La rivolta contro l’eolico coloniale di Draghi e Meloni parte da Thiesi: appunti su un’assemblea storica
In una sala gremita di gente, si è aperta ufficialmente la lotta del Mejlogu ai mega progetti di campi eolici calati dall’alto da parte del Governo.
Il parterre degli invitati è stato vario e non privo di contraddizioni. A partire dall’intervento del presidente dell’ANCI Emiliano Deiana che, sostanzialmente, ha respinto le critiche rivolte ai sindaci di essersi mossi con pesante ritardo davanti a un assalto annunciato dal Governo Draghi prima e dal Governo Meloni poi.
Il tavolo è stato aperto dal sindaco di Thiesi Gianfranco Soletta, che auspica che il Governo ascolti la voce delle comunità interessate. Poi è intervenuto Mauro Gargiulo, presidente regionale dell’associazione ambientalista “Italia Nostra” (sul cui ragionamento torneremo più avanti), il presidente dell’ISDE Sardegna che ha riflettuto sul rapporto tra difesa dell’ambiente e della salute e che ha apertamente parlato di “quarta colonizzazione” della Sardegna (dopo quella linguistica, industriale e militare) e a seguire, oltre a interventi più specialistici, gli esponenti di altri comitati che si oppongono ai progetti di colonizzazione energetica.
Il tono generale degli interventi, a parte il malizioso vittimismo del presidente dell’ANCI Deiana, è stato univoco: «non siamo contro le fonti da energia rinnovabile, siamo contro la speculazione, siamo contro la mancanza di democrazia e il mancato coinvolgimento delle comunità, vogliamo una immediata moratoria di tutti i progetti in attesa di autorizzazione e vogliamo che la Regione Sardegna prenda in mano la situazione e legiferi per fermare quella che a tutti gli effetti è una colonizzazione materiale e culturale della Sardegna».
Prima di raccontare l’intervento che dal mio punto di vista ha centrato tutte le questioni fondamentali della questione “mega eolico in Sardegna”, credo sia utile fermarmi ancora un attimo sull’intervento di Deiana, perché penso sia paradigmatico di una certa parte politica che, utilizzando una retorica pitturata di sovranismo in salsa sardista, evita accuratamente di stare sul punto e di prendere nettamente posizione contro la colonizzazione.
Perché la grande massa dei sindaci sardi e l’organizzazione che li rappresenta maggiormente, cioè l’ANCI, sono stati silenti e passivi di fronte alla prospettiva di una calata degli unni volta a saccheggiare, in maniera barbara e autoritaria, i nostri territori e le nostre comunità? A queste domande Deiana, alternando colpi al cerchio e sferzate alla botte, ovviamente non ha risposto a chi, negli interventi precedenti, ha posto giustamente il problema.
Calcoli di equilibrismo politico tra necessità di difendere le comunità che l’ANCI dovrebbe rappresentare e l’interesse di partito? Ai lettori la libertà di risolvere in autonomia l’“enigma”!
Arriviamo ora all’intervento di Mauro Gargiulo che, nei suoi venti minuti, ha ricostruito con realismo e lucida consapevolezza, quanto sta accadendo alla Sardegna.
Il punto di partenza del ragionamento di Gargiulo è che «non si può focalizzare il problema del proprio territorio, perché questo approccio ha portato alla sconfitta della Sardegna. Tutti si sono concentrati sul problema quando il problema era ormai alla porta di casa. Non è così che va affrontato l’assalto che stanno subendo le nostre comunità, perché questo significa essere perdenti in partenza di fronte ad un progetto che riguarda tutta la Sardegna e non solo la Sardegna, perché anche buona parte del Sud Italia è interessato alla questione».
I dati forniti da Terna sulla produzione elettrica 2021 del resto parlano da soli. Ad oggi in Sardegna c’è una produzione di energia elettrica pari a 11.590 GWh a fronte di una richiesta di circa 9.215GWh, con un esubero quindi di circa il 26% rispetto al fabbisogno (surplus che viene esportato in continente).
Le fonti fossili hanno ancora un peso preponderante, poiché coprono il 70% della produzione complessiva, assicurata per il restante 30% dalle rinnovabili. Con questa aliquota si riuscirebbe a soddisfare dunque il 45% dell’intero fabbisogno elettrico isolano, percentuale che sale al 76% se dal computo si escludono i consumi industriali.
Anche conoscere il quadro legislativo è di fondamentale importanza per comprendere ciò che sta accadendo. Il riferimento normativo è il Decreto Legislativo del 29 dicembre 2003, n.387, attuazione della direttiva europea 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.
