Indipendentismo: impariamo a osservare e ad ascoltare
de Marco Fadda
La completa assenza dal dibattito politico dell’indipendentismo, eccezion fatta per qualche raro caso isolato legato a iniziative e operati personali, per lo più di nostri ottimi amministratori locali, fa sì che un enorme spazio sia occupato indebitamente dai vari populismi di destra e di sinistra.
Ci si continua a lamentare di questo risultato attribuendo scarsa maturità politica all’elettore sardo, non capendo che la colpa fondamentalmente è nostra e che prima di puntare il dito contro gli altri, cercando la solita scusa patetica per giustificare i nostri fallimenti, dovremmo puntarlo contro noi stessi.
Una critica che spesso ci viene mossa è quella di essere troppo idealisti e poco pragmatici. Sappiamo bene che non è così, ma quello che emerge al di fuori è l’immagine di un indipendentismo che:
- naviga a vista, che ruota attorno a slogan costruiti ad arte a seconda delle occasioni, ma che non riesce a mettere in risalto le proprie competenze ed eccellenze;
- anziché proporsi come proposta politica trasversale, troppo spesso condanna la destra ma strizza l’occhio alla sinistra italiana;
- fino a oggi è stato “di condanna” piuttosto che capace di elaborare proposte concrete in risposta a problemi concreti, dando spazio alle giuste priorità. Che non vuol dire togliere spazio alle grandi battaglie che sono sempre state portate avanti (ad esempio quelle sulla lingua), ma non tutta la proposta politica che riesce ad emergere si può esaurire li.
- ha visto le sue troppe divisioni, spaccature e minuziosi frazionamenti creare (fino a oggi) più danni che giovamento, portandoci a percentuali elettorali imbarazzanti e che non rendono giustizia alle reali possibilità.
Indubbiamente è necessario dare vita a una nuova classe politica e dirigente, ormai non più adeguata a far fronte alle nuove sfide che abbiamo davanti a noi.
Serve una fine formazione politica, ispirata dall’esperienza dei nostri amministratori locali che hanno già dimostrato, con i fatti, di saper amministrare in modo esemplare. Per cambiare le cose, infatti, bisogna governare. Per arrivare a governare bisogna risultare credibili. Per risultare credibili dobbiamo essere noi il primo esempio tangibile di quella comunità che vogliamo andare a plasmare.
Ma se quello che trasmettiamo sono soltanto frammentazioni e personalismi, non possiamo aspettarci che i cittadini possano identificarci come un chiaro e credibile punto di riferimento.
Fondamentale è l’introduzione di una nuova dialettica politica e di un linguaggio più consono a un progetto serio come quello indipendentista. Abbandonare l’imbarazzante e infantile aggressività verbale che purtroppo ancora anima qualche frangia più intransigente deve essere una priorità.
Serve chiarezza nei programmi. Serve maggiore attenzione, per esempio, al confronto con le parti sociali a oggi lontane dal mondo dell’indipendentismo, come tutto il mondo dell’imprenditoria fino a oggi abbondantemente trascurato.
Impariamo a osservare e ascoltare: guardiamo i processi che spontaneamente si stanno sviluppando.
Vi è infatti il risveglio del sano indipendentismo con un processo inverso rispetto a quello che si è sempre cercato di mettere in piedi, ovvero si sta ripartendo dal locale per arrivare al generale. Abbiamo decine di realtà amministrative e non di stampo indipendentista apprezzate e che stanno svolgendo un ottimo lavoro e che hanno modo di confrontarsi utilizzando un valido strumento come la Corona de Logu.
Abbiamo realtà come la stessa ANS Assemblea Natzionale Sarda, che può rivelarsi fondamentale se utilizzata come territorio neutro nel quale aprirsi al confronto, all’elaborazione di idee e di programmi, consci del fatto che risulta improduttivo saltare fuori in prossimità delle competizioni elettorali con programmi fotocopia per ogni sigla indipendentista che riesce a presentarsi. Serve questo territorio neutro nel quale provare a riavvicinare la maggioranza degli indipendentisti “senza tessera e senza patente”, ma anche chi indipendentista ancora non lo è. Bisogna essere aperti e inclusivi. È improduttivo e fine a se stesso rinchiudersi in angusti club esclusivi dicendoci tra di noi quanto siamo bravi e coerenti.
Serve partecipazione, ognuno con il proprio bagaglio di esperienze, perché le differenze possono davvero essere il nostro punto di forza e la vera forza coesiva e il confronto senza pregiudizi la base dalla quale possono nascere le vittorie migliori. Eliminiamo per prima cosa ogni pregiudizio, la superba convinzione di conoscere già, di sapere già, di non aspettarsi nulla se non ciò che si crede già di conoscere. Se da una persona che hai accanto non ti aspetti più nulla e lo hai tombato in un pregiudizio, non puoi operare nessun cambiamento in lui perché tu hai deciso che non può esserci. Ti aspetti persone nuove ma non aspetti una novità nelle stesse persone di sempre. Questo atteggiamento di chiusura mentale con cui molto spesso guardiamo chi ci sta accanto ha causato danni che è giunto il momento di riparare. Non trinceriamoci dietro agli “ormai” con cui molto spesso ragioniamo.
Tre le parole d’ordine quindi: incontro, confronto ed elaborazione. Prima di pensare a qualsiasi progetto unitario o di puntare troppo in altro, partiamo da questo, altrimenti si potrebbe assistere all’ennesimo fallimento.
Foto de presentada: Denise Jans on Unsplash