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saccargia

Quell’unico responsabile del colonialismo energetico che tanto vorremmo

La semplificazione
È insito nella natura umana cercare un colpevole. Trovare una faccia, un nome e un cognome da accusare ci rassicura. Ci porta a pensare che la soluzione al male sia semplice e a portata di mano. Neutralizzato il nostro colpevole, i problemi svaniscono e possiamo goderci la vita. Perciò cerchiamo ardentemente questo responsabile. E dove non troviamo una faccia, cerchiamo un simbolo. Un partito, un’organizzazione. E dove non riusciamo a individuare un partito, puntiamo il dito verso un’intera classe politica, credendo che la soluzione risieda nel votare dalla parte giusta.
In questa direzione spesso si muove il movimento anticolonialista sardo. Gli eventi degli ultimi mesi hanno generato articoli e dichiarazioni in cui i termini liberista, neoliberista, capitalista, fascista vengono confusi e attribuiti impropriamente a persone che nulla hanno a che fare con questi orientamenti. Ma il problema del colonialismo in Sardegna è davvero tanto semplice da poter essere ricondotto a una questione di orientamenti sbagliati? Esistono davvero pochi singoli personaggi colpevoli di voltare le spalle alla propria terra e determinare il destino di tutta l’isola?

Il caso di specie: l’eccezione del colonialismo energetico
Il movimento di protesta contro la speculazione energetica ha visto il suo momento di massima partecipazione nell’evento di Saccargia. Una eccezione alla regola. Qui, manifestanti senza colore politico si sono radunati con un unico obiettivo. Dissapori personali e di parte sono stati accantonati. Tutto il movimento anticoloniale si è unito in onore di un concetto superiore: la tutela dell’isola. L’evento è stato promosso da un coordinamento regionale spontaneo di comitati apartitici. La logistica è stata curata dai gruppi dell’Anglona, della Gallura, della Nurra, del Meilogu. Il Gruppo L’Unione Sarda ha sostenuto l’evento con tutta la forza mediatica di cui gode. Immancabile la voce indiscussa del contro-colonialismo energetico: Mauro Pili. Pili, storicamente vicino al centro-destra ma comunque presente tra associazioni e artisti di tutt’altro orientamento. E’ una penna proveniente dal centro destra che scrive per una testata la cui proprietà è, a sua volta, storicamente di centro destra.
Saccargia ha dimostrato che più il problema viene analizzato nello specifico, più ci si allontana da schemi preconfezionati di barricate ideologiche. Colui a cui si è sempre guardato con diffidenza diventa una risorsa utile e importante se si lavora per una causa comune. La pratica di permutare schemi semplici ed estranei alle questioni coloniali viene meno. Non è più tanto importante il perché si è anticolonialisti, ma il semplice fatto di esserlo. Ci si chiede se la riproposizione di schemi già visti, e tipicamente italiani, non sia di per sé uno strumento di divisione e colonizzazione. Qual è il vantaggio di fare partitismi nel momento in cui la speculazione energetica nuoce tanto al grande albergatore quanto all’impiegato? La prospettiva di vivere e crescere i propri figli in un ambiente sempre più privo di opportunità accomuna tutti sotto lo stesso cappello. È inutile essere rossi, blu o verdi: si è tutti un qualcosa di diverso, di separato. Si è tutti danneggiati.

Il fuoco amico
Le abitudini sono dure a morire. Anche quando diventa controproducente, far ricadere fatti nuovi in vecchi schemi è quasi rassicurante, una comfort zone per molti, perfino quando si cade nel grottesco. Ma sono proprio questi i casi in cui emerge il colonialismo culturale, frutto del lavoro di decenni da parte di media e politicanti d’oltremare. Politicanti che tendono a ridurre qualunque questione ad un fatto di schieramento. Dopo aver ben imparato la lezione: approfondire non porta voti. Fa solo fare la figura del topo da biblioteca. La tendenza a sfruttare le appartenenze partitiche, veicolata dai media italiani, in Sardegna entra in contrasto con ben altre complessità. Complessità dettate dal fatto che sulla pietra sacrificale, qualunque sia la parte politica a governare a Roma, va sempre e comunque la terra con maggiori disponibilità naturali e meno votanti.

