La legge 20, l’oligarchia al potere e la via sarda alla democrazia
E così, con l’opposizione che – come in Don Raffaé di De André – «si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità», è passata lo scorso 4 dicembre il DL 45 sulle “Disposizioni per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili”.
Sul sito istituzionale della Regione Autonoma della Sardegna la legge 20 (ex Dl 45) viene commentata ribadendo i tre punti fondamentali della propaganda governativa e filo governativa che ha sorretto l’azione della Giunta nel lungo braccio di ferro con il Movimento de coloniale sardo che voleva bloccare i deleteri effetti del Decreto Draghi (199 del 2021):
- La Giunta verginella e il lieto fine della favola: nell’atto del suo insediamento i partiti che sostengono la Giunta Todde, ovviamente esenti da ogni responsabilità pregressa, hanno trovato «un territorio spaventato» e ha «respirato la preoccupazione dei sardi rispetto alle speculazione energetica». Davanti a questo disagio la Giunta si è assunta «la responsabilità di amministrare, di confrontarci e di cercare, con i mezzi a disposizione, di risolvere la situazione» per risolvere una questione che «non è nata oggi e nemmeno negli ultimi 8 mesi, ma è nata negli ultimi 20 anni».
- La Giunta buona, gli altri cattivoni: Le aperture della Giunta verginella non sono state ricambiate e i signori e le signore della maggioranza hanno trovato davanti a se una volontà di «contrapposizione e lo scontro», di «cavalcare la paura della gente, di trovare colpevoli». Ovviamente non tutti cattivoni alla stessa stregua, ci sono anche i poveri di spirito che si sono fatti manipolare dai “poteri forti” e dalle “destre”, come spesso si è detto e scritto in questi mesi.
- La Giunta green e contro gli speculatori: Nel medesimo tempo, la maggioranza sarebbe riuscita a realizzare «un modello virtuoso di transizione ecologica ed energetica» e allo stesso tempo a interdire il grosso del territorio sardo dalla speculazione, stanziando addirittura «circa 700 milioni di euro per le comunità energetiche, impianti fotovoltaici, accumuli di energia elettrica per autoconsumo, con incentivi – anche a fondo perduto – destinati a cittadini, Comuni, imprese, privati ed enti regionali e comunità energetiche».
In sintesi win-win. Battuti i mitologici «speculatori», salvato il paesaggio, bloccato il consumo selvaggio di suolo e salvata la transizione ecologica e sventato il complotto di poteri forti e destra.
Smontare questa favoletta non è affatto difficile e forse non vale neppure la pena spendere tante energie per una narrazione completamente screditata e appannaggio dei soli ceti dirigenti a sostegno di una delle Giunte peggiori e più velocemente logorate della storia dell’autonomismo sardo che ha fatto scordare le malefatte dei vari Cappellacci, Pigliaru e Solinas.
Punto primo. Come se Il PD e il M5S, pilastri della maggioranza Todde, non avessero sostenuto il Governo che ha varato nel 2021 il Decreto 199 che ha reso possibile il Far West speculativo, come se la stessa governatrice Todde non fosse mai stata vice ministro del medesimo Governo Draghi. Come se la Giunta avesse davvero aperto un dialogo con le forze vive del popolo sardo, quelle forze cioè che, in piena estate e senza l’appoggio di alcun partito o sindacato strutturato, hanno raccolto 210.729 firme autenticate e verificate, dando vita alla più straordinaria mobilitazione democratica della storia della Sardegna degli ultimi Cinquant’anni (per rimanere cauti).
Punto secondo. L’unica richiesta del Movimento è sempre stata quella di portare in discussione, con procedura d’urgenza, la legge di iniziativa popolare e verificarne le fondamenta giuridiche, economiche, politiche in sede consiliare. A questa richiesta i volti noti della Maggioranza hanno risposto picche, con una strafottenza e una sicumera degne di una casta politica completamente estranea ad ogni discorso realmente e sostanzialmente democratico e alla fine hanno confinato la legge nelle commissioni, per neutralizzarla, approvando in tutta fretta una leggina direttamente discendente dal Decreto Draghi, che appunto individua le aree idonee ad un modello di “transizione energetica” a forte carattere speculativo, privatistico ed etero diretto, indorando la pillola con i famosi 700 milioni di lenticchie destinati alle “comunità energetiche” che bisogna vedere quando, come e se verranno effettivamente spesi a beneficio delle comunità, dei cittadini e delle aziende sarde. Perché il discorso sta proprio qui: la legge di iniziativa popolare dichiarava che l’unica transizione energetica che i sardi potevano tollerare era quella che parte dal basso, dalla produzione energetica di prossimità e che va verso un modello economico democratico e circolare basato sull’autoconsumo e l’autoproduzione. Il modello che invece ha vinto grazie alla Giunta PD-M5S e ADV è quello calato dall’alto, partorito negli uffici del signor S. Mario Pio da Goldman Sachs.
