Organizzazione politica e autodeterminazione in Sardegna
La Sardegna affronta la fase post pandemica. Come? In condizioni di precarietà economica, grave inadeguatezza strutturale, e con un ceto dirigente politico incapace di porre innanzi i reali interessi dei sardi e dell’isola. Di fronte a tutto ciò, il mondo dell’autodeterminazione ha il dovere di ritrovare un’organizzazione politica efficace, uscire dal silenzio seguito alle elezioni regionali del 2019 e farsi portavoce di quanti non accettano la subalternità della Sardegna alle priorità romane. Ecco il senso di questo pezzo di Omar Onnis: Un’estate di riflessione politica in preparazione delle sfide prossime venture. Sotto, l’avvio dell’articolo. Il resto si può leggere sul blog dell’autore.
Dopo l’epidemia covid-19, la cui conclusione non è ancora certa, sia in termini sanitari sia in termini di gestione emergenziale, i problemi socio-economici della Sardegna si sono ripresentati acuiti e aggravati.
Non c’è da stupirsene, data la condizione di estrema fragilità prodotta da decenni di crisi permanente. I danni provocati dall’epidemia e soprattutto dalla sua gestione politica sono già evidenti, ma probabilmente si tratta solo di un anticipo di qualcosa di peggio.
Ci aspetta un autunno caldo, a cominciare dal contesto internazionale. Il contesto statale italiano non ne uscirà indenne e anzi alcuni segnali indicano una volontà politica piuttosto chiara: mantenere strette le maglie della sorveglianza sociale e ben affilate le armi della repressione.
L’intenzione delle classi dirigenti internazionali, e di quella italiana in particolare, è di far pagare due volte la crisi sanitaria alla classe lavoratrice, ai ceti sociali più deboli, ai territori periferici o sottoposti a forme assortite di rapporti di forza sbilanciati, alle minoranze. Non solo non perdere posizioni di dominio e di vantaggio, ma se possibile incrementarle.