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Sardi all’estero: la responsabilità delle narrazioni

de Giulia Olianas

Secondo una stima risalente al 2021 i sardi residenti all’estero e iscritti all’Aire sarebbero circa 124 mila sparsi tra diversi paesi, per lo più europei.

Numerosi sono anche i circoli sardi all’estero, che con la loro intensa attività associativa a sfondo culturale e non solo, cercano di animare le comunità di sardi espatriati, promuovendo e rafforzando quel senso di legame alla propria terra d’origine anche a distanza, attraverso incontri ed iniziative. 

Proprio Il 27 e il 28 aprile scorso si è svolto a Ginevra un workshop promosso dalla Regione Sardegna, organizzato dalle associazioni sarde di Losanna e Ginevra e dalla federazione dei circoli sardi in Svizzera, che ha avuto come tema centrale l’emigrazione sarda. 

Tra i punti trattati si è parlato dei caratteri della nuova generazione di emigrati sardi, messi a confronto con la generazione precedente, della condizione di emigrato considerata come valore aggiunto e non come un qualcosa di penalizzante, come esemplificato dalla storia personale della neo-presidente della regione, Alessandra Todde, della necessità di sostenere i sardi che vogliono intraprendere delle esperienze di vita e di lavoro all’estero, soprattutto attraverso il rafforzamento dei circoli sardi, attualmente in crisi rispetto al passato, in modo da creare una rete per tutti gli emigrati sardi nel mondo. 

Durante l’incontro è stata inoltre ribadita l’importanza del legame che i sardi all’estero mantengono con la Sardegna e la loro disponibilità nei confronti dei giovani che dalla Sardegna arrivano per intraprendere un’esperienza o un nuovo percorso di vita.

A tal proposito sono stati però sottolineati anche degli aspetti apparentemente negativi nei rapporti con i giovani che decidono di restare in Sardegna, con i quali esisterebbe una difficoltà di comunicazione causata dalla limitatezza dei loro orizzonti ed interessi. Questa limitatezza sarebbe frutto della distanza tra “il surplus di formazione e competenze” per chi parte e “il deficit di tutte queste qualità” di chi resta nell’isola. La responsabile del circolo di Zurigo ha sollecitato l’istituzione di formazioni tramite corsi e webinar da organizzare nelle scuole superiori, che attraverso il coinvolgimento di personalità esemplari di emigrati sardi in Svizzera possano “motivare i giovani sardi” colmando questa lacuna in fatto di consapevolezza della propria condizione.

Benché consapevoli della miriade di problemi, soprattutto occupazionali, che rendono difficile il costruirsi un proprio percorso di vita in Sardegna, che colpiscono soprattutto le giovani generazioni, siamo sicuri che esprimere un giudizio sugli interessi e sugli orizzonti di chi per qualsiasi ragione decide di restare nella propria terra natìa possa avere dei risvolti positivi? 

Si tratta di una narrazione che ricorre molto spesso nella retorica di chi parte, che vede chi sceglie di restare in Sardegna come persone dagli orizzonti e dagli interessi limitati (da quando gli interessi soggettivi possono essere oggetto di valutazione?) e che hanno quindi bisogno di essere istruiti e motivati all’ «apertura». In realtà se si analizza bene questa visione, essa altro non è che il frutto della manifestazione di un conflitto interiore mai elaborato, che spesso corrisponde a quel senso di sdoppiamento che gli emigrati vivono nella propria quotidianità: avere due vite in due luoghi diversi e lontani tra loro, una diversa dall’altra e talvolta difficilmente conciliabili. Capita dunque che pur di affrontare il percorso doloroso che questo sdoppiamento comporta, e dunque la presa di coscienza della propria condizione e della propria responsabilità, si preferisca ergersi su un piedistallo di superiorità di fronte invece a chi, secondo questa logica, si è rassegnato o non è stato abbastanza coraggioso da cercare fortuna altrove.

Tale preconcetto, talvolta inconscio, dell’inclinazione ad una limitatezza invalidante di chi decide di restare in Sardegna, è anche legato alla concezione di individuo dedito alla produttività e ai meccanismi di competizione, per cui la mancanza di un impiego fisso e possibilmente super retribuito, come si trova facilmente all’estero, può causare un sentimento e una condizione di apparente inferiorità nelle persone che scelgono di vivere la propria vita in Sardegna, non essendo all’altezza di chi parte lontano per fare carriera.  

Anche rimarcare il divario tra surplus di conoscenze e competenze dei giovani che partono e il loro deficit nei giovani che restano non corrisponde ad una narrazione corretta: si dà infatti per scontato che tutto ciò che viene appreso all’estero sia automaticamente valido e carico di accezioni salvifiche, mentre è come se in Sardegna non ci sia possibilità di formarsi, di imparare e di apprendere. È chiaro che i sistemi cambiano, così come possono variare i tipi di competenze trasmesse che si adattano ai contesti, ma non per questo un sistema deve prevalere sull’altro da un punto di vista qualitativo; inoltre non sarebbe corretto pensare che i sistemi esteri siano perfetti e senza difetti, mentre quello sardo rimane inesorabilmente marchiato da qualificazioni negative che spesso sono vittime di generalizzazioni. 