Punto terzo. I capi bastone della Giunta Todde si danno arie di aver fermato la speculazione, si aver dato lezioni in tutto il contesto statale italiano su come si governa la transizione e via discorrendo. Si tratta di una narrazione che mira a rassicurare i sardi su un pericolo sventato, come se aprire le porte anche solo all’ 1% o al 2% (come riportano i media, dato che la cartina con tali aree ancora non è consultabile) del territorio dell’isola non sia una catastrofe di immani proporzioni. Posto che sappiamo benissimo che non ci si fermerà a queste cifre e che questa legge rappresenta solo il cavallo di troia per un processo di penetrazione coloniale che verrà reso intensivo nel corso degli anni a venire, fermiamoci un attimo a riflettere su questa ipotetica percentuale di «aree idonee». Sappiamo che cosa vuol dire? Significa che stiamo cedendo a soggetti su cui non abbiamo alcun potere contrattuale e in cambio di nulla circa 240 / 480 Kmq di territorio sardo. Una porzione di territorio sardo gigantesco che si va a sommare a plurime e stratificate servitù ufficiali e non ufficiali, come il demanio militare, le zone altamente inquinate da precedenti e sempre eterodiretti cicli industriali, le aree destinate al turismo d’elite e di massa che di fatto rappresentano per i sardi delle zone ad accesso limitato, le aree minerarie dismesse e via dicendo. Insomma ulteriori porzioni rese disponibili alla colonizzazione e questa volta non arriveranno neanche le perline di qualche busta paga o di qualche ricaduta economica favorevole sul territorio ad abbagliare gli occhi degli ingenui e dei soliti creduloni.
Una legge colabrodo
Non credo sia questa la sede per entrare nel dettaglio tecnico dell’articolato di legge, anche se emergono da subito notevoli criticità, segnalate fra l’altro da profili, come quello del sindaco Maurizio Onnis che hanno teso più di una mano alla Giunta Todde.
Scrive sui social il sindaco di Villanovaforru:
«Attenzione. Segnalo un punto nel quale il testo della legge sulle aree idonee, approvato l’altro giorno dal consiglio regionale, peggiora parecchio le intenzioni iniziali. Riguarda il potenziamento degli impianti già esistenti, vale a dire una questione cruciale. Secondo il testo uscito dalle commissioni, revamping e repowering «relativi ad impianti realizzati in data antecedente all’entrata in vigore della presente legge e in esercizio, nelle aree non idonee, sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, ovvero, nel caso di impianti eolici, un aumento dell’altezza del singolo aerogeneratore». La legge dice invece adesso che questi interventi «nelle aree non idonee sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonché, nel caso di impianti eolici, un aumento dell’altezza totale dell’impianto, da intendersi come la somma delle altezze dei singoli aerogeneratori del relativo impianto». In altre parole, laddove oggi ci sono dieci pale da 100 metri, se ne possono costruire cinque da 200, con danni ambientali facilmente immaginabili (per non parlare d’altro). Inaccettabile e da combattere ad ogni costo.»
E non si tratta certamente dell’unico punto critico, visto che il discutessimo articolo 3 prevede misure di semplificazione e accelerazione per la realizzazione di impianti FER, anche in aree non idonee. Ma il punto politico fondamentale è che questa legga è figlia legittima del Decreto Draghi e non utilizza le competenze esclusive statutarie per creare un conflitto di poteri e quindi un cortocircuito nel fianco del processo di trasformazione della Sardegna in una zona di produzione, accumulo ed esportazione di energia a basso costo a scopi civili e militari a tutto beneficio dello Stato italiano, dell’Unione europea delle multinazionali e delle banche d’affari e perfino di stati stranieri.
