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Popolo vs Palazzo: Azione, Natzione, Narrazione – S’Imprenta

S’Imprenta – Rassegna stampa dalla colonia (tutti i sabato mattina su S’Indipendente)

La frase di Todde “i legislatori siamo noi” risuona ancora gravissima tanto più passano i giorni e l’ormai certezza che non ci sarà anche una seppur minima rettifica o aggiustamento del tiro.
Anzi, rafforza il messaggio con stizza e l’arroganza tipica del Palazzo, ma con la forma tipica dei dilettanti della comunicazione politica.
La legge popolare è prevista per legge, non c’è nessuna forzatura.

Peggio ancora, denuncia Pili, la conta ufficiale delle firme si fermerà a 10.000, ufficializzando quel numero invece delle oltre 210.000, e anziché sommare il totale contabilizzato delle firme già certificate da avvocati, notai e amministratori comunali, stanno riverificando le firme. L’obiettivo è chiaro: perdere tempo e far arrivare la legge popolare a giochi già fatti dopo aver approvato la legge sulle aree idonee di Todde.
C’è il tanto per iniziare a mettere tra le varie opzioni la richiesta delle dimissioni.

Le frasi liquidatorie nella storia non sono state molto fortunate, dalle brioche francesi prerivoluzionarie, al sindaco di Cagliari Ottone Bacaredda che nel 1906 con il suo “no podeis papai petza? Papai bacalliari” rivolto alle tabaccaie, causò una devastante rivolta nel sud Sardegna e i tram furono buttati a mare.
Bacaredda fu soprannominato prontamente “Sìndigu Bacalliari1“, e la rivolta terminò con piombo caldo dell’esercito sui manifestanti. Oggi a Bacaredda intestano vie e scuole. 

Le parole sono importanti. Nella narrazione di questa fase ci stiamo riscoprendo Natzione (senza stato). Più che nei convegni, è nella lotta che il significato entra sottopelle per resistere al chiacchiericcio televisivo statal-popolare. Si coinvolgono le emozioni, non semplicemente la ragione.

D’altro canto l’azione senza la narrazione non emerge dal livello di coscienza con tutti i suoi significati, e viene narrata da altri, interpretata a piacimento.
L’azione va inquadrata dentro ad un framing, pena lasciare diverse operazioni slegate e senza collante ideale. 

Le piazze hanno rivoltato prima di tutto le parole della narrazione dominante, per ricostruirla con il punto di vista del colonizzato, o “dell’oggetto”. Questa cosa è capitata raramente in Sardegna, e in Italia faticano a capirla, per cui fraintendono l’attuale questione sarda come movimento favorevole al fossile.

In polemica precongressuale, Grillo rompe le “scatolette di Todde”, scambiandola per una attivista contraria alla transizione. Grillo non capisce niente di cose sarde, farebbe meglio a tacere, la parte di sinistra sarda che ha esultato sulle parole del comico si rilassi. In Italia non sanno nulla delle dinamiche sarde, prendono abbagli facilmente.

La protesta nata in Sardegna si sta diffondendo nel centro Italia, ma con altra intensità e con carattere puramente paesaggistico-culturale. Non si mette i discussione il sentimento di italianità. In Sardegna, a fare la differenza è la lezione appresa dall’elaborazione dei pochi intellettuali, che dagli anni ’70 hanno riproposto la questione sarda, trasmessa nella società dai movimenti indipendentisti ed amplificata all’ennesima potenza in questa fase.

La questione natzionale è principalmente una questione di poteri di chi decide in Sardegna, non esiste una questione autarchica, etnica, e tanto meno biologica. La questione è politica, sociale, civile e culturale.
E sul culturale, che oscilla tra demos e ethnos, si gioca un pezzo importante della partita.

La scuola italica, incentrando i programmi come se esistesse un lungo risorgimento italiano, dagli etruschi a Garibaldi, da Virgilio a Leopardi, è uno strumento potentissimo per “fare gli italiani” (e “disfare i sardi”). Tutto è accaduto nella storia per un fine teleologico, secondo la narrazione italiana.
Se avessimo avuto la scuola sarda saremmo entrati nella modernità con la nostra lingua e cultura. Come tutti i popoli del mondo. 