Anche se dal nome sembrerebbe suonare bene, tutto il focus giuridico della norma ruota intorno ai grandi impianti che poi sono quelli costruiti dalle multinazionali. Né la Direttiva comunitaria, né la legge nazionale affrontano il tema delle comunità energetiche e quindi la possibilità della produzione diffusa e dell’autoconsumo. Si è dovuto attendere la recente RED II (Direttiva UE 2018/2001) e il Dlgs.199 dell’8.11.2021 (peraltro ancora privo dei decreti attuativi), perché venga offerta la possibilità ai consumatori di costituirsi in forme associate di produzione di energia elettrica.
In un ventennio si è consentito con la 387, a multinazionali che operano con finalità di puro lucro, di espropriare terreni agricoli e di sottrarsi ad ogni tipo di programmazione e governo del territorio. In particolare, l’articolo 12 della legge “Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative” consente di realizzare gli impianti dappertutto, anche in aree agricole, consentendo in tal modo la proliferazione indiscriminata di impianti eolici, al punto di ritrovarci gigantesche pale in casa senza conoscerne nemmeno l’iter autorizzativo.
Gargiulo ci spiega come funziona: «le multinazionali ottengono un’autorizzazione unica, dopo aver conseguito una valutazione positiva di impatto ambientale. La motivazione di un iter così spedito sono i cospicui fondi stanziati dal PNRR: ecco spiegate in sintesi le motivazioni dell’assalto attuale al territorio».
Insomma, il puzzle comincia a comporsi: tanti soldi in ballo, una legge che prevede maglie larghe e carta praticamente bianca ai grandi gruppi, i quali più che dal rispetto delle garanzie e dai valori di protezione ambientale ispirati dalla riconversione energetica, mirano alle grandi commesse pubbliche a diretta portata di mano non appena si fondi una s.r.l. che promette di produrre elettricità da sole e vento.
Si condisca il tutto con la compiacenza dei media, con la latitanza di chi avrebbe dovuto fare le barricate per proteggere la sovranità e la democrazia dei territori e invece ha fatto spallucce aspettando di vedere da che parte schierarsi, con la narrazione di certi ambiental-colonialisti secondo cui la Sardegna da sola dovrebbe salvare il mondo dall’Armageddon ed ecco impiattata la polpetta avvelenata in versione gourmet.
Torniamo un momento alla produzione energetica in atto, a quella in potenza e al fabbisogno energetico sardo. Se si realizzassero tutti gli impianti da FER attualmente richiesti la Sardegna produrrebbero circa 44mila GWh (cifra ancora lontana da quella che sarà al termine della corsa all’oro “rinnovabili”), a cui bisogna aggiungere ciò che produciamo già (circa 3mila). Ricordando che ne consumiamo circa 9mila la sperequazione appare nella sua più stringente evidenza! Fra l’altro, a smontare la narrazione drago-meloniana sulla Sardegna “hub energetico d’Europa”, allo stato attuale l’energia non sarebbe neppure interamente esportabile, anche se venisse attivato il Tyrrenian link con la Sicilia.
Alla fine della fiera dobbiamo farci una domanda semplice: dopo essere diventati la portaerei della NATO, il deposito di scorie dell’industria pesante del sistema industriale di mezza Europa, dopo aver subito una pesantissima colonizzazione industriale ospitando tra i siti più inquinanti d’Italia, vogliamo diventare, insieme alla Puglia e alla Sicilia, una batteria energetica dello Stato che garantirà il 90% di produzione elettrica da eolico e oltre il 50% di solare, senza avere nulla in cambio e senza alcun processo democratico e partecipativo in atto se non quelli impulsati, tra mille difficoltà e boicottaggi regionali e governativi, da alcune piccole comunità?
Ognuno interroghi serenamente la propria coscienza e dia una risposta seria a questo interrogativo!
Gargiulo ha detto la sua anche su questo argomento: «si può anche esportare in una logica di comunità condivisa con il resto dello Stato, ma non si può depauperare il nostro territorio. All’interno dell’attuale meccanismo non c’è alcun beneficio per i territori e per la Regione interessata ed inoltre esiste un grave problema: questi impianti sfuggono ad ogni tipo di pianificazione, la logica del legislatore è unicamente pensata per andare a produrre nelle aree ventose, senza alcuna politica di piano, sottraendosi alle norme sul governo del territorio ed a quelle paesaggistiche».
Anche se la Comunità europea ha imposto di individuare le aree idonee e non idonee (per esempio aree industriali e minerarie dismesse) alla installazione degli impianti da FER, allo stato attuale delle cose è ancora latitante una normativa che individui queste tipologie di aree.
Alla fine del suo ragionamento il presidente di Italia Nostra ha chiosato sulla narrazione pseudo ecologista secondo cui basterebbe riempire la Sardegna di campi eolici e fotovoltaici per fare fronte alla crisi climatica e ai tanti disastri ambientali a cui pure in Sardegna abbiamo anche recentemente assistito.