La falsa moderazione della Giunta
Questa legge, nonostante la retorica di disturbo del gruppo “Sardegna al Futuro” che ha rappresentato una sorta di think-tank per puntare al massimo rialzo la piena disponibilità dell’isola alla colonizzazione energetica e fare apparire come “mediana” e moderata la posizione della Giunta Todde, con la quale in verità non è mai cessata non solo la comunicazione istituzionale ma anche e soprattutto la concordanza di intenti (https://magazine.unica.it/eventi/sardegna-al-futuro-forum-sullenergia/ ), è integralmente figlia di una logica della resa, della complicità, della sudditanza, della subalternità ideologica dell’oligarchia che domina la Sardegna al sistema coloniale.
Il risultato però è sempre il medesimo, vale a dire l’assenza totale di sovranità popolare e il rigetto di una visione politica sardo centrata nell’interesse pubblico delle sue comunità. L’oligarchia che detiene le leve della Regione Autonoma della Sardegna ha fatto la sua scelta di campo.
La rabbia popolare diffusa e palpabile consiste nel fatto che mediamente i sardi sono consapevoli che in questa fase, se avessimo disposto di una direzione politica consapevole e con la schiena dritta, avremmo potuto compiere una rivoluzione copernicana utilizzando la produzione energetica come leva politica per riacquisire quella sovranità popolare che decenni di politiche subalterne hanno alienato ai sardi. Saremmo potuti finalmente diventare il centro della pianificazione energetica calcolando la quantità e soprattutto le modalità dell’energia prodotta sulla base del reale fabbisogno dei sardi e nell’interesse economico e territoriale dei suoi cittadini, cavalcando l’onda straordinaria del consenso popolare e civile rappresentato dal Movimento Pratobello 24 e dalla raccolta di firme che non trova riscontri né nel contesto dello stato italiano né in Europa.
Invece l’oligarchia al potere – non dimentichiamolo mai – grazie ad una legge elettorale completamente antidemocratica che taglia sistematicamente fuori dalla rappresentanza politica una fetta consistente di elettori sardi e che spinge un’altra grande parte o all’astensione o a turarsi il naso e votare una delle facce del sistema basato sulla subalternità coloniale, ha optato per l’obbedienza al centro politico da cui dipende. Tutto questo con la complicità dell’intellighenzia “progressista”, della quasi totalità del mondo accademico e con il pieno appoggio di potenti gruppi editoriali che hanno sposato la causa della quarta colonizzazione dell’isola, sempre in nome di un sistema che storicamente si propone come modernizzatore e benevolo ma che, nelle pieghe della propaganda, nasconde la medesima propensione ad utilizzare l’isola come «colonia di sfruttamento» (Gramsci) proprio come accadeva nelle forme stato della monarchia sabauda e del fascismo, in piena e lineare continuità con i Savoia e con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Niente di nuovo sul fronte occidentale, verrebbe da dire.
Il Movimento Pratobello 24 è stato sconfitto?
Invece qualcosa di nuovo c’è. La novità è che questa volta si è formata una resistenza popolare che presenta aspetti del tutto nuovi rispetto ai movimenti del passato. Sgombriamo subito il campo da equivoci. Da molti anni ormai nell’isola non esiste più alcun movimento de-coloniale. Le cosiddette sigle indipendentiste sono ridotte ormai a circuiti del tutto autoreferenziali, alcuni dei quali hanno addirittura sostenuto dall’interno questa sciagurata Giunta coloniale. D’altra parte la sinistra antagonista ha spesso criticato Todde da destra, sposando le posizioni più oltranziste in materia di colonizzazione, di fatto unendo la propria voce al coro orchestrato dalle multinazionali del settore e delle banche d’affari sposando un improbabile «laisser faire, laisser passer» totale ma in salsa velleitariamente progressista e democratica, vaneggiando di un disco verde in nome del contrasto al cambiamento climatico.
Non è dunque dai circuiti militanti di indipendentismo e antagonismo che verrà fuori l’alternativa al sistema di potere basato sulla centralizzazione e sulla deprivazione di risorse a tutto beneficio di centraline esterne. Da questo punto di vista non parlerei però di sconfitta per il Movimento Pratobello 24, perché la legge sulle “aree idonee” è passata, vero, ma del resto non sarebbe potuta andare diversamente visti gli interessi in ballo e il cordone ombelicale che lega l’attuale oligarchia al potere con le strategie di draghiana memoria (stessi partiti e sovente stessi nomi e cognomi!).
