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Gramsci voleva la Repubblica di Sardegna

È tempo di compleanni e centenari. Lo scorso 22 gennaio ricorrevano i 130 anni dalla nascita di Antonio Gramsci e il giorno prima i 100 anni dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia a Livorno, sezione dell’Internazionale comunista, in seguito alla scissione del Partito Socialista Italiano.

Molto è stato scritto su queste due ricorrenze e, anche in Sardegna, intellettuali e studiosi sono intervenuti con le loro valutazioni storiografiche, dando lettura di ciò che resta dell’elaborazione gramsciana e dell’esperienza comunista.
Al netto di questioni di merito sulla valutazione del ruolo dei comunisti in Italia e sulla rapida e ormai pressoché irreversibile dissoluzione di quell’enorme patrimonio politico, trovo che si sia persa un’occasione preziosa per ridare slancio alla riflessione di matrice marxista sulla questione sarda – in particolare proprio alla riflessione di Antonio Gramsci – e a ciò che può insegnarci oggi.

In tutto il mondo, infatti, Gramsci è il punto di riferimento per scuole di pensiero che decolonizzano la ricerca e che si pongono l’obiettivo di offrire ai subalterni strumenti adeguati per affrontare le vive questioni che riguardano le oppressioni di classe, di genere, territoriali (coloniali e post-coloniali), ecc.
In Sardegna, invece, il dibattito si risolve in una discussione storiografica sul ruolo del PCI nella politica italiana, reiterando l’idea di un Gramsci e di un Partito “nazionali” che sulla Sardegna non avevano nulla di particolare da dire, se non all’interno di una generica “Questione meridionale”.

Le cose stanno così?
Gramsci era convinto che «i signori torinesi, la classe borghese di Torino» avessero sempre «considerato la Sardegna come una colonia di sfruttamento», dal momento che hanno «rubato in Sardegna (…) più di 500 milioni di imposte, denaro sudato dai contadini e dai pastori» [1].
Nei Quaderni del carcere Gramsci non cambia opinione e tornerà sul furto fiscale subito dalla Sardegna, allargando il discorso coloniale anche alla Sicilia e al Mezzogiorno, ma mantenendo sempre un focus specifico sulla Sardegna e sulla sua specifica condizione di subalternità.
Come si vede, la questione della vertenza entrate è vecchiotta e Gramsci la intendeva come un tema dirimente.

Il comunista sardo ha inoltre modo di chiarire che “colonia di sfruttamento” non è un’iperbole, perché la Sardegna sta peggio dell’Eritrea «in quanto lo Stato ‘spende’ per l’Eritrea, mentre sfrutta la Sardegna, prelevandovi un tributo imperiale» [2].
Ma Gramsci era il solo nel movimento comunista a credere che la Sardegna fosse una colonia e che il popolo sardo dovesse liberarsi da tale condizione?

Ruggiero Grieco, fondatore del Pcd’I e suo esponente di punta fin dalle origini, racconta i retroscena dell’appello del Krestintern (l’Internazionale Contadina, organo dell’Internazionale comunista) al V Congresso del Partito Sardo d’Azione che ebbe luogo a Macomer nel 1925.
L’appello fu portato al congresso sardista dallo stesso Grieco che ci racconta come si arrivò a quell’importante scritto oggi del tutto dimenticato. L’appello – spiega Grieco – «fu scritto da me, per conto dell’Internazionale contadina (…) di cui ero membro dell’Ufficio di presidenza per l’Italia»; «Della cosa parlammo con Gramsci, il quale non solo approvò l’idea, ma ci dette anche i materiali necessari perché il contenuto dell’appello fosse “vicino ai sardi”, ai contadini sardi» [3].

E che cosa dice questo appello per la cui scrittura Gramsci fornì tutti i materiali necessari?
Dice che le rivendicazioni popolari del primo sardismo sono da appoggiare e cioè è da sostenere «la costituzione di un parlamento regionale, al quale solo spettasse il diritto di imporre le tasse, di autorizzare le spese e di contrarre patti doganali, e la costituzione di una milizia regionale» [4].
L’Appello sostiene anche la proposta della «costituzione di una Repubblica autonoma di Sardegna» e termina inneggiando al Partito Sardo «liberato dai capi opportunisti» e alla fondazione della «Repubblica autonoma di Sardegna», inserita in una «federazione soviettista italiana».
Non è poca cosa, stiamo parlando dei tre poteri costitutivi di qualsiasi Stato: fiscale, militare e politico.

Dopo la morte di Gramsci le cose cambieranno radicalmente, fino ad arrivare al famoso discorso di Togliatti «noi non siamo federalisti, noi siamo contro il federalismo» [5]. A dir la verità Togliatti aveva espresso da tempo la sua aperta ostilità a ogni discorso “regionalista” [6], ma poi il discorso gramsciano aveva attecchito nel Partito, fino a fungere da lievito per le Tesi di Colonia del 1931.
Con queste tesi, il Partito Comunista prendeva una posizione netta sui temi delle minoranze nazionali e sull’autogoverno e appoggiava esplicitamente il progetto di una federazione di Repubbliche, fra cui anche la Repubblica Sarda, inserita in una «Federazione delle Repubbliche Socialiste e Soviettiste d’Italia» [7].
Di tutto questo patrimonio, oggi, nella sinistra italiana e sarda, nemmeno nelle sue espressioni politiche e culturali più radicali, non rimane nulla.

Però non tutto è perduto.
Gramsci, con grande saggezza, scriveva dal carcere: «mi sono convinto che anche quando tutto sembra perduto bisogna mettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio».
Riprendiamo dunque da Gramsci, da ciò che ci ha lasciato e dalla vitalità del suo messaggio, a partire dal discorso su come fronteggiare la subalternità della Sardegna e su come ridare voce ai sardi.


[1] Antonio Gramsci, La Brigata Sassari, in Scritti sulla Sardegna, a cura di Melis G., Nuoro, Ilisso (2008)
[2] Antonio Gramsci, I dolori della Sardegna, ivi.
[3] Ruggero Grieco, nota in Antonio Gramsci e la questione sarda, a cura di G. Melis, Cagliari, Edizioni della Torre, 1975, pp. 191-193.
[4] Appello dell’Internazionale contadina, Lo Stato Operaio n.2, 1927, oggi in Il Movimento Autonomistico in Sardegna, Cagliari, Editrice Sarda Fossataro , 1975, p. 457
[5] Rapporto di Palmiro Togliatti al V Congresso del Partito, Roma 29 dicembre 1945 – 6 gennaio 1946. Da Gramsci a Berlinguer, La via italiana al socialismo attraverso i congressi del Partito comunista italiano, a cura di Pugliese O., Milano, Edizioni del Calendario. Tognotti, E., 1993,, pp. 77-117).
[6] Palmiro Togliatti, “Irlande” Italiane, in Antonio Gramsci e la questione sarda, a cura di Melis G. Cagliari, Edizioni della Torre, 1975
[7] Il IV Congresso del Partito comunista d’Italia (Aprile 1931), Tesi e risoluzioni, Edizioni di coltura sociale, Parigi, 1931, pp. 32-33


Foto de presentada: Riccardo Pisu Maxia 

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