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Comunali in Sardegna: quale punto di vista per il futuro dell’isola

De Danilo Lampis

Al netto delle differenze, i risultati delle comunali in Sardegna tracciano un quadro abbastanza chiaro, sul quale è utile riflettere. Nei 65 comuni dell’isola si sono registrate due macro-tendenze tra loro intersecate: una considerevole riconferma delle liste uscenti, con un centro-destra che mantiene due città importanti come Oristano e Selargius; un aumento dell’astensionismo importante, con un 56,38% di affluenza alle urne (quasi 7 punti in meno delle precedenti amministrative e 15 rispetto a quelle di 10 anni fa, dove votavano 64 comuni in parte sovrapponibili). Come leggere questi dati in chiave generale e non particolare, se si ha a cuore un futuro più giusto, democratico e sostenibile per la nostra isola?

Anzitutto come il segnale di una democrazia sempre più a bassa intensità, soprattutto nei piccoli centri dove fioccano le liste uniche. Le persone non si candidano più perché l’amministrazione viene vista come un qualcosa di difficile e poco impattante sulla quotidianità, ma anche perché manca sempre più una presenza della politica organizzata. Anche i partiti teoricamente più strutturati – di centro-destra come di centro-sinistra – sono pressoché inesistenti nei paesi, e quando ci sono non svolgono un ruolo di formazione della classe dirigente locale, non avendo spazi di dibattito e regole di ingaggio trasparenti. Sebbene non si possa generalizzare, in tanti contesti i partiti attuali sono dei semplici comitati elettorali, dove la vecchia “organizzazione politica” imperfetta ma democratica e con obiettivi politici chiari è stata sostituita da tempo – quando va bene – da un apparato tecnico funzionale esclusivamente al lavoro degli eletti.

Nelle città tengono maggiormente in termini elettorali, salvaguardando il proprio simbolo, ma è sempre meno un voto d’opinione sui programmi e sempre più un mix di clientele e voto personale. Il risultato è che vanno a votare sostanzialmente gli “integrati” – più o meno liberamente – in queste reti: chi è “escluso” preferisce restare a casa, perché non crede più nella possibilità che l’azione politica, pure nel contesto più prossimo, possa portare benefici evidenti. Valutazione rafforzata dal fatto che, oggettivamente, o mancano completamente o le alternative appaiono troppo deboli, in un tempo dove le persone ricercano opzioni solide che rispondano a un bisogno diffuso di sicurezza sociale.

Un tempo esisteva il Movimento 5 Stelle che, pur con tutte le sue ambiguità e insufficienze, anche in alcune elezioni amministrative riportava al voto fasce di persone tenute fuori da reti opache consolidate o disponibili a tradirle. Oggi non più. Gli “esclusi” non hanno più riferimenti capaci di riportarli alle urne, eccetto alcuni contesti dove la partecipazione è stata attivata da delle liste civiche di matrice progressista e indipendentista che hanno innovato metodi e programmi, governando bene. Oggi, i pochi che tornano alle urne lo fanno spesso turandosi il naso e votando chi c’è già stato, garantendo in tanti contesti la sopravvivenza di pezzi di potere che vedono la “politica” non come uno strumento per il bene comune, ma soprattutto come una pratica per consolidare i propri interessi e quelli di chi è più o meno funzionale ad essi. Pezzi di potere che non hanno nessuna intenzione di aprire al rinnovamento o di incrementare la partecipazione, e che fanno dell’assenza di alternative competitive la loro fortuna. Anche qui, è bene rimarcare che si tratta di una tendenza non generalizzabile in assoluto, essendoci vecchie esperienze amministrative che tornano a vincere per meriti oggettivi del passato o anni di malgoverno di chi è transitato prima di loro.

L’indicazione sul medio e lungo termine che proviene dalle urne sul piano isolano può essere affrontata da diversi punti di vista. Se il punto di vista è quello del centro-destra, conferma che l’ammucchiata e le clientele sono una garanzia che mobilita una fetta di società di destra. Se il punto di vista è quello del PD – uscito con le ossa rotte –, conferma che l’unità contro le destre è l’unica soluzione, anche se continua a mancare una visione politica diametralmente opposta, credibile, partecipata, capace di rispondere alle necessità peculiari dell’isola.