Se il Movimento Pratobello 24 ha perso la battaglia per fermare la legge delle «aree idonee» alla colonizzazione, non è detto che abbia perso la guerra per creare un’alternativa a tutto tondo al sistema che quella legge l’ha imposta con arroganza e disprezzo della volontà dei sardi. In questo senso possiamo parlare di un giusto prezzo per compiere un salto di qualità.
Innanzi tutto, per la prima volta, è emerso con chiarezza un distacco profondo tra popolo ed oligarchia modernizzatrice.
Un distacco sperimentato con un doloroso bagno di realtà che ha dovuto fare il popolo sardo e che non riguarda solo la sconfitta tattica subita sulla partita della colonizzazione energetica dell’isola.
La tempesta perfetta per la nascita di un movimento popolare di liberazione di massa, animato dalle comunità in rivolta contro la colonizzazione energetica e finalmente libero da ogni illusione riformista sulla possibilità che il sistema dei partiti su cui si regge la nostra subalternità possa essere in qualche modo ritoccato in meglio, è nel nostro orizzonte politico.
Combattere una casta coloniale e odiata dal popolo sardo
Ad appena un giorno dall’approvazione del DL 45 sulle “aree idonee”, lo scorso 5 dicembre, è caduta anche l’ultima foglia di fico. L’inchiesta di Mauro Lissia sul Fatto Quotidiano sulla “legge mancia” ha svegliato chi ancora si cullava nel dolce sonno: «Sardegna. Gli eletti si regalano 22,5 mln di mance elettorali». L’articolo è tanto più prezioso se si tiene conto che viene pubblicato su una testata che parteggia esplicitamente per il M5S, per Conte e per la contiana Alessandra Todde, unica 5S che attualmente guida un governo di coalizione del cosiddetto “campo largo” nell’intera cornice dello stato.
Bene, in questa inchiesta, Lissia racconta, con dovizia di particolari, come, con una variazione di bilancio 2024 «sia stata pubblicata in questi giorni sul bollettino ufficiale» una norma contenente un «emendamento firmato da sette onorevoli della maggioranza di centrosinistra grazie al quale l’amministrazione potrà distribuire 22 milioni e 492 mila euro a Comuni, enti strumentali, associazioni culturali, diocesi e parrocchie, società sportive e altri sodalizi semplicemente in base alle indicazioni dei consiglieri».
La Giunta Todde eredita tale prassi dalla tanto vituperata Giunta Solinas, non disdegnando la possibilità di usufruire dei benefici di questa «legge mancia» che, con il consenso in caduta libera proprio a seguito della socialmente disprezzata decisione di non portare in Consiglio, con procedura d’urgenza, la legge di iniziativa popolare Pratobello 24, forte del consenso certificato di 210.729 sardi (ma nella realtà molti di più), ha maturato l’urgenza di costruire dispositivi di consenso per mantenere una certa egemonia. Come? Sempre citando Lissia, «ogni onorevole di maggioranza ha potuto indirizzare sul proprio orticello elettorale e su iniziative di interesse personale 250 mila euro, quelli di minoranza hanno dovuto accontentarsi di 150 mila. Funziona così: i contributi vengono richiesti dagli onorevoli e gli uffici eseguono. Nessuna selezione, non è prevista. Spesso neppure un’istanza da parte dei beneficiari, che a volte ricevono offerte ingenti di denaro del tutto inaspettate» (Il Fatto quotidiano, 5 dicembre).
Insomma, l’oligarchia al potere calpesta la volontà popolare dei sardi e adotta i medesimi meccanismi clientelari della «destra sovranista» svelando, a neanche un anno dalla sua assunzione alla cupola del potere, la sua natura profondamente antipopolare e antisarda.
Non tutti ovviamente apriranno gli occhi, ma come recita un proverbio navajo «non puoi svegliare una persona che finge di dormire».
La prima domanda che ci dobbiamo fare è se esiste un legame tra questa “legge mancia” e la fine dell’ostruzionismo pro Pratobello 24 della maggior parte dei consiglieri che non sostengono la Giunta.
La seconda domanda che risulta urgente porre è come deve proseguire la lotta del Movimento contro la colonizzazione energetica.
Per rispondere alla prima domanda forse dovremmo aspettare nuovi dati.
Dalla sconfitta, un nuovo orizzonte
Nel frattempo potremmo abbozzare una risposta alla seconda questione, iniziando da una doverosa premessa.
