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(c)Alessandro Cani

La Sardegna e la Giornata Nazionale dello Spazio

Sono trascorsi 60 anni dal lancio del satellite San Marco 1. L’evento non ha semplicemente segnato l’inizio dell’era spaziale italiana, ma è stato il risultato di impegno, sacrificio, determinazione e fede in un’idea che sembrava impossibile, il Progetto San Marco. L’ideatore fu Luigi Broglio, ingegnere aeronautico e ricercatore con un unico amore: lo spazio. Nato nel 1911 in provincia di Venezia (di cui san Marco è il protettore), con la sua tenacia è riuscito a coinvolgere le figure più importanti della politica italiana e non solo, rendendo l’Italia il terzo stato al mondo a progettare, costruire, lanciare e controllare autonomamente una sonda nello spazio, dopo Unione Sovietica e Stati Uniti.

Le ricerche di Broglio iniziarono al Poligono di Salto di Quirra a Perdasdefogu, in provincia di Nuoro. Il suo obiettivo era studiare l’atmosfera terrestre in alta quota, un’area ancora inesplorata. Ma erano necessari uno spazioporto e razzi adeguati e per il progetto che aveva in mente il poligono sardo era troppo vicino al centro abitato e quindi pericoloso. Il sito ideale era l’oceano Indiano. Oltre alle sue capacità scientifiche, Broglio aveva anche la dote di sapersi avvalere delle persone giuste al momento giusto e aveva bisogno di finanziamenti. Quando nel 1961 il Comitato per la ricerca spaziale si riunì in Italia, arrivò la notizia che Jurij Gagarin era stato mandato con successo nello spazio. Una vittoria sovietica, dunque. Broglio colse così l’occasione per ‘consolare’ i colleghi americani presenti al convegno, proponendo alla Nasa un’idea irrinunciabile, l’analisi chimica dell’atmosfera in alta quota con uno strumento innovativo, la Bilancia Broglio a bordo di un satellite: il Progetto San Marco. Il primo dei cinque satelliti San Marco fu lanciato il 15 dicembre 1964 dall’isola di Wallops, negli Stati Uniti, in collaborazione con la Nasa, ma con ingegneri esclusivamente italiani: venivano chiamati “gli artigiani dello spazio”. Le missioni successive partirono da Malindi, in Kenya, proprio sull’oceano Indiano che, per la sua posizione all’equatore era il luogo ideale per i lanci. Il carisma e la determinazione di Broglio gli permisero di ottenere a costo zero due delle tre piattaforme: utilizzata nella guerra del Vietnam, la San Marco fu venduta a un prezzo simbolico dagli Stati Uniti, mentre la Santa Rita (la santa delle cose impossibili), adoperata dall’Eni per le trivellazioni, fu donata da Enrico Mattei. Il Progetto San Marco si concluse nel 1988 per mancanza di fondi. Ora il centro spaziale di Malindi è intitolato a Broglio, è gestito dall’Agenzia Spaziale Italiana e funziona solo per la ricezione dei dati satellitari. La piattaforma fu concepita in una posizione talmente favorevole che, nel 1970, la Nasa lanciò dalla San Marco il primo satellite dedicato ai raggi X: l’Uhuru (libertà) così chiamato per onorare l’indipendenza del Kenya ottenuta lo stesso giorno di 7 anni prima. 

Satellite San Marco – Crediti Franco Quintilli

Oltre a essere il sito dei primi esperimenti dell’ingegner Broglio, la Sardegna ha molti altri vanti in ambito spaziale. La prima immagine – ricostruita – di un buco nero è stata scattata nel 2019 grazie a un progetto guidato da Ciriaco Goddi, astrofisico di Orune: M87 si trova al centro di una galassia a più di 60 milioni di anni luce da noi. E dello spazio profondo si occupa il Sardinia Radio Telescope di San Basilio a Cagliari. Attualmente il più potente radiotelescopio in Europa e tecnologicamente tra i più avanzati al mondo, ha visto la “prima luce” nel 2012. Per quanto riguarda il futuro, il sito intorno alla miniera dismessa di Sos Enattos, a Lula, è il luogo favorito per ospitare il Telescopio Einstein (ET), un progetto europeo per la ricerca di onde gravitazionali. Nel 2026 scopriremo se dalla nostra isola indagheremo queste onde che sconvolgono lo spazio-tempo.

