petrolio e del gas si fanno pagare lautamente per ciò che possiedono e non si chiede ad essi di sloggiare dalla loro terra, anche se non manca qualche tentativo di espropriazione forzata con le guerre. Invece dai Sardi si pretende, ora con modi garbati, ora con superficiale ironia, ora soprattutto con la forza delle leggi e dei decreti governativi fatti su misura, che rinuncino a gestire il paesaggio con i suoi valori ambientali e culturali e persino il clima che la natura generosamente ha dato ad essi. 

Per i Sardi il piano per la transizione energetica imposto dall’Italia nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è un attentato all’identità della loro isola. Per favorire gli speculatori (non la popolazione italiana nel suo complesso!) con l’incremento della sua energia elettrica che sarà gestita dai privati, l’Italia pretende che la Sardegna si offra come vittima sacrificale producendo tanto per iniziare 6,2 gigawatt. Impone non solo una quantità di energia illimitata, il che di per se è una decisione scellerata, ma anche la devastazione del suolo sardo con impianti eolici, fotovoltaici e agrivoltaici per una energia che sarà prodotta e poi esportata, almeno in parte, tramite l’impianto del Tyrrhenian Link gestito dalla Società per azioni TERNA, impianto che s’intende realizzare in territorio di Selargius con connessioni che sconvolgeranno anche il litorale marino di Quartu. 

L’Italia sta offrendo generosamente in dono alle multinazionali non solo i finanziamenti del PNRR, ma anche l’energia e la devastazione della Sardegna, come se l’isola fosse un suo dominio coloniale. Dagli elenchi delle richieste per gli impianti forniti dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), risulta che sono già state già pervenute richieste per la realizzazione di ben 3000 gigantesche pale eoliche a terra e altre 1500, ancor più invadenti, in mare di fronte alle coste sarde; un massacro paesaggistico. L’energia prodotta in Sardegna, quasi totalmente dalle multinazionali, sarà gestita da Società con capitali privati ENEL a livello regionale e TERNA a livello nazionale. I Sardi non produrranno e tanto meno venderanno l’energia generata da tali impianti se non per quote irrisorie e nessuno garantisce loro che non pagheranno l’energia elettrica col prezzo più alto d’Italia come avviene oggi (anche il 40% in più della media), benché, come detto, l’isola produca più energia elettrica di quanto consuma. 

Possedere il sole e il vento sta diventando per i Sardi non un motivo per ringraziare il Creatore ma una seria minaccia ad opera di coloro che vogliono abbrutire la loro isola e impossessarsi delle loro terre. Il programma energetico per la Sardegna, così come è strutturato, non è affatto finalizzato anche alla resilienza e al rafforzamento dell’identità delle comunità come recita il PNRR finanziato dall’UE tramite il Next Generation EU (NGEU), il Fondo europeo istituito nel 2020 col fine di rilanciare gli investimenti e far crescere l’occupazione degli Stati membri colpiti dalla pandemia del Covid. Così, oltre al Covid, giunge ai Sardi un’inaccettabile beffa perché il piano di ripresa e di resilienza congegnato dall’Italia per la loro isola, violando palesemente gli stessi principi del PNRR, crea un nuovo dramma. 

Eppure, uno degli obiettivi europei più rilevanti è la transizione verde che anche il PNRR deve sostenere e dunque, in conformità alle direttive europee, “Tutti gli investimenti e le riforme previste devono rispettare il principio del non arrecare danni significativi all’ambiente”. A giudicare i danni che possono essere arrecati all’ambiente dovrebbero essere le comunità locali presso le quali si realizzano gli impianti, dunque i Comuni della Sardegna e la Regione sarda. Invece, il MASE con leggi ad hoc, per “semplificare”, cioè per superare qualsiasi ostacolo e accelerare al massimo l’approvazione degli impianti energetici che gli stanno a cuore, soprattutto quelli più grandi, non inferiori a 50 megawatt, si arroga il diritto di contrastare anche i pareri delle Soprintendenze preposte alla tutela dei beni archeologici, cioè agli Uffici periferici dello Stato, nella sostanza vuole imporsi su un altro Ministero e fa di tutto per violare l’autonomia speciale dell’isola. 