Quella visione di cui, invece, ci sarebbe davvero il bisogno e che né le avventure in solitaria o le improvvisazioni coalizionali dei piccoli partiti, né le liste civiche di matrice progressista e indipendentista, riescono a focalizzare pienamente, senza un ragionamento comune ambizioso e disponibile a una ristrutturazione globale sul piano tematico, dei metodi e dei processi, rompendo realmente con le vecchie liturgie. In sua assenza, la crisi democratica sarda, specchio di una crisi sociale ed economica prismatica e strutturale, aprirà la strada a scenari preoccupanti, come è sempre stato nella storia. Il progressivo allontanamento dalla partecipazione politica, anche nella forma più accessibile del semplice voto, è un problema oggettivo per chiunque voglia oggi costruire una Sardegna più giusta e autodeterminata. Senza vedere la partecipazione come un fine, infatti, non ci può essere nessun cambiamento duraturo e desiderabile.

Di fronte a queste tendenze, la soluzione non è di certo quella di associarsi improduttivamente ai punti di vista esistenti, ma quella di osare l’invenzione di uno nuovo in grado di sfidarli. Il centro-destra non si sconfigge con una sommatoria di debolezze senza una visione trasformativa chiara e riconoscibile, ma avendo il coraggio di immaginare una forza politica inedita che agisca nella società e nelle istituzioni. Una forza capace di rispondere tanto alla rabbia diffusa di chi si sente escluso – la vera maggioranza in termini elettorali – o di chi va a votare turandosi il naso, quanto a chi desidera progetti seri, credibili e trasformativi di governo in grado di rispondere alle urgenze del tessuto produttivo come di quelle degli enti locali. Un’operazione che non è riuscita al classico centro-sinistra in queste ultime tornate elettorali, zavorrato anche nelle sue parti migliori da poteri e interessi che agiscono nell’ombra e che determinano l’agenda reale di governo.

Serve dunque un’alternativa radicale e pragmatica al tempo stesso, dalla parte dei bisogni e dei desideri della maggioranza dei sardi, che veda il potere come verbo declinabile da tanti e non come sostantivo ad uso di pochi, sapendo identificare e combattere con nettezza e senza timore questi ultimi. Un’alternativa che sappia ramificarsi sui territori e costruire un progetto di trasformazione socio-economica sostenibile socialmente ed ecologicamente aprendosi alla partecipazione, alle esperienze esemplari sul piano amministrativo, privato e del Terzo Settore, come alle competenze latenti di cui è piena l’isola, per affrontare efficacemente le questioni strutturali che stanno rendendo la Sardegna sempre meno vivibile e sempre più diseguale sul piano sociale e territoriale.

Come si sarà inteso, il punto non è tanto la costruzione di una coalizione elettorale migliore per le prossime regionali, mettendo sotto il tappeto le problematiche strutturali dell’offerta politica esistente. Di fronte a un’alternanza artificiosa, tenuta in vita grazie alla legge elettorale attuale, di un sistema ossificato, sempre più oligarchico e – nonostante le tante buone energie che ci hanno e ci stanno provando – irriformabile dall’interno, serve inventare una nuova politica – negli obiettivi, nei metodi, nei processi – che scuota i cuori e le menti della Sardegna.

Una nuova politica costitutivamente di tutti e per tutti, che sappia restituire una speranza non solo a chi non vota più, ma anche a chi si sente tradito ma continua a votare o ad esporsi senza convinzione nel quadro politico esistente. È l’unico modo che si ha per provare a costruire una Sardegna più giusta, ricca, verde e innovativa in un tempo ragionevole. Le false alternative della cooptazione nel quadro esistente come dell’estrema frammentazione testimoniale di chi si oppone ad esso, sono state già praticate a lungo. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.


Fotografia: Element5 Digital on Unsplash

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