Riguardo poi l’auspicio di riuscire a diffondere uno storytelling motivazionale per i giovani sardi che desiderano partire, ci sarebbe da chiedersi perché invece non esista l’intenzione di promuoverne uno che motivi a restare. Questo aspetto è totalmente inquadrabile in una concezione paternalistica secondo cui i giovani che scelgono per qualsiasi ragione di restare in Sardegna hanno bisogno di guide, individuate in “personalità esemplari di emigrati sardi”, che li aiutino ad uscire dalla propria condizione di limitatezza per aprirsi alla prospettiva di orizzonti più ampi, dando per scontato che gli individui non possano scegliere deliberatamente e consapevolmente di non partire e di dire no ad una vita più conforme a tutti gli standard richiesti dalla società capitalistica: eccellenza, produttività, competitività.  

I membri dei circoli sardi in Svizzera coinvolti all’incontro di Ginevra hanno poi espresso un parere comune sulle cause principali dell’emigrazione sarda, affermando di non voler assolutamente tornare in una “Sardegna che invecchia”: non sono mancate le legittime critiche ai problemi occupazionali, al sistema fiscale e a quello burocratico, e l’esaltazione della Svizzera per il livello di qualità di vita, di organizzazione sociale e vita quotidiana. Salta però all’occhio un binomio la cui consistenza è abbastanza debole, che però corrisponde ad una visione molto diffusa tra gli emigrati sardi; si parla di “nostra terra”, riferendosi alla Sardegna, alla quale si rimarrà sempre legati e grati per ciò che riguarda radici, formazione, e tutti gli aspetti positivi di un’identità. Quando però si deve in qualche modo spiegare perché si è partiti, si parla di “vostra classe politica e dirigente”, si esprimono giudizi sul “funzionamento dei servizi che vi siete dati nel tempo”, dove quella particella pronominale incarna un distacco tra noi e voi, tra noi emigrati che abbiamo scelto di partire perché obbligati e voi che siete rimasti e che siete responsabili di ciò che non funziona. 

È vero che in Sardegna il sistema presenta delle grosse falle, nessuno può negarlo. Ma esprimere giudizi così severi sulla propria realtà di provenienza, senza cercare di entrare nel merito delle questioni su cui influiscono numerose variabili, che andrebbero considerate caso per caso, non porta da nessuna parte e soprattutto non cambierà niente. Inoltre, produrre e diffondere delle narrazioni come questa, in cui si afferma non troppo velatamente che in Sardegna non vi sono degli interlocutori alla propria altezza, sminuisce tutti gli sforzi che chi resta compie quotidianamente, anche nel proprio piccolo. 

Sostenere delle narrazioni comporta sempre una responsabilità sia individuale che collettiva, e rivendicare una visione del genere crea come effetti le uniche cose di cui non abbiamo bisogno: divisione, senso di inferiorità, senso di colpa. 


Immagine: Bruno Catalano “Les Voyageurs” a Marsiglia, presa da milocca.wordpress.com

