La demolizione della nazione color “canchescappa” – S’Imprenta, rassegna stampa dalla colonia
La demolizione del territorio sardo è un cantiere che lavora a pieno regime.
A Selargius continuano gli scavi di Terna (che intanto porta gli utili a +34%) per le due stazioni, a Terramala è previsto l’approdo per il cavo Tyrrhenian Link e la Capitaneria si accinge a dare in concessione alla compagnia per 50 anni lo specchio di mare, ad Oristano sbarcano le due navi con le mega pale.
Ricominciano le esercitazioni militari e si ricomincia a bombardare le coste sarde.
Un attacco senza tregua.
La moratoria presentata dal governo sardo è stata accolta duramente da parte del GrIG e in maniera attendista, in conferenza stampa, da parte dei Comitati contro la speculazione energetica, criticando innanzitutto il mezzo utilizzato (il disegno di legge) ponendo l’accento sul piano energetico. Lucia Chessa e Sardigna Natzione sono fortemente contrari.
Italia nostra invece plaude al disegno di legge.
180 giorni di stop, per decidere (se passasse il D.L.) sono sufficienti anche per accumulare cause milionarie da parte delle multinazionali.
Manca dalla bozza qualsiasi riferimento al Tyrrhenian Link, mentre in campagna elettorale la candidata Alessandra Todde prometteva:
“Le istanze dei territori in cui arriverà il Thyrrenian Link sono corrette perché la prepotenza di Terna non è ammissibile ed è necessario trovare una soluzione condivisa.”
Di questa posizione, nel DL, non c’è traccia, i territori protestano e il consiglio comunale ha votato un ricorso straordinario al pdr, tutt’ora in corso. Anzi, leggendo dalle linee programmatiche presentate in aula, si evince proprio il contrario:
Nel farlo sarà necessario gestire efficacemente i flussi di potenza per stabilizzare il sistema elettrico, promuovendo l’autoconsumo e sviluppando infrastrutture e politiche industriali compatibili con l’aumento delle FER. Perciò miglioreremo la distribuzione dell’elettricità, definiremo le aree idonee per gli impianti rinnovabili, e supporteremo la transizione con investimenti in tecnologie avanzate e di accumulo energetico.”
Anche Comandini in passato si era schierato duramente contro il Tyrrhenian Link.
Vedremo il voto in aula, per ora è solo una bozza che non ha valore legale.
Dopo la moratoria arriva in aula anche la proposta di PPR del Comitato Scientifico per l’Insularità sull’estensione del Ppr a tutto il territorio regionale entro sei mesi e sul divieto, nel frattempo, di realizzare nuovi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Se le settimane scorse aveva impressionato la nave con le gigantesche pale eoliche, ora, si aggiunge la servitù ricorrente del bombardamento delle coste sarde.
L’esercitazione militare “Mare aperto”, che in realtà orwellianamente lo chiude ai sardi (“vietata qualunque attività al largo della costa“) sarà composta da 9.500 militari di 22 nazioni (di cui 11 appartenenti alla Nato), e durerà fino al 27 maggio.
L’obiettivo coloniale atto a sfruttare il territorio sardo, come base per esercitazioni o come piattaforma per l’energia per l’Italia (rinnovabili, petrolchimica, carbone, legname boschivo), ha come effetto principale quello di devastare irrimediabilmente la natura e l’identità del paesaggio sardo, come segnalato dalla soprintendenza speciale per il PNRR (“sostanziale sostituzione del patrimonio culturale e del paesaggio“).
La demolizione del territorio e del patrimonio culturale sardo vanno di pari passo.
A breve sarà il 2 giugno, festa della repubblica (ma a Cagliari Emanuele Filiberto viene accolto in pompa magna) e dalla politica italiana pioverà nazionalismo e retorica a gogò.
Vedremo quanta gente starà col naso all’insù mirando le frecce tricolori, mentre all’ingiù creano leggi che blindano la speculazione energetica e ci bombardano le coste. Servitù nascoste da nazionalismo sciovinista.
Il concetto di nazione è come “su color’e cani fuendi” (color canchescappa, secondo un modo di dire sardo, intendendo nessun colore in particolare), tutti ne parlano, ma nessuno l’ha visto.
Scrive James Joyce, ne l’Ulisse: “Bloom seguitava a parlare e parlare con John Wyse ed era tutto eccitato, con quel muso color canchescappa (ndr, scrive proprio così) e gli occhi color prugna che giravano da tutte le parti.– Persecuzione, dice lui, tutta la storia universale ne è piena. Si perpetua l’odio nazionale tra le nazioni.– Ma lei sa cosa significa una nazione? dice John Wyse.– Sì, dice Bloom.– Cos’è? dice John Wyse.– Una nazione? dice Bloom. Una nazione è la stessa gente che vive nello stesso posto.– Perdio, allora, dice Ned, ridendo, se la cosa sta così sono una nazione anch’io perché è da cinque anni che vivo nello stesso posto.”