Nella storia dei movimenti di liberazione che alla fine riescono a ottenere dei risultati significativi, spesso, è necessario passare per le forche caudine di brucianti sconfitte.
Molti movimenti di liberazione nazionale e rivoluzionari sono nati o si sono rafforzati proprio a seguito di sconfitte, trasformando le battute d’arresto in catalizzatori per una maggiore organizzazione e mobilitazione popolare. È accaduto al Movimento del 26 luglio di Fidel Castro che di fatto nacque dalla sconfitta subita nell’assalto alla caserma Moncada il 26 luglio 1953 dove cadde la quasi totalità dei rivoluzionari, ma che alla fine culminò nella caduta del dittatore Batista e nella vittoria della Rivoluzione Cubana il 1º gennaio 1959.
Stesso amaro tirocinio per la storia del Partito Comunista Cinese (PCC) guidato da Mao Zedong che subì pesanti sconfitte nella Prima Guerra Civile Cinese (1927-1937), quando il Kuomintang represse i rivoluzionari, costringendoli a rifugiarsi nelle campagne. La mitologica Lunga Marcia (1934-1935) non fu altro che una ritirata strategica di oltre 9.000 km che costò la vita a gran parte dei militanti ma che diventò in seguito un simbolo di resistenza. Essa si rivelò una scelta lungimirante per la ripresa della rivoluzione la quale con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese il 1º ottobre 1949.
Stesso copione per la lotta di indipendenza dell’Algeria, e per il movimento di liberazione del Vietnam dove il Viet Minh guidato da Ho Chi Minh si rafforzò dopo le insurrezioni fallite degli anni ’30.
Le lotte di liberazione in Europa non fanno eccezione, fra tutte da segnalare quella che vide l’Irish Republican Army (IRA) emergere con rinnovato vigore dopo la sconfitta della rivolta di Pasqua del 1916, repressa brutalmente dagli inglesi.
Nella sconfitta infatti emergono sempre due fattori: la certezza della lotta e la certezza della polarizzazione. Chi non lotta ha già perso – scriveva il drammaturgo tedesco Brecht – ma chi perde non può cessare di lottare e gode di un notevole vantaggio: sa su chi contare e ha esperienza degli errori.
Da questo punto di vista il Movimento Pratobello 24 ha imparato diverse lezioni. Cerchiamo di riassumerle.
La polarizzazione. L’unità a volte è un bene, altre è veleno. In primo luogo il MP24 ha realizzato che l’unità ha senso se si realizza su obiettivi chiari e definiti e non su premesse ideologiche o su orizzonti lontani. In questo senso la scelta di abbandonare la scatola vuota del cosiddetto “Coordinamento dei Comitati” e di rispedire al mittente le sirene dell’«unità del popolo sardo» da parte di quelle forze filogovernative che avevano tutto l’interesse di smantellare la carica popolare del dissenso, è stata la base di lancio politica che ha permesso al Movimento di fare piazza pulita dai tentativi di assimilazione, che poi è la premessa fondamentale per ogni movimento di liberazione. Il MP24 ha così superato il battesimo del fuoco e ha realizzato una sua strategia politica e di comunicazione, senza farsi tarpare le ali da una cerchia pseudo-movimentista pesantemente teleguidata da pezzi della maggioranza e – cosa ancora più pericolosa – da settori politici (leggasi Soru, soriani e addentellati vari) che nelle grazie della maggioranza hanno il progetto, in un modo o nell’altro, di essere riammessi.
La chiarezza. La divisione è sostanzialmente avvenuta sull’adesione o meno alla legge di iniziativa popolare Pratobello 24, il che vuol dire sull’opposizione frontale o meno a questa oligarchia coloniale (a dominanza PD, Sinistra Futura e e M5S) e al progetto trasversale di trasformare l’isola in un hub energetico. C’era chi voleva collaborare e giustamente è stato messo alla porta. Cioè esisteva una vasta area che a parole era contro la speculazione ma che di fatto faceva melina con la Giunta. Bene, c’è da chiedersi che fine abbiano fatto quei comitati e in generale quelle posizioni che non volevano in alcun modo sostenere la Pratobello 24 o che alla fine l’hanno sostenuta ma solo per salire sul carro. La risposta è oggi sotto gli occhi di tutti: a scrivere apologie della legge 20. Giusto per confermare i vecchi proverbi sul cadavere del nemico e sulla riva del fiume su cui è bene attendere. La legge Pratobello 24 non è stata ancora discussa e non si sa se arriverà mai in Consiglio, ma non è questo il punto. Il suo merito è averci liberati degli equivoci e delle ambiguità, cioè aver separato il grano dalla pula.