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Un commento

  1. Cundivido in prenu sas osservatziones e crìtigas de G. Olianas a sa “narrazione” de, ispero no de totu e mancu medas, sos Sardos emigrados o “Sardi nel mondo” (comente si o los narant, coment’e chi sos Sardos chi semus in Sardigna no siemus in su mundhu, “irmundhiados”!, e su mundhu siat solu… “oltremare”).
    Una prima cosa chi tocat a nàrrere est chi donzunzu faghet su chi podet e chi ischit. E, si sos emigrados ant fatu cussu, ant emigradu, tiat èssere interessante a cumprèndhere proite no ant pótidu o no ant ischidu fàghere àteru in Sardigna.
    A parte chi personalmente apo fatu sas iscolas de s’asilo a s’universidade (laurea in pedagogia) e personalmente fatu su docente (de “lettere”, in iscola média) bonos trint’annos, pro ischire carchi cosa de s’iscola italiana in Sardigna, primu: a deghesset’annos che apo frundhidu su “dialetto” e detzisu de no lu faedhare mai prus (comente apo fatu a vintun’annu); segundhu: a vintighimbe annos apo fatu una “iscoberta”, iscoberta de… cosa cuada, o mustrada ma dispretziada, isputzida, avilida, catigada, cun totu chi vinti chimbe annos fintzas deo la zughiat suta de pes (ma chentza ischire no naro nudha ma abberu tropu pagu e nudha de importu): apo iscobertu sa Sardigna!!!
    E apo iscobertu sa limba chi aia e aimus sempre chistionadu e aiant iscurcurigadu e isputzidu a “dialetto”. E apo comintzadu a chèrrere ischire e cumprèndhere. A vinti chimbe annos so nàschidu politigamente indipendhentista (ma s’educatzione mi l’ant dada babbu e mamma, cun sa régula: Si cheres cosa no ispetes sos àteros).
    E faghindhe iscola apo istudiadu s’iscola chi àteros aiant fatu a mie e chi deo e àteros fimus faghindhe: iscola italiana in Sardigna, un’iscola cun sa parte bona de li riconnòschere cantu e comente, ma pro àteru meda e importu assolutamente mannu e bisonzosu semplicemente infame, colonialista, allevamentu e allenamentu a totu sa dipendhéntzia cun s’ignoràntzia a fundhamentu de cimentu armadu. Iscola italiana “termovalorizadore” de Sardos e de Sardigna: chisina a nois inoghe e energia neta a fora.
    Ma de un’istória, de una terra, de sos benes, risorsas/richesas e possibbilidades pro ischire chie, ite e inue semus e podimus fàghere mancu duas rigas: ignoràntzia, irbandhonu, e menisprésiu a fundhamentu cun presuntzione de “istudiados”. E ‘politici’ iscallaus e ‘politica’ a iscallamentu in su matessi termovalorizadore de istruturas e domìniu de s’istadu ITALIA, partidos, sindhacados, associatziones e fintzes de “pastores” chi sunt pàssidos e parent prus de s’istadu italianu chi no de sa Crésia de Zesugristu.
    Chentza negare a neune su bene chi at fatu. Ma unu contu mannu, cantu e prus de nois e de sa Sardigna, inoghe no torrat! E sigomente sos Sardos puru semus zente e no berbeghes, ma dignos e bisonzosos de libbertade e responsabbilidade personale e colletiva chi est s’umanidade, zusta sa definitzione chi de su cristianu (no de “l’uomo”, comente narant in italianu) at dadu Aristòtele (e no ca isse «dixit», ma ca est!): su cristianu est unu «animale sociale», ma no che a s’abe o sa frommiga o àteros animales, e prus pagu coment’e «homo homini lupus» de carchi ‘filosofo’, ma comente «homo homini deus» e namus prus cristianamente totu frades/sorres bisonzosos donzunu de s’àteru e bonos s’unu pro s’àteru.
    Sos emigrados ite ant fatu? Postu chi apant istudiadu: Ite ant istùdiadu e a fàghere ite e inue e comente? Si torrent a lèzere sos lîbberos mescamente de istória e geografia de cust’iscola infame a bìdere si e ite ant iscritu de Sardigna e Sardos.
    No sunt unu e duos sos Sardos (ca totus ant fatu su matessi allenamentu in s’iscola italiana infame) chi a sa fine de sos istùdios (namus una borta diplomados e laureados) narant «Qui non c’è niente!»
    E bi ant pessadu pagu a su chi ant nadu o narant: ca si est abberu gai fintzas sa terra chi los sustenet e sa zente chi s’est fintzas brivada de medas cosas e fatu sacrifìtzios mannos pro los istudiare e issos etotu tiant èssere «niente»! Nos ant fatu a pantàsimas?!
    Ma no chentza isperàntzia chi fora de sa Sardigna bi est su mundhu ispetendhe a issos (e za los ispetant e si los godint puru chentza bi àere ispesu unu sodhu.
    Tzertu chi cun sa base de ignoràntzia e avilimentu in “calcestruzzo” est difìtzile a nàrrere «Abbarro inoghe, za ch’est su mundhu etotu!», ca est fintzas una terra rica de donzi bene (ma in manos de colonizadores pessendhe a sos fatos issoro e no a sos nostros, cun colonizados pregadores de ‘barones’ ifatu de ‘barones’ e de una politica mìsera e miseràbbile in tempus de monarchia, fascimu e demogratzia).
    Ma a emigrare, prus chi no a si “aprire” a su mundhu mi paret prus unu disertare, unu fuire dae su mundhu, e sighire a faghere sa Sardigna a desertu de zente e ocupatzione a polìgonos de addestramentu a sa gherra faghindhe e a fàghere e logu de donzi ispeculatzione e aprofitamentu como de chentinas de impiantos eólicos e fotovoltàicos che in terra de neunu.
    Deo de Sardos emigrados tio ispetare prus chi si ndhe torrent cun su chi ant imparadu e ischint in prus no pro sa gherra de irrichimentu e isfrutamentu de un’economia dominante assurda, de gherra, crìmine contr’a s’umanidade, distrutiva de zente, de benes materiales, de cultura e de logu faghindhe su mundhu intreu a muntonarzu.
    Si podet èssere menzus zente, prus cuntenta e prus pagu bisonzosa chentza èssere ‘idròvoras’ a consumismu “forzato” o ‘elefantes’, ma nessi chentza gherras, namus prus e menzus umanidade. Corazu!

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