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speculazione energetica un gran buffet

La “transizione ecologica” è un gran buffet (considerazioni sulla narrazione coloniale) – S’Imprenta, rassegna stampa dalla colonia

Mille lingue si ergono in difesa delle multinazionali, favorite dal quadro legislativo creato dallo stato italico, elargitore di soldi che renderemo a breve, pronto a calare il pugno poliziesco sulla resistenza anticoloniale sarda.

Mille lingue saranno pronte ad attaccare la legge Pratobello 24 (o qualsiasi altro provvedimento) su aspetti tecnici, minimizzandone l’indiscutibile successo politico, che esprime una chiara volontà della società civile.

L’Avvenire scrive cheLa regione ha il più alto rapporto di emissioni di CO2 per abitante“.
Ci facciamo carico della produzione di CO2 anche perché esportiamo il 40% di energia verso l’Italia. Ci inquinano, poi ci accusano di inquinare!
Il phase out dal carbone sarebbe molto più rapido se si riducesse l’export energetico del 40%. Ma da questo orecchio gli “ambientalisti” neo-coloniali non sentono ragioni. Preferiscono allungare i tempi del phase out.

Ormai è chiaro a tutti che questa transizione energetica non sarà un pranzo di gala, come dichiarava da destra Adolfo Urso, parafrasando Mao, ma è un gran buffet per le multinazionali.

Questa rassegna nasce nel 2023 per denunciare un problema grossissimo con l’informazione coloniale in Sardegna: potere politico, economico-finanziario e mediatico si mescolano nei silenzi della Nuova Sardegna, sulla speculazione.

Dall’altro lato c’è la svolta dell’Unione Sarda, che da almeno tre anni (luglio 2021, Tyrrhenian, lo scippo del vento sardo in Sicilia) ha sposato la linea Mauro Pili. Zuncheddu avrà il suo tornaconto, ma non possiamo non salutare con favore questo cambio di rotta, in questo momento storico.

Fa più scandalo il silenzio della Nuova Sardegna o il chiasso dell’Unione Sarda che palesa la sua linea? Temo di più i silenzi.

Sinistra Futura in un comunicato allucinante difende questa “transizione” coloniale e parla di potere istituzionale che deve essere “sempre difeso”, riferendosi allo stato italiano.

Il potere va controllato, denunciato quando commette errori o abusi e contrastato.
Andava difesa l’istituzione che depistava la strage di Bologna?
Andava difesa Tangentopoli che si era istituzionalizzata?
Andava difesa l’istituzione durante il ventennio fascista?

Non mi si venga a dire che una cosa sono le istituzioni, altro sono le persone, perché le prime si reggono sulle gambe delle seconde ed è proprio per questo che vanno controllate e messe in discussione.

Sinistra Futura, si schiera a favore di un capitalismo che pasce parassitando soldi nostri.
Pensare che la “transizione” sia solo una questione di co2 significa non avere capito nulla dei giochi e delle forze coloniali che si stanno muovendo.

Todde ha “rappresentato le industrie” (parole sue) durante la scrittura del decreto Draghi. Dalla nomina dell’assessore Cani all’industria, capiamo cosa significa la selezione tramite curriculum, metodo sbandierato in campagna elettorale.

Nell’era Todde non si può scrivere liberamente che esiste un conflitto di interessi grande come una casa, perché minaccia querele. Si chiamano intimidazioni alla libertà di stampa, e anche questo va inserito nei problemi gravi dell’informazione sarda.
È questo il potere istituzionale che va difeso?

A scanso di equivoci, la destra ha fatto peggio. Solinas inerme ed inerte è stato presto dimenticato e riposto tra gli scaffali come uno dei peggiori presidenti sardi.
Ha ignorato la protesta e la moratoria del 2023 scritta dai Comitati, ha firmato l’intesa per il Tyrrhenian Link, non si è opposto al decreto Draghi se non per ribadire il fatto che violava il principio di insularità.
Non a caso il Psd’Az è al collasso.

Anche nel mondo indipendentista c’è chi cerca di dividere la resistenza sarda, tra destra e sinistra, statalisti e liberali, Pili o non Pili. I sardi sono oltre queste divisioni, che fanno il gioco dello stato italiano.