Se è vero che ci sono “comunità costruite”, per cui esistono “nazionalismi senza nazione” (l’ideologia nazionalista che crea la nazione), è vero che esistono anche “nazioni senza nazionalismi“. Quest’ultima opzione vale per la Sardegna, ormai assimilata al nazionalismo italiano.
“Nazione senza nazionalismo” significa ammettere l’esistenza della nazione sarda, pur in assenza del processo di nation building. È invece tuttora in corso la nation demolition, che passa per la cancellazione del paesaggio, della lingua e della cultura, a partire dall’infanzia, costretta ad italianizzarsi e a dessardizzarsi per 5 ore al giorno sui banchi di scuola per almeno 18 anni, continua con le TV statal-popolari, col cinema, con gli eventi sportivi.
La toponomastica risorgimentale, le statue intoccabili, gli onori ai morti per (e non per colpa de) la “patria”. Tutti potenti simboli di matrice italica.
Mentre (soprattutto) in Germania e in Italia nell’800 avviene un processo di nation building, in Sardegna, dopo Palabanda, la politica è proiettata nel risorgimento italiano, che ha trovato sbocco politico nella fusione perfetta, e culturale nelle false carte di Arborea, tese a trovare un fondamento italiano al medioevo sardo.
Applicata alla Sardegna, la tesi “modernista” (la nazione è inventata e costruita) non regge, perché non è esistito un processo di costruzione, semmai di demolizione. Dentro la logica modernista, la Sardegna non può essere nazione, e il nodo non si può sciogliere.
Per ammettere l’esistenza della nazione sarda, in assenza di una nation building, è necessario rivolgersi ad altri modelli.
Anthony Smith, della London School of Economics, elabora una tesi originale sul concetto di nazione, criticando sia il perennismo (le nazioni sono sempre esistite), che il modernismo (le nazioni sono state inventate a fine ‘700), scuola da cui proveniva.
La visione perennista non regge per Smith, perché la costruzione della nazione è un fatto moderno. Concorda sul fatto che nazione e nazionalismo sono concetti relativi al periodo della rivoluzione francese, ma individua alcuni elementi su cui si fondano alcune nazioni, come preesistenti all’epoca moderna.
Per Smith, la continuità del concetto di nazione nella storia, può essere trovata nei simboli, dei nomi propri collettivi, dei codici linguistici (in Sardegna questo elemento è oggi debolissimo, per via dell’italiano) e dei paesaggi, che possono persistere anche dopo che la comunità a cui erano attaccati è quasi scomparsa. Su queste basi la nazione si rigenera, ciclicamente, in nuove forme. Non solo. Ammette anche che le nazioni “riemergenti” possano derivare anche dall’unione tra più ethnie (fa un uso scientifico della parola).
Scrive Smith (La nazione. Storia di un’idea, pag. 65.) che “il problema principale sta nell’eseguire e nelle difficoltà di interpretazione delle fonti, in particolare quelle riguardanti il mondo antico.”
Dunque occorre indagare sui dati, chiedendo proprio a chi questi dati li può fornire, con un’ottica mirata in tal senso. A tal proposito, abbiamo intervistato prof. Ugas.
La questione non è antistorica o di lana caprina: se siamo nazione abbiamo il diritto (che è cosa diversa dalla legge) di disporre del nostro territorio; se siamo regione quel diritto ce l’ha l’Italia, che può scegliere di concederci qualche potere amministrativo. Lo Statuto è assolutamente inefficace (vedi Saccargia) di fronte ai poteri dell’Italia, che decide quando un‘opera è di interesse “nazionale”, e ci obbliga ad una serie di contenziosi con lo stato, che sarebbero evitabili.
Il modello di Smith regge in presenza di una società dinamica e multietnica.
I modelli sono degli strumenti, servono a spiegare e interpretare la realtà, purché riescano a matcharla, non devono per forza essere dei mantra rigidi e schematici. Per cui la tesi modernista si può applicare al nazionalismo italiano, frutto di una costruzione elitaria, che ha fatto breccia anche in Sardegna. Nell’isola invece insiste un sentimento popolare diffuso, non costruito da un’élite, basato su aspetti culturali dinamici, che si sono sovrapposti nella storia, relegando all’oblio quelli antistorici.
Andando oltre il discorso scientifico di Smith, politicamente è la scelta ad essere determinante. La scelta di volere una società aperta, non chiusa e non statica, ma in evoluzione, recettiva alle sfide del futuro, inclusa la transizione energetica, ma costruita su misura nostra.
