Sardegna colonia energetica: una denuncia di Ignazio Carta
Ignazio Carta nasce a Ovodda 68 anni fa e vive tra Tonara e Cagliari. Ha lavorato alla Regione, Assessorato della Programmazione e alla Presidenza, come funzionario e dirigente, occupandosi fin dal 1989 di rendicontazione e controllo della spesa dei fondi europei. Ha partecipato da sempre ad associazioni e gruppi ambientalisti, a da due anni circa fa parte di Europa Verde.
Il futuro energetico della Sardegna
Sull’energia in Sardegna si combatte da tempo un conflitto senza esclusione di colpi. Le forze in campo sono variegate, così come gli interessi in gioco: gruppi privati, società pubbliche, governo nazionale e regionale, forze politiche, sociali, sindacali, mezzi di informazione. L’area del conflitto è l’isola sarda e il suo mare intorno, col popolo sardo a fare più che altro da spettatore.
Alcuni di questi interessi cercano di nascondersi più che possono, comunicando per interposta persona e creando ampie cortine fumogene, ma, osservando attentamente attraverso i fumi delle ciminiere e oltre il turbinio delle pale eoliche, possiamo distinguere abbastanza chiaramente gli schieramenti in campo e anche i protagonisti della contesa.
“La Casa della famiglia Sarda”
Il 13 marzo scorso il quotidiano L’Unione Sarda ha pubblicato un proclama-manifesto contro gli speculatori, che si preparano a invadere la Sardegna con i campi fotovoltaici e le pale eoliche per poi legarla al Continente con un “Cavo Guinzaglio”. Un’infografica riempie tutta la prima pagina, dove spicca il disegno di una corda che termina con un cappio, rappresenta il cavo Thyrrenian Link col quale la colonia sarda dovrà rifornire di energia il Continente, senza trarne per sé alcun vantaggio. Con un editoriale di chiamata alle armi, dal titolo “La Casa della famiglia Sarda”, scende in campo in modo pesante lo stesso editore Sergio Zuncheddu, oltre al direttore Emanuele Dessì che richiama “Lo spirito di Pratobello”, e il caporedattore Mauro Pili con un dizionarietto alfabetico denominato “Primo Piano”.
Mauro Pili, ex sindaco di Iglesias, ex presidente della Regione ed ex parlamentare di Forza Italia, da quando ha ripreso il ruolo del giornalista sembra aver avviato una sorta di campagna per la difesa della sovranità dell’isola, che difende contro tutto ciò che proviene dall’Italia o dal governo Italiano: contro l’importazione dei rifiuti, le servitù militari, il deposito delle scorie nucleari, i progetti per i parchi eolici e fotovoltaici, gli elettrodotti marini, ecc., cercando, e trovando, un sostegno trasversale da parte del movimento identitario, degli ambientalisti, dei pacifisti, del presidente sardista della Regione con la sua maggioranza di centrodestra, e forse un po’ anche del centrosinistra.
Portando a sostegno la recente crisi energetica scoppiata con la guerra di Putin all’Ucraina, l’Unione Sarda svela i veri interessi di chi sta dietro la sua proprietà, e lancia una campagna non solo per il mantenimento, ma per il potenziamento di tutte le fonti di energia fossile: riapertura delle miniere e potenziamento dei gruppi a Carbone nelle centrali di Portovesme e Fiume Santo; ripresa del progetto GALSI, il gasdotto che attraverserebbe tutto il territorio regionale e, una volta dismesso il trasporto del gas, trasporterebbe l’idrogeno per i fabbisogni delle industrie e delle utenze sarde. Infine contro il cavallo di Troia finale, l’elettrodotto Thyrrenian Link che collegherà la Sardegna alla Sicilia, in fase di avvio di posa da parte di TERNA, gestore della Rete Elettrica nazionale.
Se questo è il mix di energia che Zuncheddu e Pili (ma anche i sindacati e il governo regionale di centro-destra) pensano di riservare alla Famiglia Sarda, questa è a mio avviso una trappola nella quale rischiamo di cadere tutti quanti, se non distinguiamo tra gli interessi in gioco nella battaglia per l’energia della nostra isola. L’Unione interviene a tempo ormai quasi scaduto per interrompere in extremis i programmi di decarbonizzazione della Sardegna.
