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Cibo e subalternità

Il nostro settore agro-zootecnico, ossia in definitiva la produzione di cibo, è alle prese con problemi strutturali irrisolti e con contingenze negative non nuove. Alla scarsa capacità di programmazione della politica, alla miopia delle grandi organizzazioni del settore, si somma la noncuranza e, per certi versi, l’ostilità oggettiva, dello Stato centrale. È un tema strategico, forse troppo poco considerato.

Poche settimane fa c’è stata la conferma, anche da parte europea, dell’estirpazione della peste suina dalla Sardegna. Una notizia rilevantissima, dato che chiude un periodo di decenni di restrizioni all’esportazione e di difficili scelte politiche e produttive. Quasi in contemporanea, il problema della peste suina si è presentato in Italia, con effetti a quanto pare difficili da contenere.

Eppure di questo non si parla. Sarebbe interessante sapere se sono già state intraprese misure di contenimento e annessi divieti di esportazione, come avvenuto in Sardegna. Non risultano misure del genere, al momento. Del resto, l’economia del maiale, soprattutto in alcune regioni del centro-nord Italia, è una voce decisiva del PIL locale e più in generale dell’economia italiana. 

Del tutto normale – poi, bisogna vedere quanto lecito – cercare di contenere prima di tutto l’allarme mediatico e anche possibilmente le conseguenze concrete sul settore, da parte delle istituzioni locali e centrali. Il che però stride con la severità riservata per lo stesso problema alla Sardegna. 

Dalle nostre parti, sempre in questi mesi, abbiamo assistito a una duratura siccità, specie in alcune zone dell’isola, e alla ricomparsa drammatica della cosiddetta lingua blu, patologia che colpisce mortalmente i capi ovini. Nessuna delle due emergenze è in cima all’agenda della politica italiana. La richiesta di fondi per sopperire alla siccità è stata respinta dal Governo Meloni, senza tante cerimonie. 

A Cagliari ne è scaturita una polemica tra le parti politiche. La minoranza accusa la giunta e la giunta accusa il governo, in perfetta adesione alla dialettica politica… italiana. La politica sarda non è abituata a prendersi responsabilità vere, a fare scelte ponderate e adeguate alle necessità che emergono dal territorio e dalle nostre comunità.

Di norma, segue il copione fornito dalle rispettive case madri d’oltre Tirreno, adattandolo alle dinamiche e agli equilibri tra i due poli dominanti. La preoccupazione fondamentale – come vediamo anche in questa occasione dall’assestamento di bilancio appena proposto – è di foraggiare i propri giri clientelari, unica base di consenso rimasta. 

Eppure, la partita del cibo, della sua produzione, dell’economia ad esso legata, è strategica e decisiva quanto quella dell’energia.

E in fondo sono anche due ambiti connessi, per tanti versi. In questo settore, non meno che in altri, l’inadeguatezza della nostra classe politica è una zavorra gravosa, una fonte di ritardi e di disagi per tutte le categorie sociali coinvolte. A dispetto dei tentativi coraggiosi e a volte anche di successo di proporre una diversificazione produttiva da parte delle aziende.

Conquistare competenze in ambito agricolo e zootecnico e riuscire a farle valere anche in sede europea dovrebbe essere un obiettivo urgente della politica sarda, che invece si attarda nei suoi giochi di Palazzo e subisce passiva le decisioni che arrivano da Roma. L’ennesimo fallimento non solo della nostra vetusta e inadeguata autonomia ma prima ancora di un ceto “dirigente” mediocre (a dispetto dei proclami), garantito nella sua sopravvivenza da una legge elettorale vergognosa e dalla sua subalternità a centri di potere esterni. E la Sardegna continua a pagarne il prezzo.


Immagine: comune.pordenone.it

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