Elezioni a Selargius, tra eterne incompiute, rischi e opportunità
de Ivan Monni
Selargius ha sempre avuto una duplice natura: bidda con una sua identità culturale ed economica molto ben definita, ma anche satellite di Cagliari, capitale storica di uno dei giudicati sardi, e poi del Regno di Sardegna. Le elezioni di giugno metteranno alla prova anche questa volta le tante idee chiacchierate sotto elezioni o sarà la volta buona?
Sotto elezioni amministrative si riscopre la “selarginità“, qualsiasi cosa voglia dire, che per i restanti quattro anni si è dimenticata. La cultura tradizionale era vitivinicola, inequivocabilmente. Le fertili terre producevano anche grano, mandorle, capperi, frutta, ortaggi. Il mercato di sbocco era Cagliari, a piedi (scalzi) le donne portavano i beni al mercato.
Selargius non ha mai avuto una cantina sociale, ma quella privata di Meloni vini era la destinazione di tanti produttori che non vendevano direttamente il vino. Le produzioni in passato avevano anche uno smercio diretto nei “bar” di un tempo: is pramas, case campidanesi di produttori che si aprivano alla vendita diretta. L’insegna per riconoscerle era la palma fuori dal portale.
Oggi la cantina Meloni ha chiuso per lasciare spazio ad un discount, metafora del passaggio da una società che produce ad una che, assistita, consuma beni prodotti altrove in un supermarket straniero. Oltre alla produzione si è persa anche la distribuzione.
In un recente passato tre circostanze avevano mutato il DNA dell’economia selargina da agricolo ad edile: Cagliari da ricostruire dopo il bombardamento, la migrazione interna sarda verso il circondario di Cagliari, i baby boom che mettevano su casa e costruivano scuole e servizi per far fronte alla crescita rapida della popolazione.
Questo boom ha fatto la fortuna di tanti fusteris, picaperderis, arregioladoris, idraulici ed elettricisti.
Queste condizioni oggi sono quasi irripetibili, dato il tasso di natalità. L’edilizia in crisi ha avuto una momentanea boccata d’ossigeno dai finanziamenti del 110%, ma nel frattempo il DNA dell’economia è mutato ancora. Le tante falegnamerie hanno lasciato il posto alle rivendite di porte pronte, i tanti Brico hanno sostituito is ferramentas, le imprese già temono l’imminente fine dei finanziamenti pubblici.
La zona industriale è stato il centro di questo sviluppo, e il Centro Servizi avrebbe dovuto essere il motore. Realizzato parecchi decenni fa, costato parecchi milioni di euro, non è ancora operativo.
Le giunte sono passate invano, alternandosi destra italiana e sinistra italiana, come acqua di fiume. Qualche anno fa anche Striscia la notizia si era occupata di questo sperpero.
Lo svuotamento delle campagne, con is cungiaus sempre più frazionati, ha visto trasformare il giardino selargino in una discarica a cielo aperto: eternit, mattoni, gomme d’auto, residui industriali e domestici arredano su sartu.
L’osservatorio astronomico, costato parecchi milioni, in cambio di lustro, non è stato un buon investimento per l’immagine di Selargius, dato che l’Osservatorio si fa chiamare “di Cagliari” per avere maggiore prestigio.
L’ex bidda che si dà arie da cittadina, viene declassata nella scala dell’importanza tra “città“.
La nuova ondata di “servitù” energetiche che sta piombando in Sardegna, l’eolico gestito dai signori del vento, le mega batterie in preparazione ad Ottana, chiudono il cerchio con il Tyrrhenian Link.
Il mega cavo per il trasporto dell’energia che collegherà la Sardegna con la Sicilia avrà come destinazione proprio Selargius, che ha accettato con entusiasmo l’esproprio di terreni agricoli, in cambio di pochi soldi. E come si sa, su dinai spaciat, sa terra no torrat. La stazione di conversione sarà realizzata in aree adiacenti alla già esistente stazione elettrica.
Già in passato il colle di Mat’e Masoni, un’area archeologica con chissà quali reperti, era stato sventrato per la costruzione di un vascone, mai utilizzato.
Così come la centrale elettrica adiacente, rudere non in funzione, obbrobrio che completa il disastro ambientale delle campagne.
Questa nuova Selargius, non più paese, non più agricola e non più artigianale, è in crisi di identità. Inglobata nella città metropolitana, rischia seriamente di essere dormitorio di Cagliari, abitata da pendolari che quotidianamente intasano viale Marconi. La stazione metropolitana Camelie, inaugurata in pompa magna qualche anno fa, è situata nella periferia, isolata e mal collegata.
Sarebbe interessante avere delle statistiche di utilizzo della fermata selargina. Peraltro la stazione di Monserrato è talmente vicina che ci si chiede del perché sia stata realizzata.
Le amministrazioni negli anni non hanno investito nella cultura, il sostegno alla lingua sarda è durato quanto i finanziamenti della regione agli sportelli linguistici che hanno tradotto gli atti comunali ma hanno dimenticato di tradurre il sito web, almeno nelle parti statiche, che ha una fruizione di lungo termine. Anche la toponomastica ha cancellato i vecchi nomi che avevano un senso contestuale.
Selargius ignora completamente l’insegnamento della lingua sarda a scuola, non favorisce la conoscenza nelle scuole dei beni archeologici e storici, ignora completamente le storie dei secoli passati. Un sondaggio interno al gruppo Facebook “Selargius” sull’insegnamento della lingua sarda a scuola, che non ha ovviamente valore scientifico, aveva visto stravincere il “SI” come numero di preferenze.
Negli anni ’80 l’amministrazione aveva sepolto sotto il cemento uno dei più importanti villaggi neolitici del Mediterraneo di 5000 anni fa: 200 capanne neolitiche con tanti ritrovamenti di frecce di ossidiana, dee madri, ceramiche, che in quegli anni misero Selargius al centro di un importante convegno archeologico mondiale. Solo due capanne si sono salvate a testimoniare lo scempio. Pochi anni fa invece fu trovata e rapidamente sepolta dal cemento una strada nuragica nel quartiere Borgata S. Lucia.
Tra scempio del territorio e oblio culturale si avvia anche questa campagna elettorale, tra promesse e politici “big italiani” in visita pre-elettorale che vengono accolti come salvatori e non come imbarazzanti opportunisti.
Nascondere la polvere sotto l’asfalto elettorale in fretta e furia non è sufficiente a coprire i tantissimi disastri delle amministrazioni degli ultimi decenni. È mancata una visione di fondo che andasse oltre l’ordinario.
In un futuro sempre più globale, con le mode che cambiano rapidamente, andiamo verso un mondo sempre più immerso nel virtuale e meno nel locale.
È necessario ricollegare la politica culturale e la scuola con la dimensione geografica del territorio e con quella della storia, per riannodare i fili tra passato e futuro.
Fotografia: Vistanet