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Pratobello24, l’inizio di una nuova fase

Con la consegna delle firme raccolte a sostegno della proposta di legge Pratobello24 si conclude oggi una fase importante della storia politica recente della Sardegna. Una mobilitazione popolare non inedita ma comunque sorprendente ha sfruttato uno strumento di democrazia diretta, di solito ignorato, per imporre il proprio protagonismo al Palazzo e lanciare un messaggio chiaro alla politica sarda e italiana.

Le prescrizioni puntuali contemplate nella proposta di legge Pratobello24 non sono tutte congrue, praticabili e/o auspicabili. Ma la portata simbolica e politica delle oltre 200mila firme raccolte sta tutta nel nucleo incandescente della rivendicazione in corso: la Sardegna, chi la abita, non può né vuole essere ancora un oggetto a disposizione di interessi e obiettivi esterni, non tollera più il ruolo – apparentemente inevitabile e ineludibile – di propaggine coloniale dello Stato italiano. 

La vertenza energetica ha fatto precipitare e ha dato consistenza specifica a un nodo storico irrisolto che tocca questa e altre questioni aperte. La partita dei trasporti, sempre trattata in ottica italo-centrica e favorevole alle compagnie aeree italiane o al massimo rivolta a favorire il turismo, a discapito di chi vive e lavora in Sardegna; la questione sanitaria, soggetta a approcci aziendalisti e clientelari che si sommano alle previsioni di legge statali per generare il disastro in corso; la questione scolastica, con l’imperversare delle prescrizioni governative, a fronte della scarsa o nulla capacità di interposizione e di decisione da parte della politica sarda; il rischio nucleare, riemerso non più tardi di pochi giorni fa e tutt’altro che scongiurato; la questione linguistica; i problemi dei comparti produttivi del settore primario, con l’eradicazione della peste suina subito compensata, negativamente, dall’imperversare della “lingua blu” e in generale una produzione di cibo largamente sottodimensionata. 

Non è un elenco esaustivo. Ogni questione si porta appresso ulteriori corollari, che si traducono in disservizi, disagi assortiti a livello sociale e fin dentro le nostre famiglie, debilitazione culturale, impoverimento materiale e demografico. 

Non riconoscere in questa situazione disastrosa un effetto diretto della nostra condizione di subalternità e dipendenza è ormai una scelta. Difendere lo status quo è un atto di irresponsabilità o di mala fede.

La mobilitazione contro la speculazione energetica non risponde solo all’emergenza di questi anni (anni, non mesi, a dispetto di chi la legge solo come un attacco subdolo alla giunta Todde), bensì dà la stura a un sentimento generalizzato di insofferenza tanto verso la politica di Palazzo sarda quanto verso le decisioni calate dall’alto e dall’esterno, a cui purtroppo siamo stati abituati dall’epoca sabauda in poi.

La Sardegna non rifiuta le fonti rinnovabili, ma la speculazione e l’aggressione coloniale tramite cui le si sta imponendo sull’isola, contro l’interesse delle nostre comunità e a detrimento di beni e necessità comuni. Questo deve essere chiaro. Sia per la politica podataria che occupa le istituzioni e mal tollera questo protagonismo popolare, sia per i vari centri di interesse che pretendono di cavalcare la mobilitazione per i propri obiettivi specifici. Non deve nemmeno innescarsi una gara di protagonismo né un contest in stile social media per l’egemonia interna al movimento. Situazioni già viste, che non hanno mai portato buoni frutti.

Tenendo conto di queste avvertenze, ci sono le condizioni per tradurre questo momento particolare della nostra attualità in un fattore di crescita democratica e di riscatto storico reale. Depositare in Consiglio regionale le firme raccolte non deve essere una fine, ma l’inizio di una nuova fase. Di cui bisognerà farsi carico responsabilmente, in nome di un interesse generale di portata strategica. Cerchiamo di esserne all’altezza.


Immagine: Unione Sarda

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