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L’Università si apre ai corsi di lingua sarda e delle altre lingue minoritarie. Intervista a Dino Manca

Nel marzo dello scorso anno pubblicammo un’intervista al prof. Dino Manca relativa all’introduzione, presso l’Università degli Studi di Sassari Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali, del curriculum di Lingue e culture della Sardegna presso il corso di Laurea magistrale in Lettere, Filologia e Industria culturale (LM14). 

A distanza di circa un anno, sono stati attivati, nello stesso Dipartimento, quattro laboratori di lingue della Sardegna finanziati dalla RAS. A partire da lunedì 21 marzo, infatti, hanno preso avvio i corsi di lingua sarda e delle lingue cosiddette minoritarie (sassarese, algherese e gallurese).  

I laboratori linguistici sono aperti al territorio e sono erogati in modalità mista: in presenza e on line su piattaforma Microsoft teams. Infatti, oltre agli studenti iscritti al curriculum di Lingue e culture della Sardegna della laurea magistrale di Lettere, filologia moderna e industria culturale (LM14), chiunque può ancora partecipare, compatibilmente con la disponibilità dei posti e dell’avanzamento del corso, a eccezione del corso di sardo che ha raggiunto rapidamente il numero massimo di 90 iscritti. Sarà rilasciato un attestato di frequenza dal Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali.  

Il corso di gallurese è tenuto dal dott. Riccardo Mura (riccardomura@yahoo.it), da lunedì 21 marzo; il corso di sardo, tenuto dal dott. Gabriele Tanda (gabriele_tanda@hotmail.it; gabriele.tanda84@gmail.com) da mercoledì 23 marzo; il corso di algherese, tenuto dal dott. Francesco Ballone (francesco.ballone@libero.it) da mercoledì 23 marzo; il corso di sassarese, tenuto dal dott. Alessandro Derrù (alessandroderru@hotmail.it) da giovedì 24 marzo.  

Tutti gli interessati sono invitati a mettersi in contatto con il docente del laboratorio linguistico scelto, oppure con il referente scientifico del curriculum di Lingue e culture della Sardegna, prof. Dino Manca (dinomanca@uniss.it). A oggi, il sardo ha 90  adesioni, l’algherese 60, il gallurese 18, il sassarese 15.  

Abbiamo rivolto al prof. Dino Manca, protagonista indiscusso di tale progetto, alcune domande sulle ragioni/motivazioni culturali e sociali di una scelta che appare nuova ma che nasce da un lungo dibattito sulla questione del bilinguismo e della tutela del sardo, delle varianti e delle altre minoranze, a rischio di estinzione. 

Ma è anche necessario discutere sulle conseguenze che tale scelta comporta. Il dibattito, infatti, apre più ampi scenari e, dalla necessità di tutelare una o più lingue, si sposta verso un più complesso confronto sul futuro della Sardegna, anche di tipo politico, economico e ambientale. Scenari che S’indipendente affronta nei suoi diversi campi di interesse.


Prof. Manca, avviare dei corsi di sardo e delle altre lingue di Sardegna del Capo di Sopra è solo un fatto simbolico o ha un valore culturale più radicale? Avrebbe senso allargarne l’uso e la diffusione come accade per altre lingue minoritarie?