L’immaginario e la lacerazione. Negli ultimi decenni sono stati pochissimi i movimenti a dimostrare la capacità di intercettare il sentire dei sardi e di utilizzare simboli e immagini in grado di dividere l’opinione pubblica. La lacerazione è la premessa necessaria per costruire qualsiasi dinamica politica che voglia incidere su una trasformazione permanente della realtà. Ci sono riusciti i pastori con la rivolta del latte e in tempi meno recenti i minatori sardi. Ma si trattava di lotte non complessive, per dirla con Gramsci di momenti «economico-corporativi» destinati allo scacco se non inseriti in una prospettiva politica integrale. È questo il motivo per cui tali vertenze non hanno lasciato traccia di sé. Le file interminabili ai banchetti, le scatole piene di moduli portate a furor di popolo in regione, l’occupazione del Consiglio Regionale da parte delle donne del Movimento, la campagna contro i “traditori del popolo sardo”, l’abbraccio luminoso a difesa della basilica giudicale di Saccargia, sono solo alcune delle testimonianze della capacità del MP24 di toccare le corde dell’immaginario simbolico popolare. Il nemico elitario non possiede queste capacità.
Il logoramento. Un corollario della capacità di colpire l’immaginario è la capacità di indispettire e innervosire il nemico e di farlo uscire allo scoperto. Più di una dichiarazione pubblica di Todde e Comandini sono il frutto di questa strategia di distacco egemonico tra l’oligarchia al potere e le comunità sarde perseguita con successo dal MP24. Il vero capitale politico non è infatti la legge Pratobello 24 in sé, ma la capacità di logoramento dell’oligarchia al potere. Mai come oggi il distacco tra oligarchia e popolo è accentuata. Il criterio con cui giudicare la vittoria e la sconfitta del MP24 non è la discussione o meno in Consgilio, né tantomeno l’approvazione o meno della legge di iniziativa popolare, bensì il tasso di logoramento dell’oligarchia al potere. Questa mobilitazione ha screditato presso una parte consistente di popolazione sarda l’oligarchia coloniale? Forse è presto per rispondere a questa domanda, ciò che risulta certo è che mai prima d’oggi siamo andati così vicini a quella che Gramsci chiamava «crisi egemonica» dell’oligarchia garante del sistema coloniale.
La lotta per il riconoscimento
La partita – appare chiaro – non è l’approvazione o meno della Legge Pratobello 24 ma la lotta per il riconoscimento di una vera e propria anomalia storica e politica nella storia recente della Sardegna.
Kampf um Anerkennung (lotta per il riconoscimento) è un concetto centrale della filosofia hegeliana che ha molteplici ricadute pratiche nella vita politica della nostra comunità perché descrive il processo mediante il quale i subalterni cercano di affermare la propria dignità.
In sintesi Hegel sostiene che gli esseri umani e i soggetti sociali e storici non sono pienamente realizzati se non attraverso il riconoscimento reciproco e questo avviene attraverso la lotta. L’oligarchia al potere in Sardegna non ha però bisogno di lottare per il riconoscimento. Trova la garanzia della sua dominanza nell’alternanza “democratica” concessa dal sistema coloniale, dove prima o poi i quadri fedeli al sistema di subalternità coloniale, saranno premiati con ruoli di primo piano, indipendentemente dalle qualità politiche, etiche, umane e professionali (e gli esempi credo siano sotto gli occhi di tutti, indipendentemente dalle giunte che si avvicendano nella gestione podestarile dell’isola). L’unico soggetto che deve lottare per essere effettivamente riconosciuto è il «soggetto sardo» di cui parla Ignazio Mannu nel suo “Innu de su patriota sardu a sos feudatarios”, vale a dire la coscienza dei sardi che sembrava «sepolta nell’antico letargo», ma che ciclicamente riemerge desta e combattiva. Hegel ci insegna però che non basta diventare coscienze per essere riconosciuti, bisogna attraversare il deserto della «lotta per la vita e per la morte». Ed è precisamente questa la fase in cui il MP24 si trova, a rappresentare la volontà di questa lotta, cioè il bisogno storico di una lotta per il riconoscimento del popolo sardo contro un nemico abituato a dominare senza alcuna necessità di lottare e di guadagnare il consenso, grazie al sistema truccato e drogato della cosiddetta alternanza democratica, gestita di fatto da due rami di un medesimo sistema coloniale.