Non c’è da stupirsi se il MASE snobba tranquillamente le competenze della Regione Sardegna che, sulla base della Legge costitutiva dello Statuto speciale del 1948, può legiferare sia in materia di Agricoltura e foreste e in Opere di miglioramento agrario e fondiario (in base all’articolo 3 del Titolo II), sia sulle Opere di grande e media bonifica e di trasformazione fondiaria e su Produzione e distribuzione dell’energia elettrica (in base all’articolo 4). In queste materie, lo Stato dovrebbe operare in sintonia con la Regione Sardegna, mettendola nelle condizioni di ascoltare la voce del suo popolo e non di agire contro le sue necessità. 

In maniera ancor più dispotica, il MASE viola la Legge regionale 13 luglio 2020, n. 21 sulle Norme di interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale (PPR) stando alle quali la Regione Sardegna ha competenza primaria sulla fascia costiera, sui beni identitari e sulle zone agricole, cioè su materie sottratte alla pianificazione congiunta tra Regione autonoma della Sardegna e Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. È evidente che, se in Italia c’è ancora un po’ di rispetto per le leggi, non può essere messo nel cestino della carta straccia, il Piano paesaggistico regionale del 2006 (e successive modifiche, in particolare la Delibera G.R. n. 6/18 del 14 febbraio 2014) di cui fanno parte integrante i Piani urbanistici comunali (PUC). Il PPR della Sardegna ha il fine di: preservare, tutelare, valorizzare e tramandare alle generazioni future l’identità ambientale, storica, culturale e insediativa del territorio sardo; proteggere e tutelare il paesaggio culturale e naturale e la relativa biodiversità; assicurare la salvaguardia del territorio e promuoverne forme di sviluppo sostenibile, al fine di conservarne e migliorarne le qualità.

Il MASE giustifica tutte le sue azioni sulla transizione energetica con “il preminente interesse strategico nazionale” ma l’Italia non gestirà un solo watt di energia prodotta con questo piano energetico finanziato dal PNRR perché l’energia è del tutto in mano ai privati; ad essi sono destinati i frutti di questa colossale impresa di cui è regista il Ministero guidato da Pichetto Fratin e non alla popolazione italiana, ben che meno, come recita lo stesso testo del PNRR, alle comunità bisognose di sostegno sociale che per il Ministro non esistono e infatti non è per loro la ripresa e la resilienza! Per Pichetto Fratin i bisognosi di sostegno sociale, sono gli speculatori; bisogna aiutarli, poverini! 

 È ben chiaro che il Ministero di Pichetto Fratin ha ben altri obiettivi da perseguire che la serenità dei Sardi, ma considerato anche il fatto che il Vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, del suo stesso gruppo parlamentare, è venuto in Sardegna per dire che sosteneva la battaglia dei Sardi contro la politica energetica, cioè contro la politica voluta da chi guida il MASE, se avesse un po’ di dignitosa coerenza, il Ministro Pichetto Fratin si dimetterebbe senza indugi. 

Che fa la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni di fronte a questi nuovi propositi di calpestare l’isola; vuole infierire anche lei contro i discendenti di una parte dei suoi antenati e si propone di fermare i duecentomila Sardi che intendono marciare su Roma? Al riguardo può esserle utile una notizia: i Sardi arriveranno alla spicciolata, data la carenza dei mezzi di trasporto aerei e navali da e per l’isola, e senza moschetti perché le basi militari dell’isola sono indisponibili se non per progetti energetici e i soldati della Brigata Sassari sono già impegnati dall’Onu nel Libano. 

Purtroppo, non c’è da scherzare perché è evidente la direzione scelta dal Governo italiano nonostante la sortita sarda del vicepresidente Tajani alla ricerca di consensi. Le strategie economiche dell’Italia tendono ad arricchire i potenti e non soccorrono affatto le comunità in difficoltà come quella sarda. Da vari decenni, lo Stato molto generosamente alimenta le multinazionali, come ora avviene con i soldi pubblici del PNRR, perché oramai il suo obiettivo principale è di svendere se stesso, non certo per il bene della collettività a giudicare dai risultati. Lo Stato si sta togliendo man mano le sue vesti e fra poco sarà nudo come Adamo dopo aver mangiato il frutto proibito; certo non chiederà le vesti per coprirsi ai potenti intoccabili ma alla bistrattata collettività, sempre più povera.  

