Liberare l’arte. Intervista a Giovanni Fara
de Ninni Tedesco Calvi
Il mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo è stato il più colpito dalla pandemia, soprattutto in un’area già economicamente depressa come la Sardegna. Durante il lungo lockdown molti artisti e operatori culturali hanno permesso di scaricare gratuitamente musica, libri, riviste, fumetti e hanno effettuato Iniziative solidali e di beneficenza, raccolte fondi e donazioni.
Eppure, oggi tutto questo mondo rischia di subire un contraccolpo mortale per via delle misure governative che impediscono qualsiasi tipo di assembramento. A subirne le maggiori conseguenze è soprattutto la cultura indipendente, quella che si muove dal basso e senza nessuna forma di sostentamento. Sono, cioè, tutti coloro ai quali il lockdown ha già ridotto o annullato la capacità di reddito e a cui il futuro non promette alcuna garanzia di sopravvivenza dignitosa.
Restano infatti del tutto irragionevoli le motivazioni addotte per la chiusura di cinema e teatri, che sono luoghi di facile presidio igienico e di misure di sicurezza per il solo fatto che le persone possono accedervi seguiti con attenzione, restare in posizioni statiche e distanziate in posti a sedere che possono nell’immediato essere sanificati – cosa che non accade nei supermercati, o peggio ancora, in centri commerciali totalmente fuori controllo.
Le scelte a favore di una certa economia di consumo sono dunque evidenti. A poco valgono le misere donazioni chiamate ristori, che arrivano tardivamente e non compensano le perdite del circuito che ruota intorno a ogni evento culturale. E di certo non ristorano noi dell’assenza del nostro “ristoro” e “cura di mente e anima” in un periodo di crisi in cui uno spettacolo, una rappresentazione teatrale, un concerto, la presentazione di un libro, avrebbero certamente compensato il nostro vuoto e il nostro forzato isolamento.
Ma questo è un sistema che ci vuole soli, e magari depressi, e pronti a “consumare” per consolare, con rapidità, e altrettanta volatilità, il nostro malessere.
Ci sono stati molti tentativi di reazione propositiva al profondo disagio di artisti e operatori della cultura durante i mesi del lockdown. Uno di questi è stato lanciato dalla casa editrice sassarese Catartica e dal suo fondatore Giovanni Fara e ha raccolto oltre duecento firme tra i vari settori ed è stato pubblicato su numerosi media sardi. A lui chiediamo alcune riflessioni sulla situazione attuale.
Ciao Giovanni, come è nato il Manifesto?
Molti artisti durante il primo lockdown hanno messo a disposizione le loro opere in modo gratuito per rendere meno pesante gli effetti del distanziamento sociale. Da subito ciò che appariva chiaro era che la crisi non sarebbe durata poco, così pure i problemi per chi opera nel mondo dello spettacolo e dell’arte. Abbiamo quindi sentito l’esigenza di formulare una proposta allargandola a chi, tra gli addetti ai lavori, volesse sottoscriverla.
Una proposta nata dal basso, orizzontale e che desse voce a un mondo privato della possibilità di vivere del proprio lavoro. I punti principali su cui si articolava erano la richiesta di un “reddito di dignità” contingentato all’emergenza per chiunque ne avesse necessità, e un “piano per la cultura” che permettesse ai festival e alle svariate manifestazioni artistiche della Sardegna di non morire a causa di provvedimenti eccessivamente penalizzanti e restrittivi.
Il 15 maggio 2020 lanciavamo l’appello dalle pagine del blog indielibri.info e poche settimane dopo avevamo già raccolto oltre 200 adesioni.
Quali sono ancora oggi le richieste valide?
Io penso che tutti i punti del manifesto siano tutt’ora validi ma che occorra una forte mobilitazione affinché le istituzioni aprano una discussione nel merito. Gli effetti delle misure restrittive del 2020 li vedremo soprattutto nei prossimi mesi. Molte attività hanno chiuso licenziando il personale e non riapriranno neppure se si dovesse tornare alla normalità in tempi rapidi perché non ne avranno la forza. La condizione occupazionale della Sardegna era già grave ben prima dello scoppio dell’epidemia e tutto fa supporre che si aggraverà ancora nei prossimi mesi. Aumenteranno i disoccupati e le sacche di sfruttamento e di lavoro nero. Se le istituzioni non offriranno nessuna prospettiva per il futuro e non garantiranno ai giovani e ai disoccupati un livello di vita di dignitoso, tutte le contraddizioni della gestione politica della crisi epidemica presto esploderanno in modo violento.
Alla politica avevamo anche chiesto un “piano triennale” per consentire al mondo dell’arte e dello spettacolo di esistere. Non si tratta di implorare elemosine ma di poter lavorare in piena sicurezza e riprenderci il diritto alla cultura e alla socialità. La Regione avrebbe dovuto occuparsi di questo, coinvolgendo i comuni nella programmazione di manifestazioni ed eventi in grado di valorizzare tutti gli artisti sardi, senza lasciare nessuno indietro.
Significherebbe anche cambiare il sistema di erogazione dei fondi pubblici, mettendo in primo piano la lingua sarda e gli artisti sardi, spesso appendice di festival e manifestazioni blasonate che in passato sono state super sovvenzionate.
Cosa è cambiato e dunque cosa è stato fatto?
Non è stato fatto niente. La politica ha risposto alla crisi sanitaria in modo del tutto irrazionale, credendo di poter sconfiggere il Covid-19 a suon di DPCM (oltre 20 in meno di otto mesi) e di ordinanze restrittive che hanno letteralmente messo in ginocchio intere categorie lavorative, solo in minima parte ripagate delle perdite dai “ristori” governativi. Il settore della cultura è quello che paga il prezzo più alto dell’improvvisazione e dell’inettitudine di una classe dirigente non all’altezza della situazione. Ad agosto in Sardegna si consentiva l’apertura di discoteche e locali alla moda per non scontentare i ricchi vacanzieri del nord Italia e al virus di dilagare in lungo e in largo. Nulla invece si è fatto per permettere al mondo dello spettacolo e dell’arte di ripartire in totale sicurezza. Oggi non è possibile organizzare alcun tipo di evento in presenza, neppure presentazione di libri, ma ci si assembra nei supermercati e sui mezzi di trasporto pubblico mentre restano chiusi cinema e teatri, risultati i luoghi di minor contagio, dove evidentemente è possibile attuare misure di prevenzione e distanziamento tali da permetterne la riapertura.
Di cosa ha veramente bisogno la cultura sarda?
Occorre dare impulso a un orizzonte strategico-culturale per la Sardegna. “Liberare l’arte” abbattendo ostacoli burocratici e detassando ogni genere di spettacolo e manifestazione artistica, specialmente quelle minori e spesso più penalizzate. È necessario quindi razionalizzare le risorse fra chi in Sardegna si occupa di arte e spettacolo, coinvolgendo i territori, le nostre 377 comunità in un piano di promozione e di valorizzazione di tutte le manifestazioni letterarie, scientifiche e artistiche che appartengono alla cultura del nostro popolo.
Grazie Giovanni.
Grazie a voi.
Foto de presentada: John Matychuk (Unsplash)
29 gen 2021