Questi hanno l’obiettivo di rendere l’isola entro pochi anni il primo territorio nazionale, se non europeo, a zero emissioni di CO2 e alimentato al 100% da energia elettrica prodotta dalle rinnovabili, stanno per diventare operativi e si basano sui seguenti pilastri:
- Raddoppio della produzione di energia rinnovabile (eolica, fotovoltaico solare, fototermico, biomassa, idroelettrica a caduta con raddoppio della capacità di pompaggio di risalita per il riutilizzo dell’acqua)
- Realizzazione di due parchi di batterie alimentate con le rinnovabili per un totale di 500 MW di accumulo, con i quali dal 2024 sarà possibile dismettere la centrale a carbone di Portovesme
- Realizzazione del cavidotto Sardegna – Sicilia (Thyrrenian Link), della capacità di trasporto di 1.000 MW elettrici, condizione per dismettere la centrale a carbone di Fiumesanto
Gli interessi difesi in modo deciso, anche se subdolo, dall’Unione sarda e dal suo editore, sono in netto contrasto con l’obiettivo delle emissioni zero e di un’isola pulita, obiettivo che non solo gli ambientalisti, ma tutto il popolo sardo dovrebbe sostenere a spada tratta.
La Sardegna è già una colonia energetica
Sarebbe paradossale se gli interessi che attualmente mantengono la Sardegna dipendente da petrolio e carbone fosse difesi anche dagli ambientalisti sardi e dai sostenitori dell’identità Sarda, alcuni dei quali hanno coniato uno slogan a effetto: “Non saremo la vostra Colonia energetica“. La “vostra” di chi? Mettiamo in chiaro che LA SARDEGNA È GIA’ UNA COLONIA ENERGETICA, e per di più inquinata.
Una quantità di energia elettrica in grado di coprire il 100% del fabbisogno sardo è prodotta da 2 (due) sole centrali inquinanti alimentate da fonti fossili, ambedue di proprietà non sarda: 700 MW di potenza nella centrale milanese SARLUX della famiglia Moratti; 600 MW nella centrale a carbone di Fiume Santo, di proprietà del gruppo internazionale EPH con sede a Praga. Fra tutte e due insieme fanno 1.300 MW di energia con una produzione continua, a fronte di una richiesta di potenza elettrica istantanea della Sardegna che arriva a un massimo a 1.400 MW nei momenti di picco.
Se a queste aggiungiamo la produzione della Centrale a carbone di Portovesme (ENEL, 320 MW) e di altre centrali minori a gasolio, si arriva a una potenza installata totale da centrali fossili di 2.228 MW. Di contro, nel 2020 si è raggiunta nell’isola una potenza di generazione da fonti di energia rinnovabile (FER) pari a 2.527,7 MW lordi, quindi nominalmente superiore a quella termoelettrica. La produzione netta effettiva da rinnovabili ha però coperto soltanto il 36,7% del fabbisogno netto della Sardegna: 3.222,7 GWh (GigaWattOra) su una richiesta di 8.846,4 GWh. Gli impianti termoelettrici hanno invece prodotto in totale 9.048,8 GWh, pari al 102,2% dell’energia richiesta dall’isola.
Dalla somma dei due comparti risulta che la produzione complessiva netta di energia elettrica generata sul territorio regionale (12.271,4 GWh) ha superato del 37,3% il fabbisogno netto isolano, che come detto si è attestato a 8.846,4 GWh. Poiché le centrali termoelettriche funzionano a ciclo continuo, ecco che l’energia consumata in Sardegna viene attinta prioritariamente dai loro impianti da parte del GSE, mentre l’energia prodotta da fonti rinnovabili, o viene esportata se può spuntare un buon prezzo di scambio, altrimenti viene dispersa perché non utilizzata.
Una politica energetica per futuro della Sardegna
Il 21 gennaio 2020, dopo un’ampia consultazione e l’assenso della Conferenza delle Regioni italiane, è stato pubblicato il testo definitivo del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 (PNIEC 2030), che segna l’inizio di un importante cambiamento nella politica energetica e ambientale del nostro paese verso la decarbonizzazione. Il PNIEC 2030 conferma la dismissione delle centrali a carbone entro il 2025 e, successivamente, delle altre centrali a gasolio e a gas, dopo un periodo di transizione nel quale occorre porre in essere alcune infrastrutture, come indicato nel “Rapporto adeguatezza Italia 2021” della società di distribuzione elettrica TERNA, in cui si analizza la capacità del sistema di soddisfare la domanda di energia in ogni ora per ogni area del paese per i prossimi dieci anni.
Con riferimento alla Sardegna, nel rapporto si afferma che lo spegnimento delle due centrali elettriche a carbone è subordinato all’entrata in funzione a pieno regime dell’elettrodotto Thyrrenian Link. Questo per la necessità di garantire il fabbisogno energetico della Sardegna ed evitare scompensi al sistema di distribuzione a seguito dello spegnimento. Ecco perché l’opposizione al Thyrrenian Link suona strana quando è espressa anche da una parte del mondo ambientalista, e suona contradditoria anche la chiamata alle armi del gruppo di potere rappresentato dall’Unione Sarda, che anziché difendere la sovranità di una Sardegna che aspira a diventare pulita al 100%, risulta funzionale al mantenimento del sistema attuale ad alto livello inquinante, e in gran parte a controllo non sardo.