Ma perché gli imprenditori (sarebbe il caso di dire prenditori) delle regioni dell’Italia e d’Europa vengono a cercare l’energia in Sardegna? Se e è così conveniente l’energia di origine solare ed eolica perché non la producono direttamente nelle loro terre? Nonostante che, come principale e pulita fonte energetica, stiano pensando all’idrogeno verde allo stesso modo dei Sardi, essi inventano la bugia che non hanno abbastanza sole e vento, e anche se fosse vero che dalle loro parti il sole si nasconde e il vento non soffia, perché non comprano l’energia dai Sardi e invece ritengono lecito sottrarla ad essi con il subdolo sostegno del governo, nella sostanza rubarla con lo Stato che funge da palo e copre le spalle?! 

È naturale che non vivendo in Sardegna, questi “imprenditori” non sono attratti dal miele, dal mirto e da su proceddu e perciò non si preoccupano di deturpare l’isola con pale eoliche mostruose di 100, 200 e 300 metri d’altezza che rompono il silenzio delle campagne con rumori assordanti, che attentano all’avifauna, che impattano terribilmente sull’ambiente, sui paesaggi, e sulle aree agricole e pastorali sarde. La Sardegna non è solo una terra per vacanzieri che vogliono giustamente rilassarsi o divertirsi sui suoi litorali, è anche una terra di grande cultura e bellezza naturale nelle sue aree interne, nonostante gli orrori dei disboscamenti passati e degli incendi. Sarebbe un delitto per l’umanità intera la devastazione e l’abbrutimento dei suoi beni culturali e naturali che meritano di essere riconosciuti nel Patrimonio universale dell’Unesco nel loro complesso e con il loro contesto e non solo con una selezione di una sessantina di siti e monumenti prenuragici e nuragici. 

Il popolo sardo non può sopportare l’invasione delle grandissime pale eoliche che aprono voragini nel suolo, che pongono problemi per il loro smaltimento e che deturpano il paesaggio agro pastorale e quello di non meno di 15.000 siti archeologici (uno ogni Km 2,0), tra villaggi prenuragici e nuragici, castelli e torri di età nuragica (da soli più di 7000), monumenti funerari prenuragici e nuragici, insediamenti e monumenti di antica età storica (punica, romana, bizantina e medioevali), oltre che di castelli e chiese rupestri di età storica, medioevale e moderna. Non si può sopportare che gli impianti offshore offendano le risorse marine e abbruttiscano i paesaggi delle meravigliose coste, sostegno dell’economia turistica dell’isola. È più che normale che gli speculatori non si preoccupano dell’ambiente e della cultura; ad essi interessano solo i profitti generati dagli impianti dell’energia elettrica che intendono realizzare. Meno normale è che non interessino al Ministero competente la tutela e la valorizzazione dei beni ambientali e che lo stesso ministero ritenga del tutto normale abbrutire il paesaggio del castello nuragico di Su Nuraxi in Barumini che fa parte del patrimonio dell’Unesco. 

Ci sono altre evidenti contraddizioni e anomalie nelle decisioni del MASE. Il PNRR deve contribuire, nel suo complesso, al raggiungimento degli obiettivi ambientali fissati a livello UE per la transizione ecologica anche “attraverso l’uso delle tecnologie digitali più avanzate, la protezione delle risorse idriche e marine, la transizione verso un’economia circolare, la riduzione e il riciclaggio dei rifiuti, la prevenzione dell’inquinamento e la protezione e il ripristino di ecosistemi sani, in particolare delle foreste, zone umide e aree costiere, la piantumazione di alberi e il rinverdimento delle aree urbane”. Nella sostanza, il PNRR avrebbe potuto e potrebbe recitare un ruolo importante in Sardegna, date le precarie condizioni economiche dell’isola, ma finora i progetti legati alla transizione energetica che la riguardano non sono per nulla coerenti con gli obiettivi generali dello stesso piano. Certo è che nessun intervento è previsto per la protezione e il ripristino delle foreste e delle zone umide (come gli stagni), per la piantumazione di alberi di cui la Sardegna ha tanto bisogno perché martoriata dagli incendi. 