La dialettica servo (MP24) – padrone (Oligarchia al potere)
Mentre dunque nel sistema hegeliano la lotta tra le coscienze che vogliono essere riconosciute senza dover riconoscere l’altra avviene in maniera paritaria, in Sardegna lo scontro è viziato, perché il padrone è garantito dal sistema parassitario, subalterno e truccato a beneficio dei gruppi di potere economici che hanno tutto l’interesse di mantenere l’isola in un perenne stato di minorità e disponibilità agli interessi esterni (ieri le compagnie minerarie, oggi quelle energetiche). Per cui vince sempre il banco, cioè l’oligarchia coloniale, in una perenne altalena dalla parvenza democratica.
Nello scontro tra oligarchia e popolo, cioè nel braccio di ferro tra movimento de coloniale e Giunta Todde, non poteva che vincere formalmente quest’ultima, perché garantita da un sistema di dominanza che evita il conflitto. Chi si meraviglia di fronte al fatto che alla fine il MP24 non abbia avuto la possibilità di far approvare la sua legge anti speculazione, o gioca con le parole o non ha alcun senso della realtà.
Ma seguendo ancora lo schema di ragionamento hegeliano il servo, paradossalmente, attraverso il lavoro e il confronto con la realtà, sviluppa una coscienza più profonda e autonoma rispetto a quella del padrone e giunge a rovesciare la prassi, cioè a conquistare la piena sovranità. Questo ribalta la dinamica iniziale.
In Sardegna ciò è vero a maggior ragione, perché il padrone non è tale perché ha vinto uno scontro reale, ma gode della sua asfittica condizione di privilegio, solo grazie ad un equilibrio garantito da forze esterne e per conto terzi.
Arriviamo al dunque: in presenza di una coscienza realmente orientata alla lotta e al riconoscimento, non esiste oligarchia che possa reggere il conflitto. Il punto è che finora le coscienze in lotta non hanno mai realmente puntato al rovesciamento, ma hanno sempre cercato di essere riconosciute dall’oligarchia padronale e si sono sempre dimostrate desiderose di essere assimilate nel sistema di apparenza democratica. Anche qui gli esempi fioccano, anche nella presente compagine governativa non mancano i «negri da cortile» – per usare un’immagine di Malcom X – che (in cambio di alcune commissioni e posizioni di privilegio) colorano di verde giudicale il pugno di ferro coloniale con cui la Giunte Todde sta imponendo ai sardi la quarta colonizzazione.
Dobbiamo andare molto indietro nel tempo per individuare nella nostra terra una dialettica reale, cioè uno scontro tra coscienze realmente votate al conflitto.
Il rifiuto della proposta del prof. Bandinu di rientrare nei ranghi politici consentiti, la fuoriuscita dallo pseudo Coordinamento dei Comitati e la meravigliosa campagna di individuazione politica e responsabilità politica che Roberto Loddo chiama con raccapriccio «una delle peggiori e sporche campagne contro una giunta democraticamente eletta» (https://www.manifestosardo.org/lasciamo-da-parte-il-veleno-lunica-possibilita-di-praticare-una-transizione-ecologica-democratica-e-lunita-del-popolo-sardo/?fbclid=IwY2xjawHD8_5leHRuA2FlbQIxMQABHfHi-76LHCt0ajLowPi9LH4l1BZRn_yWeZ_evTDFyW4ZhJ2z7oU5zcatiQ_aem_lYqPkpO9-qKxXDZaL2_SVQ ) hanno rappresentato i momenti di formazione di una reale e del tutto innovativa lotta per il riconoscimento. A me sembra che la novità del MP24 consista in questo, nella capacità di condurre un conflitto schietto e reale, tagliando i ponti con l’oligarchia e correndo tutti i rischi del caso. Un rischio che evidentemente non tutti sono pronti a correre, compresi molti soggetti verniciati di antagonismo politico e retorica indipendentista che a parole hanno avversato la «speculazione energetica» per poi di fatto cercare di sabotare in ogni modo l’unico soggetto reale che l’ha combattuta realmente.
