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stefano-puddu-crespellani

Contare fino a tre (Scenari post elettorali in Sardegna)

In politica ognuno deve fare i propri giochi. Il gioco bipolare è, per il momento, egemone. Vuol dire che questa visione domina le menti delle persone che votano. Peraltro, queste superano di poco la metà degli aventi diritto.

Quindi il bipolarismo ha diviso la società sarda grossomodo in quattro (più un resto): una metà che vota, una metà che non vota; e nella metà che vota, c’è una spaccatura tra centro destra e centro sinistra, più o meno in parti uguali, più un resto, che non coincide né con una né con l’altra.

Questo resto rappresenta la resistenza attiva alla desertificazione del pensiero collettivo prodotto dal sistema egemone. Un sistema che ha determinato, per legge, che non c’è posto per un terzo che pretenda sfuggire alla dittatura del menu bipolare: o zuppa o pan bagnato.

Il danno democratico di questa legge, e della concezione politica di cui è figlia, lo testimonia anzitutto la prima spaccatura di cui si parlava (metà del corpo elettorale ha rinunciato alla politica, e resiste alle bugie e all’imbroglio bipolare tramite il distanziamento); l’altra conseguenza è la frustrazione di chi vuol fare proposte e la difficoltà di dare luogo a uno spazio politico alternativo, centrato sui problemi della Sardegna, attorno a cui raccogliere un consenso ampio e trasversale.

Oggi, a poche settimane da queste elezioni in cui il centrodestra ha fatto vincere la candidata di centrosinistra e insieme hanno perso di nuovo la fiducia e il consenso della maggioranza dell’elettorato sardo, è questa la sfida politica più grande. Una sfida che è anche una necessità, visto che da almeno tre legislature, se non più, si ripropone ad ogni elezione, e si mantiene viva nonostante il meccanismo elettorale, concepito per schiacciarla e evitarne la crescita.

Quindi, dopo le elezioni, come si diceva all’inizio, ognuno deve fare il proprio gioco: il centrosinistra fare governo e affrontare gli enormi problemi dell’Isola; il centrodestra fare opposizione, o colludersi come al solito; e il resto, cioè gli esclusi, cominciare a costruire fin da ora uno spazio politico organizzato, non minoritario, che cominci ad articolare un discorso proprio, con uno sguardo sardo, fuori dalla cornice italocentrica e da equilibri che non corrispondono alla nostra realtà.

Questo spazio politico deve cercare di tessere nuovi legami di fiducia con quella parte della Sardegna profondamente delusa dalla politica e dalle sue bassezze, che è stata messa al margine e che sta fuori non dico dalle decisioni ma dalle preoccupazioni dei rappresentanti bipolari.

Facile a dirsi e difficile a farsi; certo, ma la necessità determina il compito, e qualcuno cercherà di portarlo a compimento; e se non è una persona, dovrà essere un’altra. O un gruppo. In effetti, il cambiamento politico sta anche nella rinuncia alla necessità di una guida carismatica, se non come direttore di un’orchestra ben strutturata e capace di suonare sulla base di una partitura condivisa.

Quindi ciò che conta è riprendere il filo di programmi solidi e circostanziati, costruiti sulla base di lotte sociali condivise, di bisogni diffusi, di una visione di futuro consensuata, —concertata, appunto. Che si tratti del tema dell’energia, della salute, dell’educazione, o della necessità di invertire la tendenza allo svuotamento territoriale; o del bisogno di dare vita a modelli di economia virtuosa autocentrata; o della lingua e della valorizzazione di risorse culturali e paesaggistiche uniche, la Sardegna ha bisogno di agglutinare intelligenze attorno a una proposta che non sia minata alla base dalla patologia bipolare che ormai sta distruggendo l’Italia e, al suo seguito, anche noi.

Quanto al centrosinistra, il primo passo concreto che si attende da una forza che si dichiara di trasformazione, sarebbe quello di una riformulazione seria della legge elettorale, aprendo il sistema politico al rinnovamento. Ci si attende da loro una iniziativa immediata e un dibattito nel quale coinvolgere anche chi da questa legge è stato escluso. Ora, credere che ciò accada veramente non è facile, ma vedremo. In ogni caso, la necessità di strutturare un polo sardo non può aspettare il cambiamento della legge che è nata proprio per escluderlo.

Saper contare solo fino a due, in politica non corrisponde a uno stadio granché evoluto. Per questo la Sardegna ha un enorme bisogno di imparare a contare almeno fino a tre.


Immagine di copertina: “divagazione VI” di Stefano Puddu Crespellani

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