Questa assimilazione, ci ha convinto nei decenni passati, che l’Italia ci stava civilizzando mentre in realtà spacciava servitù come sviluppo: basi militari, petrolchimica, finti piani di rinascita (che favoriva le aziende milanesi) carceri speciali, la cancellazione della lingua.
A monte di questa accettazione da parte nostra, c’è prima di tutto un fatto culturale, ancora non risolto. 

Questa narrazione italocentrica si è rotta nel “non mi sento italiano“, pronunciato con voce tanto bassa, quanto sicura e potente, dal sindaco di Orgosolo, nella manifestazione del 2 ottobre a Cagliari. Questa settimana il sindaco ha annunciato che «Pazientiamo per tre settimane, poi si vedrà».

Per poter accettare la transizione occorre prima smontare la narrazione dominante, pezzo per pezzo, e poi decidere cosa fare, dopo averla ricomposta su altre basi.
La transizione si deve fare? 
La domanda è errata, la domanda giusta è, “quale transizione?“.

L’Italia ci ha assegnato 6.2 GW entro il 2030, non in base alle nostre esigenze, ma perché si trovava con 80 GW di servitù da distribuire tra le regioni.

L’UE, invece, ci chiede solo il 42,5% di energia prodotta da energia rinnovabile entro il 2030, ma posta così non significa nulla.
Prodotta per chi? Il dato cambia se dobbiamo produrre per l’Italia intera, per tutta Europa o per i soli nostri consumi.
Ecco la produzione da rinnovabili in Sardegna nel 2022, dati Terna.

Dati Terna produzione rinnovabili 2022

Questi sono i dati sul consumo, stessa fonte e stesso periodo.

Dati Terna consumi in Sardegna 2022

Dunque, calcolando l’energia prodotta da rinnovabili (3.443 GWh) sui nostri consumi (8.112 GWh) stiamo già producendo il 42,4% da rinnovabili, perciò, abbiamo fondamentalmente già raggiunto l’obiettivo dell’UE con largo anticipo.

Vogliamo fare più di quello che ci chiede l’UE? Il 60%? Il 100%? 
Va bene, ma dobbiamo essere noi a deciderlo, in piena sovranità. Non Grillo, Tozzi, Draghi e Pichetto Fratin.

Ma soprattutto, Grillo, Tozzi e diversi italioti vari, visto che abbiamo già completato la nostra transizione con largo anticipo, perché continuano a dire che siamo contro la transizione?
Il colonialismo si nutre della speculazione linguistica, prima ancora che economica.
Una provocazione: abbiamo raggiunto la nostra quota, fermiamoci così! Alle emissioni zero ci arriviamo piantando alberi. E con questo siamo in linea, dunque FAVOREVOLI, alla transizione UE, nel piano fino al 2030.

Provocazioni a parte, estrarre energia illimitata dal sole e dal vento è pur sempre meglio che estrarla sventrando la terra per prelevare carbone, con tutto quello che comporta dal punto di vista dei lavori schiavistici, di cui nel Sulcis abbiamo testimonianza ancora viva nella silicosi. Certo, poi c’è il problema del litio delle batterie, anche quello da estrarre, dunque nel bilancio bisogna mettere in conto anche tutte le batterie che occorrono.

Sempre l’UE, ha l’obiettivo emissioni zero entro il 2050 attraverso la piantumazione di 3 miliardi di alberi.
Questo pezzo la narrazione dominante l’ha completamente trascurato, le piante non producono energia e giri d’affari imponenti.
Iniziamo a piantare ulivi in tutti i cantieri, come “chiama” sempre il presidio di Selargius.
Gli ulivi sono protetti e dovranno eventualmente essere espiantati e reimpiantati previa autorizzazione della città metropolitana o delle province. Una resistenza naturalista che usa la burocrazia contro sé stessa. 
Anche questa settimana i/le presidianti hanno bloccato i lavori con la forza della poesia, e continuano a piantare ulivi.
Sotto, il video del blocco dei lavori.

