Non ci serve un dominio Internet, ci servono prospettive
Sono passati quasi nove anni da quando ho aperto la petizione online per l’ottenimento del .srd, era il 27 maggio 2015. Naturalmente la petizione mirava solo ad attirare un po’ di attenzione su un tema, noto almeno dal 2005, che veniva sistematicamente derubricato a questione secondaria da affrontare solo una volta risolti tutti gli altri problemi della Sardegna, cioè mai. Le procedure per l’ottenimento di un dominio Internet di primo livello, hanno un iter rigido e tempistiche stabilite da un’autorità (ICANN) e quindi non si possono realmente mettere in moto con una semplice raccolta di firme.
Aperta la petizione, era utile cercare di stimare i costi di un’eventuale acquisizione del dominio rispetto alle eventuali ripercussioni (quantificabili economicamente o meno), anche e soprattutto alla luce del vistoso e tuttora irrisolto problema di immagine di cui soffre la Sardegna su Internet, perché, su questa base si poteva identificare un insieme di interessi condivisi da un buon numero di persone e sui quali l’ottenimento del dominio avrebbe potuto incidere. E più persone supportano una campagna, più le Istituzioni saranno interessate a quella campagna, il concetto è banale.
Non si poteva pensare infatti (e continuo a crederlo), in modo serio, all’attivazione del dominio Internet .srd, senza auspicare un ruolo da protagonista per le Istituzioni sarde, quantomeno per la maggiore di esse, sia per motivi prettamente economici (difficilmente degli investitori privati finanzierebbero l’operazione se non a titolo di mero investimento) che per motivi di prestigio (agli occhi dell’autorità una richiesta sponsorizzata da soggetti istituzionali risulta “più potente”). Ma soprattutto perché il tema è talmente strategico e delicato da richiedere indiscutibilmente il coinvolgimento della Regione Sardegna.
Fatte queste premesse, diversamente da qualche anno fa, non sono più così sicuro che valutare questi anni di campagna come un totale fallimento sia del tutto corretto. Malgrado la raccolta firme non sia mai decollata, è grazie alla petizione che la campagna è arrivata all’attenzione dell’allora Consigliere Regionale Paolo Zedda e proprio lui nel 2017, durante la Presidenza Pigliaru, è riuscito a fare entrare il .srd per la prima volta in Consiglio Regionale, con un emendamento che prevedeva 20.000 € da destinarsi alla “attivazione delle procedure propedeutiche all’acquisizione della titolarità, da parte della Regione, del dominio”.
Non sappiamo se queste procedure propedeutiche all’acquisizione della titolarità del dominio siano mai state attivate (non risultano notizie), ma non c’è dubbio che per il .srd, l’arrivo in Consiglio Regionale sia stato un notevole passo avanti. E considerando che siamo partiti da “abbiamo il dominio .it, a cosa ci serve il .srd?” e che il massimo a cui potevamo aspirare, nell’ottica europeista delle cose era “abbiamo il dominio .eu, a cosa ci serve il .srd?”, arrivare, con estrema fatica, a “magari di questo dominio .srd potremmo parlarne”, è stato un risultato importante.
Durante la Presidenza Solinas, nel 2021 per la precisione, il .srd è tornato nuovamente in Consiglio Regionale e, tramite la Legge Regionale n.17 è stata destinata alla “realizzazione di un progetto di ricerca finalizzato all’ottenimento da parte dell’ICANN ed alla predisposizione e gestione del dominio Internet di primo livello della minoranza linguistica sarda” una somma cospicua: 1.350.000 € in tre anni (2021, 2022 e 2023), destinati al CRS4, il Centro di ricerca, sviluppo e studi superiori in Sardegna controllato dall’agenzia regionale Sardegna Ricerche.
Anche di questo progetto di ricerca attualmente non risultano notizie, ma le circostanze sembrano incoraggianti: dato che, come appena ricordato, le ultime due legislature, seppur di diverso “colore politico”, hanno espresso interesse verso il .srd, sembra lecito aspettarsi che la nuova Amministrazione della Regione Sardegna segua la tendenza. Anche se, il semplice interesse non basterà più, dato che è pressoché certo che nel secondo trimestre del 2026, ICANN raccoglierà le candidature per il prossimo round di assegnazione di domini Internet generici di primo livello e la Sardegna non può nuovamente perdere il treno.
