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Oltre le scorie. Una questione di responsabilità

de Valeria Serreli


Esistono argomenti sensibili che ciclicamente tornano violentemente alla ribalta, uno di questi è il trattamento dei rifiuti speciali. È del 5 gennaio la pubblicazione da parte della SOGIN delle 67 aree potenzialmente idonee ad ospitare il Deposito Nazionale e il Parco Tecnologico che permetterà di sistemare i rifiuti radioattivi italiani, come previsto dalla direttiva europea 2011/70/Euratom. Ben 14 di queste aree sarebbero state individuate in Sardegna

Da allora ci troviamo davanti a due schieramenti contrapposti, le cui posizioni sembrano del tutto inconciliabili: 
– da una parte il mondo scientifico che all’unanimità riconosce nello stoccaggio delle scorie nucleari una pratica necessaria e sicura, per alcuni perfino un’opportunità di sviluppo economico;
– dall’altra, una levata di scudi da parte di amministrazioni, associazioni di categoria e cittadini che temono per l’ambiente e per la propria salute.

Credo saremo più o meno tutti d’accordo nell’affermare che ogni comunità produce dei rifiuti speciali (e i sardi non fanno eccezione), per cui dovrebbe essere un discorso di responsabilità trovare il modo migliore per gestire i rifiuti speciali – fosse anche solo per lo smaltimento delle sostanze radioattive prodotte per la diagnosi clinica, per le terapie antitumorali e le attività legate alla medicina nucleare – e farlo in modo virtuoso, rispettoso dell’ambiente e della salute dei cittadini.

Quale dovrebbe essere, allora, il nostro comportamento?
Dovremmo pretendere che venga individuato il sito più idoneo nel rispetto dei criteri tecnico-scientifici, che venga rispettata la normativa Europea e che il procedimento sia effettivamente condotto in modo trasparente e partecipato, come previsto dalla Carta Europea dei Ricercatori e dalla Convenzione di Aharus del 1998
L’osservanza di questo modus operandi servirebbe sicuramente ad attenuare la sindrome NIMBY, che altro non è che la naturale e comprensibile reazione di cittadini che, non avendo fiducia nelle scelte delle istituzioni, percepiscono quanto prospettato dal governo come un pericolo, un’ingiusta e intollerabile imposizione.

Il fenomeno NIMBY (Not In My Back Yard, trad. non nel mio cortile sul retro) si manifesta ovunque, anche dove la qualità della democrazia è elevata e i cittadini hanno fiducia e considerazione delle istituzioni dalle quali si sentono rappresentati e tutelati. Figuriamoci se non è così nelle periferie degli Stati, laddove i cittadini sono lontani dalle stanze del potere, come per esempio succede in Sardegna, periferia per eccellenza.
Analizzando il nostro rapporto con le istituzioni italiane, il pregiudizio rispetto alle decisioni imposte è più che fondato e verrebbe da chiedersi quanto gli interessi dei sardi siano soggetti alla poca trasparenza nei processi decisionali.

Foto: depositonazionale.it


Ho fatto due chiacchiere con la Professoressa Fedora Quattrocchi, esperta di sismologia, vulcanologia e stoccaggio dei rifiuti speciali. Ripercorrendo la sua vicenda lavorativa nelle istituzioni italiane sembra proprio che non possiamo permetterci di dormire sonni tranquilli.
Accademica con un eccezionale curriculum arrivata ai massimi vertici dell’INGV (Istituto di Geofisica e Vulcanologia), la Professoressa mi racconta con dovizia di particolari quanto secondo lei sia poco affidabile l’iter che ha portato alla scelta dei siti potenzialmente idonei.
Mi parla di vulnus nella trasparenza, nella condivisione e nella collegialità, come denunciato già nel 2015. Non solo: secondo lei la Sardegna non dovrebbe neppure essere presente su quella lista.
La Dottoressa ha sempre denunciato ogni irregolarità procedurale e, proprio per questo – mi racconta – è stata ingiustamente sottoposta a 7 procedimenti disciplinari che hanno portato nel 2019 al suo licenziamento.

Nei prossimi giorni uscirà la sua intervista per l’Assemblea Natzionale Sarda. Ne scriveremo anche qui su S’Indipendente, perché è una storia che non può lasciarci indifferenti e che merita attenzione.
Sono convinta sia necessario impedire con tutte le nostre forze che interessi estranei alla Sardegna corrompano i processi decisionali, mettendo inequivocabilmente a rischio l’ambiente, gli abitanti e, in questo caso, perfino le generazioni future.

In Sardegna decidano i Sardi.
Dal 5 gennaio è iniziato il countdown dei 60 giorni entro i quali potremo opporci alle decisioni prese dalla SOGIN. Saranno sufficienti? Sicuramente non c’è tempo da perdere.

Foto de presentada: Dan Meyers on Unsplash

24 gen 2021

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