Pagina FB Sa Barracca de su Padru

La narrazione detta le priorità, il trucco “siete contro la transizione?“, o “siete per il fossile?“, ha tratto in inganno: la transizione dell’UE è già stata completata, in Sardegna, Grillo, Tozzi, Schlein e Meloni dovrebbero studiare i dati prima di parlare.
Il resto dobbiamo deciderlo noi per nostra scelta, senza imposizioni romane, almeno così dovrebbe essere in una situazione non distopica.
Per farlo occorre una rivolta culturale che porti allo scontro con lo stato con cui occorre ristabilire i rapporti, per confrontarci da pari a pari.


Todde dice che non farà lo scontro contro lo stato “con una rivoluzione violenta“, e queste dichiarazioni lasciano perplessi, perché nessuno ha mai parlato di violenza. Le forme di lotta sono state la raccolta delle firme, la piantumazione di alberi, resistenza passiva sdraiandosi in terra, recitare poesie, partecipare a manifestazioni, scrivere leggi, moratorie o emendamenti, scrivere articoli, girare video, scrivere canzoni.

In un post, il giornalista Mario Guerrini parla di indipendentismo, ma come al solito mischia pere con mele, non sa nulla di cosa sia minimamente il movimento indipendentista, che ha una storia che non si può risolvere nel Psd’Az, e in cui Solinas c’entra come l’ananas sulla seada. In pratica è un disinformatore seriale. Se la prende con Bainzu Piliu, e in un delirante post successivo definisce la candidatura di Lucia Chessa alle precedenti regionali “contro natura“. La difesa ad oltranza del Palazzo, in queste condizioni, evidentemente logora parecchio, e gli effetti si vedono tutti.

Guerrini rincara le parole di Todde, per cui dire “cacciamo l’Italia dalla Sardegna” (A foras s’Italia de Sardigna) “può suscitare in qualcuno il seme della violenza“. Perfettamente allineato con la linea Todde. Se studiasse l’indipendentismo nel mondo, capirebbe che in Scozia ci hanno provato con un referendum, ma lo studio non è cosa da tutti. Prima si parla, poi si vede cosa succede.

Le irresponsabili dichiarazioni di Todde hanno l’effetto di tirare in ballo la repressione italica, la quale sta già mostrando il volto peggiore.

Continuano ad arrivare le denunce ai presidianti del porto di Oristano, è arrivata a Luigi Salis, che si opponeva ai TIR in sedia a rotelle, all’indipendentista Bustianu Cumpostu, che ha già dichiarato che non pagherà la multa allo stato italiano, preferendo il carcere, ed è pronto a difendersi nei tribunali in lingua sarda. Massima solidarietà a tutti i denunciati dallo stato italico.

Il dubbio è che sia iniziata la narrazione preparatoria alla repressione, ma questa volta la maggioranza della popolazione sta contro lo stato italiano e con chi resiste, avranno cattivo gioco.

Al corteo contro il Ddl “sicurezza” 1660 e pro Palestina di sabato scorso a Cagliari, non è stata concessa l’autorizzazione, in un loop repressivo in cui i tentacoli italiani in Sardegna vietano la manifestazione che è contro i divieti di manifestare il dissenso sotto diverse forme.
Si è svolta ugualmente, ma la polizia ha caricato violentemente (la violenza di cui parlava Todde, si riferiva allo stato?) i pacifici manifestanti.
Questa rubrica settimanale sta diventando sempre più unu bulletinu de gherra.


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Interessante, se non altro per capire se la repressione italica tollererà le maschere.

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1 Maria Concetta Dentoni, Elisabetta Serreli, Selargius nella storia, Proteste amministrative e sociali della prima metà del XX secolo, Ape Sardinia

Immagine: S’indipendente su foto Ansa e Cagliaripad

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