Sardinia Radio Telescope – Crediti Roberta Medda

Il rapporto tra lo spazio e il tempo, d’altra parte, rimanda a un legame ancestrale tra la Sardegna e il Cielo. 

Al netto delle facili e tanto diffuse considerazioni fantarcheologiche, alle quali non si farà neppure riferimento, è innegabile come i più antichi abitanti della Sardegna – secondo dinamiche antropologiche ben diffuse nel Mediterraneo – abbiano indagato le leggi che regolano il moto degli astri, prendendole a metro per la realizzazione dei monumenti prenuragici e nuragici dell’isola. L’archeoastronomia, combinando gli studi astronomici con quelli archeologici, ha assodato come alcuni nuraghi, menhir e domus de janas siano orientati secondo regole precise, desunte senz’altro dall’osservazione del cielo. Perfino le coppelle, misteriose “coppe” scavate nella roccia in età pre- e protostorica, potrebbero avere un legame con le stelle e costituire, con un abbondante beneficio del dubbio, una sorta di antesignana carta del cielo. 

Un esempio su tutti è rappresentato dall’area cultuale e funeraria di Pranu Muttedu, non distante da Goni. I suoi 200 menhir, variamenti distribuiti in coppie, allineamenti e gruppi, la sua necropoli ipogea a domus de janas con tre circoli tombali, hanno guadagnato al sito il nome di “Stonehenge sarda”, sebbene sia certamente più antico e meno manomesso del complesso archeologico del Regno Unito. Ebbene, nel corso del VI Convegno di Archeoastronomia in Sardegna, tenutosi a Sassari il 1° dicembre 2017, gli studiosi Simonetta Castia, Michele Forteleoni e Lavinia Foddai hanno ipotizzato, in maniera assai convincente, come diverse evidenze archeologiche di Pranu Muttedu rispettino allineamenti solstiziali, nei quali le tombe assumono il ruolo di marcatori astronomici, marcando la levata e il tramonto del sole e segnando lo scorrere del tempo e il mutare delle stagioni. I tre studiosi, inoltre, hanno rilevato l’allineamento di 18 menhir sulla direttrice equinoziale Est-Ovest, riscontrando come la prima e l’ultima pietra della serie fossero orientate sul moto della luna, molto più complesso da calcolare per l’uomo antico.

Lo studio del cielo certamente non fu prerogativa soltanto sarda; tuttavia, c’è un tratto distintivo che merita di essere sottolineato: il fatto che la nostra isola, dopo millenni, mantenga ancora inalterati molti tratti del suo paesaggio, con un basso (fino a quando?) inquinamento visivo e luminoso, permette di tessere un suggestivo fil rouge tra gli osservatori delle stelle di ieri e quelli di oggi, tra la nostra e la loro umanità. E ci si ritrova immersi nel lentisco – ora come allora – con il naso all’insù, a guardare le stelle.

Dal 2021, ogni 16 dicembre, si celebra la Giornata Nazionale dello Spazio istituita dal Governo italiano a ‘soli’ 56 anni dallo storico lancio. In Italia ancora non abbiamo una via intitolata all’ingegner Broglio.

Barbara Ranghelli, giornalista scientifico; Gianluca Mandatori, archeologo


Copertina: Menhir nell’Area archeologica di Pranu Muttedu – crediti: Gianluca Mandatori
Immagini interne all’articolo:
Satellite San Marco – Crediti: Franco Quintilli
Sardinia Radio Telescope – Crediti: Roberta Medda

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Un commento

  1. Mi congratulo per l’articolo perché finalmente qualcuno si è ricordato del Progetto San Marco. Mi dispiace però che non si sia anche scritto che fra i pionieri del Progetto ci fossero anche sardi altamente qualificati della base dell’aeronautica militare di Elmas. Per saperne di più potrete andare sul sito aperto dal creatore del logo e scienziato del Progetto San Marco, Fausto Fausti https://sanmarco1964.wixsite.com/sanmarco/persone

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