Occorre tenere in considerazione il fatto che, in ottemperanza agli obiettivi europei del Recovery and Resilience Facility (RRF), nel paragrafo delle linee guida del PNRR relativo agli Assi strategici e priorità trasversali si sostiene che lo sforzo di rilancio dell’Italia si sviluppa intorno a tre assi fondamentali: digitalizzazione e innovazione; transizione ecologica; inclusione sociale. La transizione ecologica (di cui fa parte la transizione energetica) ha lo scopo di minimizzare l’impatto delle attività produttive sull’ambiente, di lasciare il Paese più verde e una economia più sostenibile alle generazioni future, e favorire la creazione di occupazione stabile. 

Possiamo notare innanzitutto che, in contrasto netto con questi obiettivi, le opere previste in Sardegna con i finanziamenti del PNRR, non riducono affatto l’impatto delle attività produttive sull’ambiente ma esse stesse lo generano. Inoltre, la transizione ecologica, va condotta intersecandola con gli altri assi strategici del PNRR, in particolare con l’inclusione sociale, ritenuta “fondamentale per migliorare la coesione territoriale, aiutare la crescita dell’economia e superare diseguaglianze profonde spesso accentuate dalla pandemia”. Nel Programma europeo uno dei punti cardini è la coesione sociale che ha il fine di ridurre le disparità locali, regionali e fra centri urbani e aree rurali, dunque la risoluzione degli squilibri territoriali. Inoltre vi è un richiamo al fatto che “Il riequilibrio territoriale e lo sviluppo del Mezzogiorno non sono univocamente affidati a singoli interventi, ma perseguiti quali obiettivi trasversali in tutte le componenti del PNRR”, dunque anche con la transizione ecologica. In Sardegna ci sono tante disparità sociali e territoriali, non meno che nelle altre le regioni povere del Sud, soprattutto per lo squilibrio tra le città, che pure soffrono, e i paesi dell’interno che si stanno velocemente spopolando. Invece, i beneficiari dei progetti energetici eolici, fotovoltaici e agrivoltaici, finora presentati, non sono le comunità locali e perciò i loro impianti e il piano complessivo per la transizione energetica in Sardegna non rispettano le norme europee e dello stesso PNRR e non solo non ottemperano alle esigenze sociali, ma offendono i valori ambientali e culturali, dunque identitari, del territorio.  

La dimostrazione che nei progetti per la transizione energetica non si tiene conto delle esigenze sociali dell’isola è che non emerge quanti suoi abitanti troveranno occupazione. Preoccupa soprattutto l’invasione straniera degli impianti agrivoltaici nei terreni agricoli, poiché i progetti fin qui presentati, stando ai dati forniti dal MASE, assommano a una potenza di circa 7 gigawatt, cioè fin d’ora superiori al tetto minimo di 6,2 gigawatt fissato per il programma energetico minimo imposto alla Sardegna, occupando tante migliaia di ettari di superficie gestiti da gente estranea all’isola. Il solo progetto cinese che impegna mille ettari nella Nurra dà un’idea di quante terre verranno sottratte ai Sardi. 

In effetti, se per almeno una trentina d’anni, senza tener conto dei rinnovi, le enormi pale eoliche creeranno danni gravissimi all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio culturale, per l’isola gli impianti agrivoltaici sono ancora più nefasti. Stando al recente decreto del MASE entrato in vigore il 14 febbraio 2024, per accedere ai finanziamenti a fondo perduto (38%) del PNRR basta coinvolgere un imprenditore agricolo (anche con una quota di terreno irrisoria) “mediante l’iscrizione in appositi registri per impianti sino a 1 megawatt di potenza o “mediante la partecipazione a procedure competitive in funzione della titolarità e della taglia dei progetti per impianti di qualsiasi potenza allo scopo di realizzare almeno 1,04 gigawatt”. Nella sostanza bastano 6 di tali progetti per raggiungere il già citato tetto minimo di 6,2 gigawatt dell’invasivo piano energetico che si vuole imporre alla popolazione sarda. 

