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L’unica via di uscita di Todde sulla Pratobello 24 – S’Imprenta

S’Imprenta – Rassegna stampa dalla colonia (tutti i sabato mattina su S’Indipendente)

210.000 firme sono troppe per chiunque da gestire.
Tantomeno per Todde che stava nel comitato per la transizione ecologica a “rappresentare le aziende energivore” (parole sue), nel governo con Draghi.
Ora deve dimostrare di stare dalla parte della gente.

La manifestazione è stata la chiosa di una campagna di raccolta firme entusiasmante, che ha visto i banchetti come punti di incontro tra cittadini di ogni colore politico.

Il sindaco di Orgosolo, Pasquale Mereu ha aperto la manifestazione di mercoledì con parole nette e decise: “Todde con la legge Pratobello deve cercare lo scontro con lo stato italiano” e mentre comunicava ai manifestanti che “ho invitato i sindaci oggi a non mettere la fascia tricolore perché l’Italia in questo momento ha dimostrato di essere contro la Sardegna” un boato di approvazione rimbombava nella piazza della regione.

Alla manifestazione erano presenti diversi sindaci, non tutti avevano la fascia tricolore. Dunque, lo scontro è sostenuto anche da parecchie istituzioni locali.
Infine, la chiosa di Mereu: “Io in questo momento non mi sento cittadino italiano“, a cui segue un fortissimo applauso.
Alcuni giorni dopo i sindaci prendono posizione: “È ora di ascoltare la voce del popolo sardo”.

Ci pensa il presidente del consiglio a gelare i manifestanti. Nessuna corsia preferenziale per la legge, seguirà l’iter ordinario. Per Piero Comandini: «Subito il controllo delle firme e poi discussione in commissione», non nell’aula.

Todde dichiara: «Niente scorciatoie, i legislatori siamo noi» e non può che venire in mente la risposta di Grillo. Non di Beppe, ma quella più famosa del Marchese. È la famosa partecipazione dal basso dei cinque stelle, ormai l’ombra di quel che erano.

In realtà, la legge popolare è uno strumento previsto dalla legge, non c’è nessuna forzatura di ruoli istituzionali. Dovrebbe agire con più astuzia e non irrigidirsi e chiudersi gli spazi di manovra politica. Poi dichiara che non farà scontri violenti con lo stato. Nessuno le ha chiesto scontri “violenti”, non si capisce da cosa prenda le distanze.

Todde ha solamente una via di uscita da questa trappola in cui si è cacciata: dovrebbe prendere atto della volontà popolare e cercare, non di cavalcarla, ma emendarla (senza snaturarne l’impianto) quel tanto sufficiente per dire che l’aula non ha fatto solo da passacarte, di usarla e rivoltarla contro lo stato italiano (senza violenza, s’intende).

Per Todde non sarebbe una resa, ma una dichiarazione di responsabilità, un esempio di ascolto attivo. In questo momento deve scegliere se rappresentare il popolo sardo, oppure continuare a “rappresentare le aziende” come quando stava nel governo Draghi.
Non ci sono soluzioni terze, le uniche due proposte in campo sono antitetiche e inconciliabili.

L’atmosfera della manifestazione è stata festosa, tra tamburi, palloncini e ballus tundus, si sono susseguiti gli interventi. Ogni tanto venivano citate le problematiche della sanità e dei trasporti, e risuonavano minacciose per i partiti italiani, come dubbio di qualcosa che si potrebbe evolvere in altro, campanello d’allarme per le rendite di posizione partitiche.
La manifestazione si è chiusa al presidio di Selargius, e un filo rosso lega le due forme di lotta: la resistenza popolare.

Ancora una volta, questa settimana, al presidio di Selargius i presidianti hanno sventato i lavori di recinzione, piantando alberi di ulivo. La strategia delle aziende Terna e Whysol è chiara: vogliono circondare con delle recinzioni il presidio e limitare le “bardanas poetiche” dei presidianti che bloccano i lavori piantando alberi. Terna vuole rinchiudere il presidio in una riserva, i presidianti bloccati e resi innocui.

Da tutta la Sardegna arrivano ulivi e solidarietà, stringendo un patto di fratellanza, rafforzando la lotta tra cittadini.

