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La Sardegna come fornitrice di energia all’Italia

Il tema è noto. Sardegna come fornitrice di energia all’Italia.
È già così, visto che, secondo i dati di Terna, la nostra Isola esporta un terzo della sua elettricità: all’incirca tre Terawattora su dodici. Il resto, più o meno nove Terawattora, soddisfa i bisogni dei cittadini e delle imprese sarde.
Sarà così ancor più in futuro. Sappiamo che attendono l’autorizzazione a partire oltre 110 impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile: una novantina fotovoltaici e il rimanente eolici. Ottenessero tutti il via, la produzione elettrica della Sardegna crescerebbe di un altro 40%. Ed è ovvio che tale dote andrebbe in regalo alle Regioni del centro-nord italiano, il cui tessuto urbano ed economico assorbe enormi quantità di energia.

È bene precisarlo ancora. Nessuno di noi è contrario alle FER, le fonti di energia rinnovabile. Anzi, siamo tutti favorevoli a questa alternativa al carbone e al petrolio. Che deve però essere governata senza passare sopra la testa dei diretti interessati. E ai sardi, ricordiamolo, nessuno ha chiesto se trovano utile tale enorme incremento dell’energia prodotta. La risposta sarebbe un “no” convinto. 

Il perché è semplice. Tutto avviene fuori da una predizione decente dei bisogni immediati e futuri dell’Isola e da una politica energetica a essa adeguata. La RAS spinge ancora per la costruzione della dorsale del gas, che porterebbe in Sardegna, inutilmente e in ritardo di decenni, un nuovo combustibile fossile. Gli impianti eolici e fotovoltaici non sorgerebbero in aree già compromesse, ma in territori destinati ad altri usi, consumando suolo e compromettendo il paesaggio. Pochissimo si fa per le comunità energetiche, autentica porta della democrazia energetica. E da ultimo, gli incentivi legati alla produzione andrebbero alle grandi società costruttrici. Ai sardi, rimarrebbe poco o pochissimo. 

Tutto ciò entro una cornice che facilita in ogni modo l’assalto. La parola d’ordine della transizione energetica spinge Roma ad eliminare ogni ostacolo verso la produzione da fonti rinnovabili. Così, gli ultimi decreti del governo accorciano le procedure autorizzative per i nuovi impianti e tolgono a enti locali e Sovrintendenze il compito di controllare la congruità degli interventi proposti. Il diritto di scegliere torna quasi tutto in mano ai ministeri, i quali hanno già mostrato di non volersi porre troppi dubbi. E non appaiono affatto contrastati da chi governa la Regione sarda, dotata di un Piano energetico vecchio di anni e scarsa di volontà politica. Eppure, lo spazio per reclamare e muoversi ci sarebbe, dato che l’energia è materia di legislazione concorrente con lo Stato secondo l’articolo 117 della Costituzione. 

Questa situazione può cambiare in un solo modo. Grazie alle comunità locali, che devono rifiutare fermamente la speculazione energetica e le conseguenti servitù territoriali. Se i cittadini non diventano parte attiva nel processo di riscrittura della politica energetica sarda, la nostra Isola diverrà sul serio un enorme serbatoio di energia a basso costo in conto terzi.


Foto de presentada: Matthew Henry on Unsplash

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