
La propaganda nella Speculazione Energetica: l’esempio di Presa Diretta e la narrazione del potere
«Ogni governo è fondato sulla menzogna, e la menzogna più grande è la pretesa di parlare a nome del popolo.»
— Simone Weil
L’informazione, e l’attività editoriale di certa stampa e dei media italiani, si intreccia strettamente con gli interessi del potere, tanto da poter affermare che oggi la propaganda si rivela non più come un residuo del passato totalitario dell’Italia Fascista, ma come un sofisticato strumento di legittimazione democratico. È in questo contesto che si inserisce l’ultima puntata del programma Presa Diretta, che ha affrontato il tema della transizione/speculazione energetica in Sardegna, presentandola in modo profondamente viziato da una linea editoriale filogovernativa sarda e centralista italiana. Una narrazione che, non solo, tacita la voce del popolo sardo e dei comitati che da anni lottano contro la speculazione, ma costruisce un frame comunicativo adatto a svuotarne la legittimità, sminuirne la portata politica e ridurne la protesta a folklore.
Non si può nemmeno ignorare che la propaganda moderna, come suggerisce Noam Chomsky oggi avvenga soprattutto attraverso ciò che viene taciuto. È l’arte della selezione, del montaggio, della cornice narrativa. In Presa Diretta, la figura centrale è stata la Presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, presentata come la “voce dei sardi” e unica protagonista della resistenza alla speculazione energetica. Ma questa rappresentazione è, a tutti gli effetti, una costruzione artefatta.
Il programma ha dato spazio a dichiarazioni istituzionali e narrative rassicuranti, relegando la voce dei comitati — espressione autentica del territorio — a semplici comparse o addirittura omettendole. I lunghi monologhi della Presidente sono stati accompagnati da immagini che evocavano partecipazione e dialogo, quando nella realtà politica recente la Giunta ha insabbiato una legge di iniziativa popolare che mirava proprio a dare ai sardi strumenti decisionali reali sulla gestione energetica dell’isola.
Ecco, quindi, come il cuore della critica debba collocarsi proprio in questa contraddizione: la Presidente si propone come garante della “partecipazione” e “oppositrice della speculazione”, mentre ha silenziato l’unico vero atto di democrazia partecipata emerso dal basso. La legge di iniziativa popolare, costruita dai comitati e sostenuta da migliaia di firme, è stata di fatto ignorata, insabbiata e denigrata sia nel suo contenuto politico sia in quello giuridico.
In essa, tuttavia, altro non si chiedeva se non una pianificazione trasparente, vincolata alla tutela del paesaggio, alla sovranità energetica e all’autodeterminazione dei territori. Un modello, evidentemente, incompatibile con gli interessi delle grandi multinazionali dell’energia e con l’impostazione centralista che il Governo continua a perseguire e con la subalternità, se non connivenza, della politica sarda.
Le parole di Giorgio Agamben diventano quindi rivelatrici: “La politica contemporanea ha svuotato la partecipazione popolare del suo contenuto reale, mantenendo in vita solo la forma.” Quale miglior esempio di questa forma vuota propagandistica messa in scena con Presa Diretta.
La battaglia dei comitati non è solo ecologica, ma si è evoluta assumendo connotati profondamente politici: è la richiesta che il popolo sardo venga ascoltato, non come semplice “stakeholder”, ma come titolare di sovranità. È una battaglia “sardista” nel senso più profondo del termine e tuttavia fuori dagli schemi politici finora visti nella scena politica sarda: non identitaria in senso etnico, ma radicata nella volontà collettiva di autodeterminazione territoriale e culturale. Un diritto, tra l’altro, che il legislatore italiano e il legislatore sardo dovrebbero conoscere, giacché è sancito nella tanto citata Costituzione ( più bella del mondo all’occorrenza), in particolare all’art. 5, che sancisce la promozione delle autonomie locali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che tutela il principio di sussidiarietà.
Di fronte alla partecipazione popolare e democratica, la narrazione mediatica delegittima queste istanze, riducendole a localismi arretrati, incapaci di cogliere la “necessità storica” della transizione.
Lo spiegava Gramsci nel secolo scorso, con grande lungimiranza e visione politica, laddove descriveva il potere egemonico non come potere autoritario ma come consenso costruito attraverso la cultura e i media. La visione del comitato come “populismo anti-progresso” serve proprio a costruire questo consenso. Insomma, dal secolo scorso sono cambiati gli attori ma la regia è sempre la stessa.
Rimane inevasa la domanda fondamentale, evitata dalla propaganda, ignorata dai politici: la transizione energetica per chi? Se essa diventa solo un’occasione di profitto per grandi gruppi industriali esterni, con impianti imposti e comunità locali espropriate del diritto a decidere, siamo di fronte a una nuova forma di colonialismo energetico.
La Sardegna, ancora una volta, rischia di essere trattata come un laboratorio periferico da sfruttare, e i suoi cittadini come spettatori passivi. Ma la resistenza c’è, è viva, e chiede verità. Se il diritto alla verità è il fondamento di ogni democrazia allora non viviamo in un paese democratico. È tempo che certi media filo potentati se ne ricordino.
Immagine: raiplay.it
Un commento
Lascia un commento / Cummenta
I commenti saranno sottoposti ad approvazione prima della pubblicazione.
Arrivo in casa, mia madre guarda presa diretta, rapita, volume a 55.
Il – ehm – giuornalista è seduto dietro in macchina, un gggiovane sardo appena rientrato dal continente per lavorare nelle rinnovabili guida attraverso la campagna in un paesaggio bucolico e nel mentre snocciola cifre sui posti di lavoro che si potrebbero creare con il settore, ahimè ora bloccato. Spara con nonchalance un 75.000 – 80.000 posti di lavoro, ma lascia intendere che ovviamente potrebbero essere molti di più. Musichetta di sottofondo (atroce).
Ancora e sempre la solita brovenda, o se preferite il mais per pasturare i pescetti prima di gettare l’amo.
Il ‘servizio’ passa ora al focus sul connubio possibile tra agrivoltaico e agricoltura. Altra musichetta di sottofondo, tono enfatico del commentatore. S’enfasi ti che pighèt…
Decido che è troppo, abbandono la stanza. Ma prima getto un occhio per soppesare le reazioni di mia madre. Ancora più rapita e anestetizzata.
Fa riflettere la citazione di Chomsky, ma a livello dei grandi numeri la propaganda più efficace continua a essere quella positiva, cioè quello che si asserisce e si comunica (e come lo si comunica).
Se avete stomaco guardatevi un telegiornale a caso della rai. Il siparietto dei politici che guardando la telecamera recitano i loro proclami non sono diversi da quelle che una volta si chiamavano “reclame pubblicitarie” e che oggi sono diventate essenzialmente il sottofondo della nostra esistenza. Quel siparietto è un momento fisso dei telegiornali, assieme alle rubriche di gossip e allo sport sul finire del tg. È pubblicità in purezza, si basa sulle logiche della pubblicità: martellare, ripetere, insistere fino a far sembrare naturale, piacevole una cosa che non lo è.
A me non mi fottono, ma a tanta gente che non ha i suoi filtri – inclusa mia madre – si.
Bisogna lottare anche contro tutto questo.