I media non hanno capito nulla di quello che succede nei comitati, e forse lo sforzo per avere una maggiore comprensione della realtà servirebbe per capire meglio la situazione, a beneficio dei lettori e allo scopo di evitare ulteriori frizioni.
Da quando è decollata la protesta, circa un anno e mezzo fa, ci sono state continue scissioni di gruppi dai comitati e dalle associazioni, motivo per cui sono diffusi capillarmente ed abbracciano diverse visioni sulla lotta. Data la situazione non è per forza un male, se poi sapranno convergere nei momenti chiave.
È utile segnalare ai giornalisti che il presidio di Selargius, a più di sessanta giorni dall’apertura, è retto individualmente dai presidianti liberi, senza etichette e bandiere.

Il presidio controlla e protegge il territorio in maniera stanziale, i presidianti piantano alberi, organizzano eventi: a circolare sono i video e le immagini. I comitati sono “nomadi”, si spostano e cercano il contatto con la gente, raccolgono firme, contestano i consigli comunali, protestano sotto la regione. Esiste un dialogo costante che crea un filo rosso solidale tra cittadini, comitati e presidi. Lo scambio è proficuo, il lavoro complementare.

La legge per le aree idonee di Todde è peggiore del previsto. Ad esempio, permetterebbe l’installazione di eolico e fotovoltaico nelle zone G, salvo alcune eccezioni. L’area in cui vorrebbero far sorgere le stazioni del Tyrrhenian Link ha mutato destinazione in zona G. Dunque oltre alle stazioni, alle batterie (150 MW) alle cabine varie, nelle stesse aree potrebbero sorgere degli impianti eolici e fotovoltaici. La Pratobello, invece, esclude le fer nelle zone G. Ad esempio.

Todde non può fare finta di non vedere, ogni pala eolica che sbarcherà in Sardegna sarà uno stillicidio di consensi per il suo governo. Per portare le pale questa settimana le autorità hanno bloccato la principale arteria sarda, la 131, tra le 23,30 e le 00,30.

A Nuraminis mercoledì in tarda serata alcuni cittadini hanno bloccato il TIR che trasportava la pala eolica in quella fascia oraria. Dunque, passata l’ora del blocco della 131, i mezzi sono rimasti a bordo strada fino alle 5 del mattino.

foto profilo FB Mauro Pili

Giovedì la replica, ma sono intervenuti anche i carabinieri in assetto antisommossa.

foto Unione Sarda

Alla resistenza della popolazione, dei comitati, delle associazioni, dei presidi, all’opposizione di alcuni sindaci, occorre aggiungere la pressione della borghesia mediatica dell’Unione Sarda, che tanto infastidisce i blogger toddiani (ma qualche anno fa la criticavano per i motivi opposti), e il quadro si chiude. È vero che queste immagini sono diffuse e amplificate dall’Unione Sarda, ma davanti ai TIR c’erano persone, senza le quali non ci sarebbe stata notizia.

Un brutto articolo di Paolo Maninchedda attribuisce completamente il successo della legge Pratobello 24, la raccolta firme e la manifestazione al gruppo Unione Sarda, cioè a Zuncheddu, senza citare nemmeno una volta i comitati che tutta l’estate hanno presidiato i paesi con i banchetti e hanno diffuso immagini e video nei social, pubblicizzando la raccolta.
A che pro ignorare questo movimento popolare così imponente?

Maninchedda dimentica un pezzo fondamentale nella ricostruzione dei fatti, ed occorre riavvolgere il nastro.
L’Unione per un periodo di tempo non breve ha dato ampio spazio, sia sulla carta che su Videolina, anche alla proposta del comitato scientifico per l’insularità in costituzione di Maria Antonietta Mongiu, basata sul piano paesaggistico regionale esteso alle aree interne.
Fino ad un certo punto le due proposte hanno avuto dentro l’Unione uguale spazio, a dimostrazione che quella urbanistica, su cui si basa la Pratobello, non solo non è stata scritta da Zuncheddu, ma non era nemmeno la preferita dall’editore.