Purtroppo, le società per lo più multinazionali che accederanno ai finanziamenti e realizzeranno gli impianti agrivoltaici mirano non solo al profitto, ma anche all’occupazione del territorio isolano, speculando sulla condizione di povertà dei contadini e dei pastori. Infatti, questi ultimi per la loro grave condizione economica o perché anziani, sono costretti a disfarsi dei loro terreni a causa delle tasse e dunque diventano facile preda degli speculatori dell’energia. È palese che il programma energetico non solo non allenta lo squilibrio sociale della Sardegna ma anzi lo aggrava terribilmente; ciò significa che in tale programma energetico manca del tutto la coerenza col Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato il 30 Novembre 2021 dal Governo italiano per rilanciare l’economia del Paese dopo la Pandemia di Covid, piano che ha il fine di finanziare opere destinate a migliorare le condizioni di vita della comunità, offrendo un sostegno economico e tutelando la loro identità. I Sardi non possono e non debbono accettare la subdola invasione aliena prevista dal piano energetico e poiché debbono essere considerati nulli nella gran parte i progetti presentati e talora anche incorso di realizzazione, perché incompatibili con i principi europei relativi alla coesione sociale e la rispetto dei valori identitari delle comunità, il MASE ha il dovere di rimodulare insieme alla Regione Sardegna il piano della transizione energetica, non solo in funzione della produzione di energia ma anche della ripresa economica delle comunità sarde e della difesa e valorizzazione dei loro beni identitari.

In ogni caso, la Sardegna non deve più essere trattata come una colonia. I Sardi non meno dei padroni del petrolio, hanno il diritto di gestire i beni della loro terra. Chi vuole l’energia del vento sardo la paghi, come in una normale prassi del mercato; non pretenda di averla con la forza. L’isola non può patire anche per la gestione privata dell’energia elettrica. C’è da augurarsi che la Regione Sardegna realizzi l’Agenzia Regionale per l’Elettricità, come sembra intenzionata, e anche più in generale per le fonti energetiche, al fine di incidere di fatto sui costi elevati di luce, gas etc., sottraendo gli ingiusti profitti alla brama degli speculatori. 

Finora ben poco è stato fatto per frenare l’esodo dei Sardi dalle campagne e occorre soccorrere le comunità dei paesi dell’interno e impedire che, con i finanziamenti del PNNR, calino gli avvoltoi sulle terre degli agricoltori e degli allevatori. Purtroppo c’è il timore che gli sciacalli si siano già impadroniti di molte terre e occorrerà annullare i passaggi di proprietà  irregolari. La Regione Sardegna ha il dovere di respingere il gravissimo piano di occupazione coloniale; potrebbe acquistare i terreni di chi non può coltivarli, ridistribuendoli a chi ha la possibilità di lavorarli, nella sostanza attuando una nuova riforma agraria d’intesa con i Comuni, favorendo ad un tempo la realizzazione di impianti agrivoltaici e fotovoltaici da parte dei piccoli imprenditori locali, anche in forme associative. 

9. Vento di ribellione

Spira un vento forte e non è quello che deve far girare le pale eoliche. La popolazione sarda non è più disposta a subire l’arroganza dei governanti italiani e neppure gli errori dei propri amministratori, di qualsiasi partito essi siano. Non c’è retorica: la popolazione sarda pretende ciò che dovrebbe essere la norma: la competenza e la serietà di chi si candida per amministrare il bene comune; un compito non semplice, ma può essere svolto con serenità se gli amministratori camminano in sintonia con le esigenze della gente. 

Dicono che i Sardi si lamentano sempre, verissimo. Il fatto è che hanno tante ragioni per farlo, ma le loro lamentele non vengono ascoltate e le ragioni dei loro mali mai risolte. Che cosa bisogna fare perché si ponga un freno alla crisi delle campagne e dei settori produttivi, alla disoccupazione, all’emigrazione, allo spopolamento dell’isola, alla malasanità, al disagio dei paesi per la mancanza di servizi essenziali, alla discontinuità territoriale, alla devastazione della loro antica cultura? Per la fine delle lamentele vi sono due soluzioni; continuare a porgere l’altra guancia ed evitare di parlare o fare la guerra alle ingiustizie dei governi. Da pacifista, mi auguro da parte dei Sardi una decisa e proficua guerra gandhiana, con l’aiuto degli uomini di buona volontà della terra. Non è semplice ma, la guerra del sale dell’India, è stata una via per ottenere la libertà dai dominatori. Facciamo la guerra dell’energia e le altre guerre necessarie per raggiungere un’esistenza tranquilla. 