Nei Comitati contro la speculazione energetica parecchi non sardi hanno scelto di lottare per difendere l’isola dall’ultimo e più devastante attacco al paesaggio, mentre il sardissimo e sardista Solinas ha scelto inspiegabilmente di fare orecchie da mercante.
L’isola è costellata di simboli del passato, ci conviviamo da millenni, hanno perso il significato originario, per cui ancora non abbiamo neppure un’interpretazione condivisa sulla funzione dei Nuraghi. Ma sono ancora qui, caratterizzano ancora il nostro paesaggio, hanno stimolato leggende, storie, racconti, sono stati utilizzati come ovili, e oggi sono attrattive turistico-culturali, dal potenziale ancora inespresso.
La loro presenza, in questi giorni, ha trovato una nuova funzione d’uso: rappresentano un validissimo elemento per la difesa del paesaggio, proprio contro la speculazione energetica.
L’editore Zuncheddu lancia una proposta. È buona, e ci tocca citarlo:
“se tenuto conto delle distanze necessarie dai beni archeologici per i siti di installazione, ben poco rimarrebbe come area idonea.
[…]
la Regione ha potestà legislativa esclusiva in materia di Edilizia ed Urbanistica
[…]
Zone agricole, boschi, foreste e punti di connessione con la terraferma per l’eolico off-shore possono essere salvaguardati da una norma urbanistica che prescriva il divieto di autorizzare e installare e/o connettere parchi eolici o fotovoltaici, esattamente come la norma urbanistica impone oggi il divieto di triplicare i volumi nei centri storici o di realizzare complessi residenziali nelle zone agricole. “
Insomma, è una battaglia da vincere “sul piano culturale“, per dirla con Woody Allen, ma solo con un forte supporto popolare, perché i pochi cavilli disponibili nello statuto sono del tutto insufficienti.
Áteras novas de sa chida
Continuità territoriale con meno soldi e meno voli, l’assessora Barbara Manca vuole “riattivare le trattative con il ministero“.
L’assessore all’industria Cani propone un tavolo permanente per l’industria, energivora e ormai decotta, dopo aver incontrato il ministro italiano Bergamotto.
La campagna elettorale cagliaritana, per la gioia degli anziani, è incentrata su cantieri e sul traffico. Nei lavori per la costruzione della “Metro a Cagliari, tra gli scavi spunta una cavità: faro degli archeologi sul cantiere“.
Il Psd’Az perde Chessa e Maieli, e rischia di non essere presente nel consiglio regionale come gruppo, ma avrà un solo elemento nel gruppo misto: la mazzata finale per il partito a gestione (disastrosa) Solinas. Chessa accusa «Una combriccola che ha svenduto l’autonomia della Sardegna alle logiche leghiste e salviniane». Leggermente fuori tempo massimo, dopo cinque anni di assessorato e dopo la mancata candidatura a sindaco di Cagliari.
Nasce il comitato carlofortino contro la speculazione.
Il consiglio comunale selargino (notizia che diamo qui in anteprima) vota negativamente sulla nuova richiesta di installazione da parte dell’Enel di una cabina energetica nelle campagne, ma per l’esito definitivo occorrerà aspettare la fine della conferenza di servizi. La serata è stata ancora una volta parecchio concitata, per via delle vivaci proteste da parte del Comitato No Tyrrhennian Link, presente all’assemblea. A metà seduta sono arrivati i carabinieri, ma la loro presenza si è dimostrata inutile.
Il Comitato selargino fa un appello ai sindaci dei comuni direttamente interessati al Tyrrhenian Link (Selargius, Quartu S.E., Maracalagonis, Sinnai, Settimo, Quartucciu), affinché facciano fronte comune rivolgendosi a Todde per bloccare il cavo.
Soru non si presenta alle elezioni, ma mantiene un ruolo da protagonista, con un convegno sulla via Roma e dintorni (parafrasando Lussu) proprio con l’architetto Boeri, e uno molto interessante sulla speculazione eolica.
Ha una visione estremamente lucida della realtà, ma cade sempre nello stesso errore: dopo aver parlato di servitù energetiche e di battaglia del secolo per i sardi, conclude confidando nello stato italiano.
Senza la rivolta dei comitati, delle associazioni, di alcuni sindaci, e del gruppo Unione Sarda, lo stato italiano ci avrebbe asfaltato senza pensarci due volte e, nonostante tutto, ancora non accenna a mollare la presa. Bai e fida-tì.
Imàgine de sa chida
Immagine copertina: S’Indipendente su immagini TGR (Rai 3) e Unione Sarda