In precedenza, la leva urbanistica era stata proposta da diversi costituzionalisti o studiosi, in diversi eventi, come unica soluzione possibile, o almeno quella con più probabilità di passare le forche caudine italiche. Ne scriveva Franco Sardi, proprio sul blog di Maninchedda, ne parlava il costituzionalista Omar Chessa in un evento riportato in un post da Maurizio Onnis, ne scriveva l’avvocato Michele Zuddas già da tempo.
Poi della proposta PPR si è persa traccia e la Pratobello (emendata in alcuni punti dai comitati, tra cui quello di Selargius), ha ricevuto un’accelerazione, fino a diventare l’unica in campo.
Maninchedda, sempre ben informato sui giochi tra i poteri, che conosce molto bene, ignora completamente quello che succede nei piani bassi (e non parlo delle parentele che porta a passeggio).

Todde emendi la Pratobello 24 il minimo sindacale per dire che il governo ha svolto il suo compito, ma senza snaturare il suo impianto. Scriva un messaggio ai sardi, alto, responsabile, con cui si impegna a recepire le istanze della legge popolare, che ha ricevuto tanti consensi, tanti da essere diventata prima tra tutti i partiti seduti in consiglio.

Poi la rivolga contro lo stato italiano. Tra l’altro si scontrerebbe con un governo della destra, farebbe pure il suo gioco, avrebbe tutto da guadagnare. Metterebbe la destra sarda e italiana nel sacco, incastrata tra le proprie contraddizioni: Tajani e Salvini vennero a sostenere la Pratobello, ma sono nel governo con Pichetto Fratin. Todde non ha altra scelta, non può diluire la Pratobello in un pastrocchio. Le firme sono troppe, le due leggi incompatibili.

La Pratobello È l’unità tra sardi di cui parlava Bandinu, al cui appello Todde ha risposto.
Ora Todde risponda alla popolazione sarda, la risposta di autosufficienza che ha dato non può minimamente essere presa in considerazione come una risposta seria.


Tempus de gherra, fàulas a terra” diceva un proverbio, che possiamo declinare in “Tempus de speculatzioni, fàulas a muntoni“. Duas fàulas (due bugie) continuano a perpetuarsi. Una è quella che i sardi sono colpevoli di inquinare più di tutti in Italia. Ce n’è un’altra collegata, più sottile, ma che ci ha fatto andare molto oltre gli obiettivi europei, spostando il dibattito su altri argomenti (“siete contro la transizione”) scagliati come accusa ai comitati. La tesi è che la produzione di rinnovabili in Sardegna è attualmente del 25%. In realtà la produzione di rinnovabili in Sardegna è quasi il 40% dei nostri consumi. Una calcolata sulla produzione totale, l’altra solo sui nostri consumi.
Entrambi le tesi sono corrette, ma la narrazione coloniale pretende di estendere la quota rinnovabili anche sulla quota totale prodotta, anche per l’export.

Fàula tra le fàulas del “ce lo chiede l’Europa”, in realtà l’UE richiede il 42,5% entro il 2030 di energia prodotta da rinnovabili (oltre a chiedere la prossimità tra consumo e produzione). Dunque, noi saremmo già oggi quasi a posto (manca circa un 2,5%) con i nostri doveri europei, producendo per i nostri consumi. La controparte coloniale potrebbe ribattere che è una visione autarchica, ma facilmente gli si risponderebbe che il problema non è quello, ma il fatto che non sono i sardi a decidere quanta quota produrre ed esportare, ma ci viene imposta dallo stato italiano. Volendo, potremmo anche decidere noi se e quanta energia per l’export produrre. Rimane il fatto che non possiamo, perché decide Roma al posto nostro. E questo si chiama indubbiamente colonialismo.
A scanso di equivoci, le centrali a carbone bisogna chiuderle, iniziando dalla riduzione del 40% prodotto per l’export.


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Finalmente, oggi inizia Fàulas, il Festival che ribalta i luoghi comuni sulla Sardegna dell’Assemble Natzionale Sarda. Due giorni per seminare il dubbio sui tanti stereotipi che ci autolimitano.
Ecco il programma completo, prenota il tuo posto:


Ne parla l’Unione Sarda, Alghero Live, Italia che Cambia, Oristano info.

Riccardo Pisu Maxia, presidente di ANS

Immagine: Vistanet

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