Il colonialismo energetico come atto neoliberista
Lo schema più spesso proposto vede il colonialismo energetico come il frutto di un atto liberista o neoliberista. Ammesso che esistano ancora i liberisti, in senso economico ma anche politico. Dato che parrebbero essersi estinti diversi anni fa. Si dimentica spesso che il colonialismo energetico è frutto di un’anomalia portata sul mercato dalle contribuzioni pubbliche. Un fenomeno totalmente agli antipodi rispetto alle filosofie liberiste. Niente contribuzioni pubbliche significherebbe nessuna speculazione energetica. Per non parlare del concetto di esproprio per ragioni di interesse pubblico, che in questo frangente potrebbe essere considerato, da un vero liberista, pura blasfemia. Sembra dunque che il termine, mutuato dall’economia, sia utilizzato per individuare una certa parte politica che di liberista ha ben poco. Ma è corretto puntare il dito solo su una parte politica?

Il colonialismo energetico è opera delle destre
L’idea che l’abuso del colonialismo energetico sia opera dei partiti di destra è inopinabile. Tuttavia, questa affermazione è fortemente incompleta. A giudicare dalla cronistoria degli eventi, infatti, sembra trattarsi di una responsabilità condivisa, un fenomeno bipartisan. Basti considerare il reale casus belli: la legge delega 53/2021 (il famigerato decreto Draghi) che ha reso possibile l’esproprio per motivi di interesse pubblico. Legge promulgata da un governo retto da PD e Movimento 5 Stelle. Quando si parla di colonialismo, i concetti di destra e sinistra si mischiano.

Non c’è da fidarsi di certi soggetti, meno che mai con chi è d’accordo con la dorsale del metano
Purtroppo il ragionamento del “con loro mai” non porta grandi risultati. Chi ragiona e non abbraccia filosofie preimpostate da altri ha sempre idee che non condivide. Interamente o parzialmente. Come popolo, è sano imparare ad accordarsi anche solo su temi singoli. Accettare di partecipare a una battaglia solo con chi condivide la propria filosofia per intero porta a ridurre una massa critica già esigua. Nei fatti, significa rinunciare a raggiungere il proprio obiettivo.

La transizione energetica è giusta, non si possono fare paragoni con Pratobello o con le Chiudende
Pare che in Sardegna non sia concesso rievocare la storia. Negli “alti salotti intellettuali”, si assiste frequentemente a chi solleva il naso verso l’alto e invita gli interlocutori ad esimersi dal citare confronti irrispettosi con pagine nere della storia isolana. Vietato parlare di Pratobello, meno che mai delle chiudende, fatti storici irripetibili e imparagonabili. La realtà è che questi, come altri eventi, sono accomunati dal tentativo di prevaricare sulla comunità sarda e ridurre la disponibilità di risorse della popolazione locale a favore di quella extra-isolana. Ma non si può soprassedere sulla castrazione cerebrale che deriva dal divieto imposto. È sano rifuggire da qualunque argomentazione imponga veti di pensiero, visto che, fortunatamente, il ventennio è finito da un pezzo.

Conclusioni
Finora adottare schemi di pensiero prettamente italiani nel mondo colonizzato non ha portato grandi risultati. La subalternità è aumentata tanto quanto la libertà acquisita dallo Stato italiano nell’imporre leggi inadeguate, nel sottrarre risorse, nel mettere in secondo piano le ragioni sarde in ogni occasione possibile. I temi del colonialismo energetico ci offrono una grande opportunità: cominciare a ragionare come popolo, concentrandoci su ciò che abbiamo in comune invece che sulle nostre differenze. Ricominciare a impossessarci degli argomenti. Lasciare fuori dall’isola le finte beghe personalistiche, spesso artefatte per non permetterci di fare una cosa di cui tanto abbiamo bisogno: approfondire i temi.


Immagine: Unione Sarda

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