L’Europa spinge sulla riconversione energetica perché non ci sono fonti fossili, ma la narrazione secondo cui produzioni intensive e a qualunque costo da energie rinnovabili arresterebbe il climate change è una narrazione completamente fuorviante: «si può e si deve iniziare un processo di conversione che ci consentirà di riparare al danno ambientale che si è fatto, ma non è che se oggi ci mettiamo a riempire la Sardegna di pale eoliche, risolviamo il problema del cambiamento climatico e delle bombe d’acqua. Questa visione serve solo ad asservire l’opinione pubblica alle finalità della speculazione energetica».
Del resto, basta vedere l’approccio verso le CER, (comunità energetiche rinnovabili), per comprendere il gioco a cui stiamo giocando (alcuni inconsapevolmente, altri invece con piena lucidità). Precisa sempre Gargiulo su questo punto dirimente:
«Le comunità energetiche per la Sardegna si prospettano come una soluzione ideale, perché adatta alle piccole comunità, ma si è di fronte ad una esasperante e voluta lentezza anche da parte dell’Europa, perché ovviamente il modello delle produzioni energetiche concentrate in termini di oligopolio favorirebbe i disegni egemonici delle multinazionali che sulle FER intendono speculare il più possibile.
Questa è la logica terrificante che c’è dietro a questo disegno e la ragione per cui le comunità energetiche stentano a decollare. Ragionare in termini di produzione collettiva significa operare un cambiamento culturale, significa dare prevalenza alla condivisione delle risorse, significa porsi al servizio del bene comune. Una prospettiva del genere procede in direzione opposta rispetto alla mentalità dominante che spinge da decenni verso la prevaricazione dell’interesse privato e individuale.
Abbiamo delle sfide davanti per le quali è necessaria la partecipazione delle comunità, dei comitati e delle amministrazioni ma è un percorso lungo che richiede anche una disponibilità a rinunciare ai consumi inutili e ragionare in termini di efficientamento e di risparmio energetico. Se rimaniamo focalizzati sul nostro orticello non riusciamo a contrastare l’assalto ai nostri territori.
Forse qualche territorio riuscirà a scampare alla invasione dei nuovi barbari, ma come collettività subiremo senza combattere la violenza della speculazione ed una sconfitta epocale. Anche perché l’unico strumento legale di cui oggi disponiamo è quello delle osservazioni, di solito affidate alle associazioni ambientaliste e a qualche esperto di fiducia, ma la massa dei progetti è tale che non abbiamo le forze per contrastarli e nemmeno per verificarli tutti. Serve suscitare una risposta collettiva delle comunità sarde segno di un cambiamento culturale profondo e di una conversione ecologica condivisa che vada ben al di là dei tecnicismi oppositivi ai singoli progetti».
Immagini: Cristiano Sabino
2 commenti
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Mi sembra che i nostri politici( nazionali,regionali e comunali) non abbiano ancora deciso cosa fare DA GRANDI: dicono che è necessario valorizzare le zone interne tramite sentieri,ippovie, piste ciclabili,cammini religiosi e altro per poter realizzare il turismo interno ( specialmente nel Meilogu/Villanova sono in fase di realizzazione alcuni progetti)…
di contro si nascondono ” dietro le quinte” con la speranza che qualcuno risolva l’annoso problema che rischia di esplodere da un momento all’altro. Vorrei continuare …mi limito a inviarle il mio tel… se fosse interessato, eventualmente, ci potremmo sentire…..
La saluto cordialmente
Grazie mille, i miei profili social sono pubblici e aperti, dunque potrà tranquillamente scrivermi lì. Per il resto concordo con il suo ragionamento, la mancanza di una visione sulla Sardegna e i sardi della nostra classe politica (trasversalmente intesa) viene sistematicamente riempita con la visione del limone da spremere che ne ha il sistema coloniale (industriale, militare, culturale, energetico, cc…)- Non è un caso, né tantomeno episodio di sfortuna, ma si tratta di una precisa costruzione e selezione politica: metto ai vertici del sistema Sardegna una classe corrotta, indegna, subalterna, imbelle e poi me la gioco con regalie e avanzi di carriera, come del resto aveva già capito Ignazio Mannu nel suo famoso inno. Solo che ora il sistema coloniale non ha neppure più bisogno di inviare podestà, perché i “negri da cortile” spopolano in terra sarda. Dovremmo costruire un polo alternativo, ma molti “indipendentisti” (per non dire quasi tutti), preferiscono sedersi periodicamente alla corte dei partiti-stato e di aspettare regalie e e avanzi di carriera, esattamente come i negri da cortile di cui parlava Malcom X. A noi tocca un lungo ma ineludibile lavoro di ricostruzione! Cordiali saluti