La Sardegna lotta per far valere la sua lingua madre, si ribella al disagio sociale, alle servitù militari, allo scempio del suo territorio con le pale eoliche e all’espropriazione delle sue terre con la creazione dei latifondi “agrivoltaici”, assecondata da chi predica il meticciato universale, falso e costruito come un robot, e sostiene che lo spopolamento della Sardegna si risolve con l’immigrazione di altre genti da sfruttare. È la stessa nuova colonizzazione di chi vuole le guerre per immiserire ancor più gli abitanti delle regioni povere del mondo e costringerli all’emigrazione. Ciò che è già avvenuto nell’Africa con il neocolonialismo lo si vuole imporre in Sardegna: i Sardi verso altre terre e altre genti in Sardegna! Che bella filosofia emerge da questi concetti! Il malessere dei popoli non si supera facendoli emigrare da una parte all’altra del mondo come marionette mosse da fili più o meno invisibili, ma risolvendo la gravissima crisi economica delle zone povere ed eliminando la proliferazione delle guerre. 

Si dice sempre che l’umanità, come la natura, è bella perché è varia, e dunque non si deve imporre un gruppo umano su un altro, qualsiasi aspetto esso abbia, perciò predicare e favorire il meticciato attraverso i processi di colonizzazione è una nuova forma di razzismo, il razzismo di chi giustifica il colonialismo. Ci sono tanti modi per incontrarsi e fraternizzare tra i popoli; l’emigrazione è sempre un dramma e chi non lo capisce ha poca sensibilità per chi è costretto ad emigrare per vivere degnamente in questa terra. Non si può confondere il messaggio di Papa Francesco sull’obbligo morale dell’accoglienza di chi soffre e forzatamente emigra con la strategia neocolonialista fondata sulle tragedie umane delle guerre, l’impoverimento e l’emigrazione delle persone!  

È giunta voce che il governo sta per proporre un disegno di legge per l’aumento delle pene per chi protesta contro le opere considerate strategiche; è da ritenere che questi provvedimenti interessino in particolare le servitù militari e le energie rinnovabili. I governanti non sono molto attenti alla povertà e all’emigrazione, ma sono molto bravi a impedire che si alzino le voci del dissenso per i soprusi. Ai provvedimenti di Pichetto Fratin sulla programmazione energetica, finalizzati a rendere inutile il parere degli amministratori locali dei territori interessati, si aggiunge anche la repressione programmata dal governo verso la protesta per giuste cause. 

Non saranno le minacce delle armi a fermare la lotta per difendere i valori umani e la giustizia, non sarà la paura del carcere o di altre pene a frenare i Sardi nella loro ribellione come non fermò Sigismondo Arquer, Giovanni Maria Angioy, Emilio Lussu, Antonio Gramsci e tanti altri protagonisti della lunga storia dell’isola, perché alla battaglia parteciperà una moltitudine di Sardi. Per evitare un orrendo futuro ai nostri figli, i Comitati che hanno proposto la legge Pratobello 24 e tutti i firmatari per il suo riconoscimento hanno cominciato a illuminare la strada da percorrere; in questa strada non debbono mancare gli Amministratori sardi, comunali e regionali al di là delle loro etichette di partito. Se qualcuno di essi, volente o nolente, si è già indirizzato su una strada diversa, abbia il coraggio e il buon senso di tornare sui suoi passi e di aiutare la collettività a superare questo momento difficile.  

L’Italia è sempre più lontana e se lo Stato continua a considerare la Sardegna non una regione italiana ma una colonia, per raggiungere l’agognata meta della tranquillità e del benessere, al popolo sardo non resta che percorrere con determinazione la strada che porta all’indipendenza. Gli amici della penisola forse non tutti capiranno, ma la nazione sarda è nata assai prima di quella italiana e sta da millenni nel profondo del cuore della gente dell’isola e se Roma considera ancora la Sardegna una provincia, il suo popolo lotterà per la libertà. 


Immagine: Unione Sarda

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