A marzo sono finalmente iniziati presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche e Sociali dell’Università degli Studi di Sassari i laboratori di lingua sarda e delle lingue minoritarie (sassarese, algherese e gallurese). I laboratori linguistici, ma non solo, sono aperti al territorio e verranno erogati in modalità mista: in presenza e on line su piattaforma dedicata. Infatti, oltre agli studenti iscritti al curriculum di «Lingue e culture della Sardegna» della laurea magistrale di Lettere, filologia moderna e industria culturale (LM14), chiunque potrà partecipare. Tutto ciò acquista un’importante valenza sia formativa, e quindi culturale, sia simbolica. Non era mai accaduto, infatti, che un curriculum organicamente strutturato di una laurea magistrale di una Università sarda nella sua offerta formativa aprisse alle lingue e ai linguaggi (letteratura, filologia, glottologia, dialettologia, linguistica, musica, antropologia, arte, storia, geografia), della Sardegna e nel contempo si aprisse al territorio, permettesse la fruizione di questa offerta. Da referente scientifico del curriculum, me lo lasci dire: questo è un fatto storico. Non solo il Sardo, ma anche Sassarese, Algherese e Gallurese sono insegnati all’Università. La valenza simbolica è forte, non c’è dubbio. Lavorerò affinché dall’anno prossimo ci sia anche il Tabarchino. È certamente un inizio, ma che potrebbe dare frutti e risultati insperati. Segnalo sommessamente che dopo due settimane, dato l’alto e inaspettato numero di adesioni al laboratorio di Sardo (quasi 90) – sia interne all’Università di Sassari (quasi il 40%) sia esterne (alcune anche dall’estero, dal Brasile e dall’Ungheria), sia in presenza che a distanza – si è deciso di non ammetterne di ulteriori, per evidenti ragioni di sostenibilità e gestione del corso (con la sola eccezione per gli iscritti al curriculum di «Lingue e culture della Sardegna»). Al di sopra delle aspettative anche le adesioni ai corsi di Sassarese (12-15), Algherese (55-60) e Gallurese (16-18). Non c’è dubbio che abbiamo intercettato un bisogno di formazione reale sulle lingue e le culture della Sardegna. Spero che le istituzioni accademiche e politiche si facciano interpreti lungimiranti e avvertite di questa straordinaria domanda che arriva dal territorio e che apre a un ripensamento serio e articolato della nostra ratio studiorum.

Ancora oggi esiste una forte resistenza alla legittimazione del sardo come lingua a pieno titolo, impiegabile in tutti i registri comunicativi e in tutti i contesti d’uso. In questo senso, l’ambito accademico sardo è stato finora per lo più ostile. Sta cambiando qualcosa?

In altri contesti ho avuto modo di sottolineare come nell’Università sarda e nella nuova scuola dell’autonomia, lì dove si fa più stringente il rapporto fra istituzioni formative e territorio, una riflessione più attenta sul contesto culturale spesso sia venuta a mancare. Ancor di più in una regione come la Sardegna, peculiare e complessa, che conosce ancora moltissimi microcosmi non urbani, antropologicamente connotati, con proprie lingue, propri saperi, propri sistemi valoriali, propri reticoli di esclusione e inclusione, proprie leggi e proprie consuetudini difficilmente traducibili attraverso codici e sistemi segnici allotri. Qualcosa si è fatto, non c’è dubbio, ma molto si dovrà ancora fare. Le due Università sarde dovrebbero dialogare di più, innanzitutto tra loro e poi con tutte le istituzioni formative e informative. Bisogna fare rete, sistema, si deve programmare con criterio e intelligenza senza disperdere le risorse finanziarie e umane in mille rivoli. La Regione Sarda ci deve aiutare in questa ardimentosa opera di attivazione dei circuiti interni della memoria e della comunicazione che promuovano e sostengano la crescita di una consapevolezza sempre maggiore di noi stessi, della nostra peculiarità, delle nostre lingue, della nostra Storia e della nostra cultura. Sono fiducioso. Molti Sardi nello specchiarsi hanno finalmente smesso di arrossire. Tanti complessi d’inferiorità sono caduti, anche tra i gruppi dirigenti. Credo moltissimo nelle nuove generazioni, con un’avvertenza, però. In questa prospettiva l’attuale rinascente sensibilità, per essere valorizzata deve essere indirizzata, governata, salvaguardata sia dalla illusoria esterofilia di maniera, sia dell’altrettanto sterile e controproducente contemplazione di matrice apologetica e quasi agiografica di un’arcaica e inesistente purezza autoctona, destinata al neoisolazionismo. No dunque al perpetuarsi dell’identità coloniale eterodiretta e no al nativismo nostalgico, inteso come reinvenzione di una identità statica, ingessata, antistorica, artificiale, legata a una concezione pericolosa ed esclusivista che cerca nel codice genetico la prova della propria e altrui sardità. La Storia – straordinario terreno di verifica per la cultura e la politica e ancorché prevalentemente connotata da invasioni e colonizzazioni più o meno oppressive e violente (la «Storia brutale» di cui parla Le Lannou) – ci dice che noi siamo una fusione di popoli, di culture, di storie diverse. L’identità odierna è il frutto di un processo storico polimorfo e dinamico, che va conosciuto e interpretato affinché non si ricada in vecchi errori. La Sardegna di oggi fa parte della più generale cultura europea e occidentale (materiale, religiosa, politica, giuridica, letteraria, linguistica, artistica) e la sua attuale caratterizzazione è data da elementi tradizionali e non tradizionali che convivono, e dalla compresenza di numerose subculture (cultura urbana, rurale, industriale, agro-pastorale).

