La Sardegna come hub energetico per soddisfare i bisogni del nord?
Intervista a Consuelo Costa, della piattaforma ADES nata con l’intento di studiare e discutere l’impatto che i diversi impianti energetici possono avere sul territorio e sull’ambiente della Sardegna. Mai come in questo momento è necessario che si aprano gli occhi sull’enorme quantità di richieste da parte di diverse società italiane e straniere per installare impianti eolici, fotovoltaici e offshore, impianti dei quali la Sardegna non avrebbe alcun bisogno e rispetto ai quali sembra non trarre alcun vantaggio. Nel frattempo cresce l’impegno di alcuni Comuni per attivare comunità energetiche autosufficienti.
Ne parliamo con Consuelo Costa di ADES (Assemblea per la Democrazia Energetica in Sardegna)
Quando e perché è nata questa assemblea, da chi è composta e quali obiettivi si prefigge?
ADES è nata un anno fa dall’esigenza di diversi singoli e gruppi, che già in precedenza si erano occupati della speculazione energetica in Sardegna, di ricominciare a discutere di questo tema in presenza dopo le chiusure determinate dall’emergenza Covid. Se infatti il mondo sembrava essersi fermato nei due anni della pandemia, gli attacchi al territorio per finalità energetiche sono proseguiti in maniera aggressiva. L’obiettivo dell’Assemblea, aperta a chiunque si riconosca nei suoi principi cardine, è quello di condividere con le comunità le informazioni sui rischi insiti nell’ipotecare i propri territori per le ambizioni economiche delle società produttrici di energia, e di organizzare un’opposizione civile a questa deriva di produzione scriteriata.
Il governo italiano, vecchio o nuovo che sia, sembra voler trasformare il sud Italia e la Sardegna, in HUB energetici per soddisfare le esigenze del nord e forse dell’Europa, con conseguenze per l’ambiente e per la salute drammatiche e irreversibili. Cosa possiamo fare noi cittadini per essere informati sulla realtà delle cose e per impedire che ciò accada?
Terna lo dice chiaramente e i governi non fanno che assecondarla: il futuro della Sardegna e del sud è fornire energia al nord Italia, senza grosse preoccupazioni sulle ricadute negative nei territori. Un fenomeno non nuovo, ma la portata dell’attuale processo di accaparramento di terra e mare è tale da compromettere lo sviluppo economico e sociale delle comunità per i prossimi decenni. I cittadini, oltre a pretendere dalle istituzioni comunali di essere informati sui progetti di rapina energetica che ricadono sul loro territorio, ed eventualmente opporvisi fermamente, possono giocare un ruolo di primo piano nel costruire alternative democratiche e sostenibili, come la costituzione delle comunità energetiche: vere e condivise dal basso, a favore dei cittadini, non gestite da un gruppo industriale.
Eolico offshore in aree turistiche, centrali fotovoltaiche e eoliche a dismisura a danno di agricoltura e pastorizia, colonizzazione francese delle acque del Flumendosa, il grande sacco elettrochimico mediante “l’Asta Madre 2024” dietro cui si nascondono i colossi dell’energia, insomma un vero e proprio assalto all’intero territorio sardo. Quali sono le priorità da affrontare?
Può sembrare frustrante affermarlo, ma le priorità purtroppo sono tutte quante, perciò è necessaria una mobilitazione generale e capillare. Parallelamente all’assalto degli impianti di produzione di energia rinnovabile ma non sostenibile, non dimentichiamo infatti il fronte dei combustibili fossili. La costruzione di nuove centrali a metano e il quantitativo esorbitante di depositi di gnl previsti in Sardegna, la renderanno un hub di stoccaggio sul Mediterraneo, rafforzando ancora di più la posizione di serbatoio energetico a danno dell’ambiente e della salute di chi la abita.
ADES ha effettuato incontri in diversi luoghi dell’isola, quali sono i prossimi impegni e con quali prospettive?
Sicuramente proseguire con gli incontri nelle comunità, sensibilizzando sempre più l’opinione pubblica e producendo materiale informativo sui progetti in campo, e sulle alternative di democrazia energetica percorribili, ma anche lavorare su appuntamenti di mobilitazione più visibili nelle aree oggetto degli attacchi più massicci e imminenti.
Fotografia: Mit.edu