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Sigismondo Arquer, morto 453 anni fa per difendere la libertà di pensiero

Oggi, 4 giugno, ricorre l’anniversario della morte di Sigismondo Arquer, uomo di legge e  studioso, condannato a morte dall’Inquisizione per essersi rifiutato di assumersi le colpe imputategli e aver rivendicato la propria libertà di pensiero.

Ebbe una vita breve, ma decisamente avventurosa. Nacque in Sardegna nel 1530 da una famiglia sardo-catalana. Il padre Giovanni Antonio era un funzionario del Regno: aveva avviato il figlio agli studi giuridici molto presto. Pare che non lo avesse iscritto alla scuola cittadina finanziata dal comune: fu proprio lui a istruirlo e a metterlo nelle condizioni di iscriversi all’Università di Pisa, alla facoltà di diritto, a soli quattordici anni.
Sigismondo si laureò in utroque iure nel 1547 e tredici giorni dopo conseguì a Siena anche il dottorato in teologia.
In quegli anni entrò in contatto con il luteranesimo o quanto meno con le correnti di pensiero critiche verso il cattolicesimo romano.
Dopo il ritorno in Sardegna, negli anni tra il 1548 e il 1555, partì per la Germania per sbrigare importanti affari: fu un viaggio travagliato, cominciato con un naufragio e, “al passar delle Alpi”, segnato da una grave malattia da cui si riprese solo cinque mesi dopo. Una volta ristabilitosi potè riprendere il percorso, e fu durante questo tempo che fece l’incontro che avrebbe determinato, più tardi, il corso della sua esistenza: quello con Sebastian Münster, homo eruditissimo, il quale lo invitò a collaborare alla quinta edizione della Cosmographia Universalis. Sigismondo Arquer curò la voce relativa alla Sardegna, la Sardiniae brevis historia et descriptio, prima trattazione sulla storia e sulla geografia dell’Isola e primo lavoro a stampa dedicato totalmente alla Sardegna scritto da un autore sardo. Grazie a questo lavoro di Arquer la Sardegna venne inserita nel grande circuito internazionale. Si tratta di un’analisi lucida del contesto: non una semplice descrizione storico-geografica, ma una disamina che spazia in diversi campi, dall’economia alla lingua. La Sardiniae brevis historia et descriptio uscì corredata da illustrazioni: quattro incisioni, di cui almeno tre realizzate con l’apporto dell’autore.

Nei 1555 tornò a Cagliari, il vicerè lo volle subito al suo fianco come membro del Consiglio Reale: si distinse nell’ambito dell’amministrazione regia per il suo rigore nell’affrontare e far emergere affari loschi nei quali erano implicati esponenti delle famiglie feudatarie tra le più influenti in Sardegna, come gli Aymerich.
Contro di lui fu ordito un tentativo di avvelenamento e successivamente cominciarono ad essere sollevate accuse molto gravi, come quella di falsario e di corruzione di testimoni.

Nell’agosto del 1559 venne pubblicato l’indice dei libri proibiti in cui comparve la Cosmographia Universalis di Sebastian Münster, che comprendeva anche l’opera di Arquer sulla Sardegna, all’interno della quale veniva fortemente criticata la chiesa sarda, come ad esempio in questo passo:
“I sacerdoti sono ignorantissimi, al punto che tra questi, come anche tra i monaci, è raro trovarne uno che comprenda la lingua latina. Hanno le loro concubine e mettono maggiore impegno nel fare figli che nel leggere libri”.
Su elementi come questo si basarono le accuse di eresia, in particolare de lutherano.
Di fatto allo scritto venne dato molto peso, in particolare perché fu pubblicata nell’opera di quello che venne dichiarato un famoso luterano; per la frequentazione e il soggiorno durante la conoscenza tra Arquer e Münster (anche se a quei tempi era riconosciuto ancora come cattolico); per le parole dure contro il clero e l’Inquisizione.

Arquer decise di abbandonare la Sardegna, non più sicura per lui; nel frattempo all’arrivo in Sardegna del nuovo inquisitore Diego Calvo, nel 1562, le deposizioni contro Arquer aumentarono considerevolmente. Già in quell’anno le accuse contro di lui erano ritenute fondate su prove solide.
Fu arrestato in Spagna nel 1563. Rimase prigioniero per otto anni, durante i quali fu sottoposto alle sessioni processuali da parte dell’Inquisizione, che faceva abituale uso della tortura. Fino al 1565 si difese da solo, presentando vari scritti per dimostrare la falsità dei testimoni con grande abilità e senso cattolico.

“Che vogliono che dica? Io non ho mai fatto male nè alcun altro lo ha fatto”.

Arquer si rifiutò di ammettere le colpe che gli venivano imputate e di coinvolgere altre persone facendone i nomi e, “per diritto naturale”, nonostante fosse già stato condannato a morte, volle continuare a difendersi “siccome egli (in questo passaggio Arquer parla di se stesso in terza persona) non tiene conto della sua vita, ma della verità, è più che mai deciso a morire piuttosto che a mentire, anche se contro di lui ci fossero centomila testimoni e lo condannassero centomila giudici”.

Gli inquisitori riferirono in seguito che Sigismondo Arquer non volle confessarsi con uomini che non credevano in ciò a cui lui credeva.
Contro Arquer era stata emessa sentenza di condanna a morte per rogo. Il verdetto venne eseguito il 4 giugno del 1571, a Toledo.


Fonti:
Sigismondo Arquer Sardiniae brevis Historiae et Descriptio, M. T. Laneri, R. Turtas
Illustres, O. Onnis, M. Mureddu
Foto da Wikimedia Commons

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