Un’obiezione diffusa a qualsiasi tentativo di liberazione del sardo dal suo ghetto folkloristico e dalla condizione di dilalia a cui sembra condannato è che al giorno d’oggi sarebbe preferibile studiare di più l’inglese o comunque altre lingue internazionali. Qual è la sua risposta a questa obiezione?

Una lingua non è un mero strumento tecnico, atto a comunicare. Tramite la lingua, primo codice che veicola tutti i codici, il soggetto conoscente intenziona il mondo, seleziona e categorizza l’esperienza, suscita emozioni e determina effetti e universi psichici. Secondo Louis Trolle Hjelmslev il linguaggio non è un accompagnamento esteriore, ma sta nel più profondo della mente umana, esso è un tesoro di memorie ereditate dall’individuo e dal gruppo. La lingua è dunque il fondamento ultimo delle società umane: la lingua è cultura, è cosmovisione. Essa è lo strumento attraverso il quale noi formiamo pensieri, stati d’animo, aspirazioni, azioni; essa è il segno distintivo della personalità individuale e collettiva. La lingua ha funzioni creative nel senso che, in quanto classificazione e disposizione del flusso esperienziale, si traduce in orientamento del mondo. Secondo Benjamin Lee Whorf, esponente del relativismo linguistico – il cui nome è rimasto fortemente legato a quello del suo maestro Edward Sapir -, il nostro modo di percepire e pensare il mondo sarebbe fortemente influenzato dalla struttura linguistica che ci è peculiare. Il pensiero non sarebbe quindi indipendente dalla natura delle lingue particolari. La formulazione delle idee non prescinderebbe dalla sua espressione. La conoscenza logica del mondo sarebbe possibile soltanto riconoscendo che le proposizioni che lo descrivono assumono significato soltanto a seconda dell’uso del linguaggio che ogni comunità fa in quanto lo usa.  Selezioniamo la natura, la organizziamo in concetti e le diamo determinati significati, in larga misura perché siamo partecipi di un accordo per organizzarla in questo modo, un accordo che vige in tutta la nostra comunità linguistica ed è codificato nelle configurazione della nostra lingua. È la lingua che dà forma alle idee. Noi suddividiamo e organizziamo il dispiegarsi e il fluire degli eventi nel modo in cui lo facciamo, soprattutto perché attraverso la nostra lingua madre abbiamo convenuto di fare così e non perché la natura stessa si offra agli occhi di tutti suddivisa esattamente a quel modo. Per chi ha appreso la lingua sarda come lingua madre, l’incontro con l’idioma d’inappartenenza, determina rotture sul campo della combinazione e della selezione, sul campo del significante e del significato, sul campo infine semantico. Il fatto che la conoscenza dell’italiano o dell’inglese arricchisca culturalmente il ragazzo è fuori dubbio; come del resto lo spagnolo, il francese, il tedesco e qualsiasi altro idioma (Jurij Michajlovič Lotman ha scritto che risulta necessario aumentare la quantità di lingue in cui si possono tradurre i torrenti d’informazione). Ma se tale processo di ampliamento dei codici avviene a discapito della lingua madre viene meno il postulato primo. Credere che la lingua sarda sottragga qualcosa alle altre è una nostra atavica e gravissima inibizione, probabilmente retaggio di una cultura subalterna e storicamente perdente. A una «lingua tagliata» corrisponde sempre una cultura amputata, deprivata, tacitata e umiliata.