La raccolta firme per la Pratobello 24, al di là dei tecnicismi, consente di parlare con la gente e vedere le persone in fila discutere e concordare sulla transizione, sulla speculazione, sulla colonizzazione.
Significa che i Comitati vengono materialmente visti (da vicino) come punti di riferimento, volontari difensori di democrazia, interpreti e catalizzatori della volontà sarda.

Se Mauro Pili ha raccontato l’assalto delle multinazionali e le paure, da queste pagine invece, fin dal 2021, abbiamo affrontato la questione da un punto di vista della resistenza dei sardi, in positivo. Fin dai tempi dell’Ades raccontiamo un lungo “viaggio all’interno dei comitati” che, unendosi in coordinamento, veri e propri laboratori anticoloniali, si sono fatti contemporaneamente forza motrice locale e regionale, per bloccare la “quarta colonizzazione” italiana, espressione coniata da Cristiano Sabino.

Questa resistenza è un unico nella storia sarda?

Non si ha memoria di una mobilitazione popolare simile, altre resistenze hanno avuto forme diverse: Pratobello riguardava un paese singolo, la campagna antinucleare ha preso la forma di un referendum sardo, proposto da Sardigna Natzione, che è stato vinto con cifre bulgare.

La lotta anti occupazione dell’esercito italiano, ha avuto una fase particolare durante l’operazione Fortza Paris, da cui emerse un altro tipo di resistenza, frutto anch’esso del sentimento popolare diffuso in certe aree, ma che ha preso forme che la storia ha presto rimosso dall’immaginario collettivo.
Ne parla il libro “Fraria. “Fortza Paris”, Fallimento di un’operazione coloniale”.

Nel 1992, in seguito al rapimento di Farouk Kassam, lo stato italiano impose una grande manovra chiamata Fortza Paris, un’operazione militarista nel centro Sardegna che, con la scusa delle esercitazioni, occupava il centro dell’isola, data l’incapacità della polizia di trovare il bambino.

Per nascondere le sue mancanze, l’Italia colpevolizzò un’intera area, cercando di far passare l’idea della necessità di un controllo a tappeto su tutta la società. Il libro contiene una cronologia degli articoli giornalistici.

Mentre i media sardi preparavano per tempo la narrazione, raccontando di una società interna propensa all’ospitalità dei militari, e di Pratobello dimenticata, improvvisamente venne fuori, apparentemente senza spiegazione, data la narrazione precedente, un rifiuto dell’esercito da parte delle popolazioni sotto occupazione. Non era proprio come la raccontavano.

Il periodo, il 1992, era quello di uno stato italiano al collasso.
A gennaio c’era stata la sentenza del maxiprocesso contro la mafia che incastrò circa un migliaio di mafiosi. Seguì l’uccisione di Salvo Lima, referente andreottiano in Sicilia. A febbraio iniziò Tangentopoli, poi ci fu l’uccisione di Falcone, il crollo elettorale del pentapartito, le dimissioni del presidente della repubblica, il picconatore Cossiga, e l’uccisione di Borsellino. Tutto in sei mesi. Iniziò un biennio di stragi, terminato ad inizio del ’94.

Farouk fu finalmente liberato l’11 luglio del 1992, ma i militari arrivarono comunque.
Nell’agosto di 22 anni fa, gli eventi che ne scaturirono in Sardegna furono una serie di azioni, minimizzate dalla stampa locale, che avevano un significato chiaramente politico, contro lo stato italiano e l’occupazione militare.

21 luglio, Lula. Alcune bombe a mano e diverse fucilate contro le abitazioni del sindaco e vicesindaco che avevano accolto a braccia aperte i militari, con scritta “No a sos militares”.

22 luglio, Belvì. ” Sa liberatzione sarda” rivendica l’incendio delle lettorine delle Ferrovie Complementari.

8 agosto, Mamoiada. Fucilate intimidatorie contro un gruppetto di militari.

13 agosto, Villanovatulo. Svitati circa 50 metri di binari dalle ferrovie.