Però, per quanto si possa tifare per l’ottenimento del risultato, se l’operazione si tradurrà nella semplice istituzione di un servizio di assegnazione di domini Internet, gestito e controllato da una qualche agenzia regionale, credo si perderà una grande occasione. Perché, il dominio in sé, non può essere l’obiettivo della campagna. La Sardegna non è Tuvalu e quindi è difficile pensare che l’economia sarda possa essere rivoluzionata dall’acquisizione del .srd. Ma se usato come leva, l’ottenimento del .srd potrebbe invece rivoluzionare il modo in cui pensiamo alla nostra comunità.
Avere asetticamente il proprio sito Internet sotto un dominio .srd (e questo vale sia per i privati cittadini che per le aziende), è come sventolare la bandiera dei quattro mori ai concerti o attaccare l’adesivo della Sardegna sulla targa dell’auto: è una nota di colore che, a chi lo fa, fornisce l’illusione di un effimero orgoglio nel rivendicare il fatto di essere nati in una determinata parte del mondo, cioè qualcosa del tutto casuale e per la quale non si ha alcun merito personale. Ma oltre a questo, più che suscitare un po’ di simpatia da parte di chi osserva il fenomeno, non dà niente. E a noi serve molto di più.
Quello che ci serve è convincerci di essere una comunità di interessi e abituarci ad agire in questo senso. Ci serve riuscire, in modo totalmente indipendente, a modellare la nostra immagine per mostrarla al mondo, nel modo che riteniamo più opportuno e conveniente. Ci serve imparare che le nostre particolarità culturali e linguistiche hanno un valore reale (spendibile magari) e che non sono solo delle caratteristiche simpatiche da sfoggiare in contesti informali ma da nascondere sistematicamente in contesti formali, per il timore di perdere serietà e autorevolezza agli occhi degli interlocutori.
E quale sarebbe la ricetta per ottenere tutto questo con un semplice dominio Internet? Dando un’occhiata al Consiglio di amministrazione della Fundació .cat (la fondazione catalana che controlla e governa i domini .cat) troviamo: Òmnium Cultural (organizzazione culturale), Corporació Catalana de Mitjans Audiovisuals (ente pubblico di produzione di contenuti audiovisivi), FemCat (associazione di imprenditori), Futbol Club Barcelona (società sportiva), Xarxa Vives d’Universitats (rete delle università di lingua catalana), CCCEPC (associazione di coordinamento di tutti i centri di studio locali sulla lingua catalana), solo per citare alcuni membri.
Perché dovrebbe essere assurdo pensare di poter replicare un’esperienza del genere anche in Sardegna, creando una nuova organizzazione (una fondazione magari) che oltre a governare il dominio .srd, funga da “luogo di incontro” per le Istituzioni (Regione Sardegna in primis, ma anche i Comuni ad esempio), per le imprese e le associazioni di categoria, per i gruppi editoriali, per le società sportive e per il mondo della cultura (università, fondazioni, associazioni ecc.), nel quale si possa discutere e coordinare una nuova generazione di azioni che impattino su temi come l’identità digitale e la salvaguardia della cultura e delle lingue della Sardegna su Internet?
Se la comunità sarda esiste, esistono anche degli inconfondibili interessi di questa comunità. Accordatici su questo, non resta altro che far sedere a un tavolo una rappresentanza di tutte le anime che compongono questa comunità e fare in modo che si assumano la responsabilità di discutere di come iniziare finalmente ad agire in modo coerente con gli interessi comunitari. Il tavolo intorno al quale parlare lo potrebbe fornire il .srd, è questo il vero obiettivo della campagna e secondo me lo è sempre stato.
Non ci serve un dominio Internet, ci servono prospettive.
Immagine: filosofiadelogu.eu