Sa Die de sa Sardigna al tempo di Solinas
Forti della rinnovata saldezza al timone della RAS, dopo la bocciatura della mozione di sfiducia in Consiglio regionale, il presidente Christian Solinas e la maggioranza di destra che lo sostiene ricordano improvvisamente che tra due settimane ricorre Sa Die de sa Sardigna. Per l’occasione, racimolano dal bilancio regionale addirittura mezzo milione di euro, stanziato a finanziare un programma evidentemente messo insieme in fretta e furia.
La tempistica non è il solo difetto di questa improvvisa resipiscenza della politica di Palazzo. Il programma annunciato non si discosta dalle vacue dichiarazioni retoriche che da sempre accompagnano Sa Die, quando la politica istituzionale se ne ricorda. È un appuntamento che la congrega delle fazioni politiche dominanti hanno sempre mal digerito e perlopiù snaturato, onde depotenziarne il senso e sviarne i possibili richiami al nostro presente.
Perché in fondo l’aspetto che stride di più nelle varie celebrazioni istituzionali di Sa Die è la contraddizione tra i valori e il significato di tale ricorrenza e la miseria della politica sarda contemporanea. Chi oggi occupa il Consiglio regionale e i vari ruoli di potere nell’isola è facilmente identificabile con la schiera di opportunisti, cortigiani e arrivisti che negli anni del fermento rivoluzionario agirono sempre e solo per calcolo, a volte con esercizi di trasformismo degni di ogni possibile esecrazione.
La politica sarda odierna ricorda molto più i Pitzolo, i Pintoreddu, i Sisternes, per non dire il marchese della Planargia o il duca dell’Asinara e altri personaggi reazionari, che i leader dei “novatori”, coloro che guidarono il popolo delle città e delle campagne e teorizzarono i mutamenti politici più radicali. I vari Angioy, Mundula, Sanna Corda, Cillocco, Obino, Simon, Cadeddu e via elencando oggi individuerebbero nella politica subalterna e cialtrona che domina la scena sarda i propri avversari.
Gli stessi versi di Francesco Ignazio Mannu nel suo Su patriotu sardu a sos feudatàrios sembrano tagliati su misura per i vari presidenti della RAS e via a scendere lungo la gerarchia politica regionale:
Intantu in s’insula nostra
strofa 36
Numerosa gioventude
De talentu e de virtude
Oziosa la lassana:
E si algun ‘nd’impleana
Chircaiant su pius tontu
Pro chi lis torrat a contu
cun zente tzega a tratare.
E che dire delle ottave dedicate alla prepotenza ottusa dei feudatari e alla loro complicità con i Piemontesi? Chi non vi vedrebbe, oggi, un’allusione fin troppo scoperta alle pratiche clientelari più becere e al servilismo verso i propri padroni oltremarini di tanta politica sarda?
Insomma, non sembra che Solinas e tutto il Palazzo al seguito abbiano precisamente tutte le carte in regola per sedersi dalla parte della ragione.
Quanto sia vuoto e puramente circostanziale l’interesse della politica istituzionale per Sa Die lo dimostra l’impietoso paragone con le celebrazioni organizzate in questi ultimi anni da ANS, senza un centesimo di denaro pubblico, ma con la coscienza del senso della ricorrenza.
Basta anche solo dare un’occhiata al sito dedicato a Sa Die per rendersi conto di una distanza che è politica ma direi quasi antropologica, rispetto al tristissimo spettacolo della politica di Palazzo. E non è un giudizio di parte.
Sa Die deve essere prima di tutto una festa di popolo, fatta in nome dei valori universali della libertà, della dignità, dell’autodeterminazione e del progresso civile. Un orizzonte che per la politica sarda attuale equivale semplicemente alla sua nemesi. Il suo lavoro è scongiurare che questi valori si impongano e innervino la vita sociale e politica dell’isola. Nessuna celebrazione ufficiale, per quanto pomposamente propagandata, potrà farcelo dimenticare.
Immagine: open.online