Dino Manca è professore di Linguistica e Filologia italiana presso il Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell’Università degli Studi di Sassari, dove insegna Filologia della letteratura italiana, Storia della lingua italiana e Letteratura e filologia della Sardegna. Afferisce al dipartimento di  Scienze Umanistiche e Sociali e fa parte del Collegio docenti delle Scuole di Dottorato in «Culture, Letterature, Turismo e territorio».  È direttore della collana di filologia, linguistica e critica letteraria «Filologia della letteratura degli italiani». È socio della Società dei Filologi della Letteratura italiana (SFLI), dell’Associazione degli Italianisti Italiani (ADI), dell’American Association of Teachers of Italian (AATI) e socio onorario dell’Associazione nazionale poeti e scrittori dialettali (A.N.PO.S.DI).  Fa parte della Commissione scientifica per L’Edizione Nazionale dell’Opera Omnia di Grazia Deledda e partecipa ai lavori, in qualità di curatore, della nuova Edizione Nazionale delle Opere di Luigi Pirandello. È delegato del Rettore dell’Università degli Studi di Sassari in materia di Lingue e culture della Sardegna e referente scientifico nella stessa materia del curriculum della laurea magistrale in Lettere, filologia moderna e industria culturale (LM14). È direttore del «Centro Studi sul Fondo Autografi Autori Sardi Moderni e Contemporanei» (CENSAS) dell’Università degli Studi di Sassari. È presidente del «Premio Ozieri» di letteratura sarda, della commissione «Studi deleddiani» del Premio Letterario Nazionale e presidente dell’Istituto per la Storia dell’Antifascismo e dell’Età Contemporanea (I.S.T.A.S.A.C.). È stato coordinatore scientifico della consulta istituita dall’ISRE per l’organizzazione dei convegni internazionali pensati per celebrare la personalità e l’opera di Grazia Deledda a 150 anni dalla sua nascita. Nel corso della giornata celebrativa del 450° anniversario di fondazione dell’Università di Sassari, tenutasi il 24 Marzo 2012 alla presenza del Presidente della Camera dei Deputati, è stato premiato in quanto riconosciuto tra i ricercatori dell’Ateneo con la più alta produttività scientifica. Il 28 dicembre 2020 ha vinto il Premio Letterario Nazionale «Grazia Deledda – Studi Deleddiani» per l’edizione critica del romanzo L’edera. Ha curato, tra le altre cose, le prime edizioni critiche delle opere di Grazia Deledda (Il ritorno del figlio, L’edera, Cosima, Elias Portolu, Annalena Bilsini), di Salvatore Farina (Carteggio Farina-De Gubernatis), di Giuseppe Dessì (Michele Boschino), di Pompeo Calvia (Quiteria), di Antonino Mura Ena (Memorie del tempo di Lula), di Publio Dui (Cantones) e della prima opera letteraria in lingua sarda (Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu).  Ha inoltre svolto studi – sempre tra filologia e critica – sul Metello di Vasco Pratolini, i Settantacinque racconti di Corrado Alvaro, Amore ha cent’occhi, Due Amori, Un segreto, Amore bendato e Per la vita e per la morte di Salvatore Farina, Canne al vento, Cenere, Colombi e sparvieri, Sino al confine, Marianna Sirca, L’incendio nell’oliveto e La madre di Grazia Deledda, Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, i Canti barbaricini di Sebastiano Satta, Padre e padrone di Gavino Ledda, l’Apologo del giudice bandito di Sergio Atzeni, Ferro recente e Meglio morti di Marcello Fois, Se ti è cara la vita di Giulio Angioni, Sas cantones di Publio Dui. Ha insegnato Didattica della letteratura italiana nei corsi SISS, PAS e TFA.  È stato docente invitato di Filologia della letteratura italiana presso le Università di Heidelberg, Vienna, Cattolica di Milano, “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, Catania e Cagliari. 

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Un commento

  1. Essende de Uliana, partinde dae Grazia Deledda, mi podo vingias ponnere a istudiare su nugoresu ass’universidade, e Prof. Manca mi parede sa pessone giusta pro promuovere sa cultura Sarda in nois Sardos e finzas in su mundu.

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