16 agosto, Lula. Bomba SRCM lanciata in mezzo ad un gruppo di militari, a scopo intimidatorio. “Sos Istentales” rivendicano l’attentato.

20 agosto, Lula. Viene fatto saltare il traliccio dell’Enel e il municipio. Rivendica il “Fronte per l’indipendenza della Sardegna”.

27 agosto, Iglesias. Dopo 2 giorni di guerriglia tra ragazzi della cittadina e carabinieri, viene trovato un ordigno nella caserma, non esploso per qualche difetto.

30 agosto, Cagliari. Bomba al comando supremo dell’operazione Fortza Paris. I dinamitardi ironicamente salutarono al grido di “Fortza Paris”.

L’esercito andò via a settembre.
Nell’immaginario collettivo queste cose avvengono solo in Corsica.
Evidentemente non è così, come riportato da questa semplice cronaca dei fatti. Esiste chiaramente una reticenza storico-mediatica nel raccontare la storia sarda, anche quella recente.

Questa settimana è nato un nuovo comitato, del Parteolla e Gerrei.
La maggioranza, in un’assemblea aperta e gremita di pubblico, vota contro le pale sui monti.

Per anticipare futuri attacchi, Todde dichiara il numero degli impianti già autorizzati ( 37, di cui 4 eolici e 33 fotovoltaici), che la moratoria non riuscirà comunque a fermare, a dispetto di quello che aveva dichiarato in fase di approvazione.
Dai dati manca comunque il totale dei GW che saranno installati dai 37 impianti e il numero di pale comprese.

Assediata da comitati e cittadini, Todde cerca di uscire dall’angolo in cui si trova, con nuovi argomenti, più positivi, ma non le va bene nemmeno questa strada: “anche da Narbolia si può avere successo”, scrive Todde, e finisce in un’altra polemica.

Le olimpiadi sono finite, così come  il piagnisteo italico sul sesso degli angeli, terminato in una figuraccia dopo una semplice fotografia di quando la pugilessa algerina era bambina.
Per fortuna le olimpiadi non sono il calcio e ci siamo risparmiati i tricolori sui balconi e le urla con i nuovi padroni.

Il patto statutario tra Italia e Sardegna è al limite della rottura

Abbiamo “imparato ad usare l’autonomia”, ma non è servito.
Lo stato impone l’impianto a Saccargia e a Barumini. Il governo italiano impugna la moratoria, in attesa della consulta, e sulle Terre Rare, in cui c’era il parere negativo del governo sardo nella conferenza stato regioni, umilia i sardi con un semplice decreto, impugnato questa volta dalla regione.

La società civile propone due leggi popolari, quella urbanistica e quella sul ppr delle zone interne, e un referendum.
Tutti strumenti che utilizzano i poteri statutari.

Se nessuna di queste proposte dovesse passare al setaccio dei vari organi dello stato italiano, non sarà la sconfitta di un popolo, ma solo un grave problema da cui ripartire con più determinazione: dovremmo dichiarare morto lo statuto sardo, preparare un bel funerale con un grande interro, dopo simbolica cremazione, magari con il testo avvolto da un tricolore.

Sa cida in 1 minutu

Le grandi inchieste della Nuova Sardegna. Nell’isola tutti pazzi per il gelato: fragola e cioccolato in testa alla preferenze dei sardi (notizia trovata in Home page)

Speculazione energetica. Aree idonee al sacrificio per le rinnovabili, l’assessore Spanedda incontra le associazioni degli enti locali

Trasporti. Aeroporti, 30 milioni per avere un ruolo attivo nella fusione. Ma è scontro con la minoranza

Siccità. Todde contro il Governo italiano: “Neanche un euro alla Sardegna”: «I 102 milioni del decreto Agricoltura, pensato per affrontare il dramma della siccità, sono andati quasi tutti alle regioni del Nord lasciando la Sardegna senza risorse».
La Sardegna non ha governi amici in Italia, a destra come a sinistra

Spopolamento interno. Lavorare in smart working da Ollolai, 18 mila richieste da tutto il mondo


Immagine: metallirari.com

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