È da leggersi da questo punto di vista la pratica di organizzare conferenze stampe sotto le pale eoliche o a chiedere velleitarie «nazionalizzazioni» proprio nei gironi caldi in cui il movimento decoloniale era impegnato ad organizzare i banchetti per la raccolta firme e poi a difendere il diritto dei 210.729 sottoscrittori della legge a veder discussa la legge in sede consiliare.
Mandare in soffitta la contestazione di cartone
Potremmo chiamare questa consolidata prassi «assimilazione per contestazione». In occasione di riflettori puntati su una contraddizione politica emergono i contestatori professionali che non si perdono una manifestazione, un dibattito, una telecamera ma il loro fine non è fare maturare la dialettica in campo, bensì veleggiare sull’onda del conflitto, facendo sempre molta attenzione a non toccare i gangli vitali del dominio elitario. La retorica di questi soggetti è quella della lotta, della piazza, dell’autodeterminazione, della ribellione. La loro prassi è quella dell’opportunismo, dell’assimilazione, della parentela con le oligarchia, della lubrificazione coloniale. Un modello questo che ha sistematicamente fatto abortire ogni istanza di liberazione nella nostra terra e che ha permesso facili e veloci processi di «assorbimento molecolare» – sempre mutuando le categorie gramsciane – di selezionati corpi dirigenti nel quadro delle oligarchia.
La novità del MP24 consiste nell’aver tagliato i ponti con questa pratica, ma come andrà questa avventura non lo sappiamo. Ciò che appare chiaro è che sarà solo nel lavoro politico, nella capacità di mettere radici via via più robuste, nel diventare sempre più capillari che il movimento potrà costruire le prossime tappe per condurre a buon fine la lotta.
In questo contesto serviranno campagne politiche simboliche di sicuro effetto psicologico e una rete di sedi territoriali (come centraline nervose) per dare vita a quella dimensione popolare sarda che è sempre mancata nella storia di ogni movimento di ribellione. Servirà raffinare un gruppo dirigente capace e competente e allo stesso tempo mantenere quel contatto popolare che è sempre venuto meno quando i movimenti sono passati dalla fase della contestazione alla fase della proposta elettorale. Servirà concentrarsi su una agenda politica sarda per unire alcune fondamentali contraddizioni, senza perdere di vista la connessione internazionale di quel «mondo grande e terribile» che oggi più che mai viaggia spedito verso la guerra e l’accaparramento criminale e suprematista delle risorse da parte di un Occidente collettivo sempre più bellicoso e spregiudicato pur di mantenere i propri privilegi.
La discussione su come questo percorso di piena e matura politicizzazione dovrà essere ampia e ramificata, ma senza ovviamente disperdersi nei mille rivoli delle esigenze di gruppo, di nicchia o peggio personalistiche.
Ma c’è da essere ottimisti. Mai negli ultimi decenni un movimento popolare sardo si era dimostrato così maturo da sfidare a viso aperto l’oligarchia e così capace di disinnescare la narrazione modernizzatrice e coloniale su cui queste da sempre si reggono. Mai come in questo caso il movimento reale aveva manifestato una adesione popolare così organica e matura e la capacità di individuare le pieghe della subalternità, senza d’altronde costruire un mondo di carta fatto di retorica antagonista e indipendentista dietro a cui poi però puntualmente spuntava il vuoto.
Mai come oggi il popolo sardo ha espresso una capacità democratica, conflittuale e una tensione così chiari all’autodeterminazione, alla sovranità, al controllo e alla gestione del proprio territorio, delle proprie risorse, del proprio futuro.
In Sardegna – come spesso giustamente sottolinea Omar Onnis – la rivoluzione che serve è un pieno e chiaro processo democratico, visto che la “democrazia” di cui godiamo è spesso soltanto un simulacro, una sorta di illusione ottica che inganna sempre meno sardi e che questa volta è apparsa a centinaia di migliaia di sardi per quello che realmente è, ovvero fumo negli occhi.
Da questo punto di vista non è un caso che il MP24 abbia recentemente sollevato la questione della legge elettorale, ponendo l’interrogativo se in Sardegna esista davvero la democrazia e avanzando la proposta di una mobilitazione popolare per cambiare le regole del gioco, visto che si tratta di un gioco truccato.
Bisognerà verificare se si tratta della strada attraverso cui portare a piena maturazione la lotta per il riconoscimento, oppure se serviranno passaggi intermedi e proposte politiche di avvicinamento. Il dado però è tratto e il guanto all’oligarchia è lanciato.
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