I cavidotti Thyrrenian Link, con i preesistenti SACOI 1, 2 e 3, possono funzionare sia in entrata che in uscita, e pertanto garantiscono la sicurezza e l’affidabilità dell’intero sistema energetico isolano. Tale obiettivo può essere raggiunto in Sardegna evitando che sia messa a rischio la stabilità della rete e l’approvvigionamento dell’energia elettrica in ogni momento. Nel 2018 la produzione netta di energia elettrica da fonti rinnovabili era tale da poter soddisfare il 33,7% dell’energia richiesta nell’isola, nel 2020 il 36,7%, ma questo solo in teoria. Per il suo utilizzo ottimale, fortemente condizionato da una rete di trasmissione e distribuzione inadatta, occorre procedere con un adeguamento del sistema elettrico nel suo complesso, con la realizzazione di sufficienti impianti di accumulo e con un incremento della produzione da fonti rinnovabili; in tal modo si potrebbe assicurare con le sole rinnovabili (FER) il soddisfacimento dell’intero fabbisogno energetico dell’isola. Per evitare ulteriori speculazioni sulla produzione di energia elettrica e contenere sprechi e sovrapproduzione, i futuri incentivi destinati alle FER dovrebbero privilegiare la produzione diffusa, l’autoconsumo e la costituzione delle Comunità energetiche.
Traggo dal blog di Vito Biolchini quanto scrisse in un suo intervento del 2020:
“La decarbonizzazione non si esaurisce con la chiusura delle centrali a carbone. Essa deve mirare alla progressiva riduzione, fino all’azzeramento, di tutte le emissioni di gas serra, prima di tutto l’anidride carbonica, conseguenti alla combustione di ogni tipo di fonte fossile. Per tale motivo la metanizzazione dell’isola appare in esplicito contrasto con i contenuti dei protocolli internazionali sul clima. I sistemi di accumulo di energia da batteria attualmente in fase di installazione, provengono dal Polo Multi Tecnologico -Storage Lab di TERNA in connessione con i compensatori sincroni studiati per una migliore gestione delle fonti rinnovabili, consentiranno di migliorare stabilità e sicurezza della rete elettrica e garantire grazie al previsto collegamento tramite cavo HVDC Sardegna-Sicilia-continente Sud, la sicurezza energetica dell’isola. A tale Police Energy deve affiancarsi una pianificazione interna del sistema energetico, che attui una diversa organizzazione territoriale (Distretti energetici), in modo da ottimizzare il rapporto produzione/consumo in vista della creazione di una Smart Community territoriale a bilancio energetico annuale quasi zero”.
Vito Biolchini
Tutte misure che possono essere realizzate in pochissimo tempo, già programmate e finanziate dal PNRR, col piano energetico nazionale.
Il ruolo del gas e dell’idrogeno
Perché in Sardegna non è mai arrivato il gas metano? Perché abbiamo gas in abbondanza, più costoso (oltre il doppio del metano) ma fatto in casa: il Gas petrolio liquefatto (Gpl) prodotto a Sarroch sempre dalla SARAS del “continentale” MassimoMoratti. È strano che Pili o Zuncheddu non abbiano parlato di quest’altra servitù, che grava da tanto tempo sulla nostra isola, e ci costa decisamente cara. Qualche parola occorre dedicare anche alla produzione e al trasporto dell’idrogeno: un gas trasparente e invisibile, ma che a seconda del modo in cui viene effettuata la sua estrazione, e dal grado di emissioni della fonte utilizzata, viene definito con un colore: verde, blu, grigio, nero, viola.
Attualmente l’unico metodo economicamente conveniente per produrre l’idrogeno è quello di estrazione dai combustibili fossili attraverso un processo chimico, che produce sempre CO2: l’idrogeno grigio o nero, che infatti costituisce il 95% dell’idrogeno prodotto. Gli altri metodi, consistenti nell’estrazione dall’acqua attraverso l’elettricità o il calore, non producono CO2 ma sono meno efficienti e troppo costosi; possono essere utilizzati per produrre piccole quantità di idrogeno utilizzando i surplus di energie rinnovabili nei momenti di picco, ma non tali da rendere conveniente un gasdotto.
Pertanto, l’idea di trasportare in futuro l’idrogeno nelle tubature del gasdotto (GALSI), dopo la fine dell’era del gas, è funzionale soprattutto agli interessi dell’industria del petrolio, il cui apporto andrebbe invece ridotto fino a ridursi ai minimi termini. Si tratta comunque di una prospettiva a lungo termine, non di un paio d’anni come afferma il giornale di Zuncheddu, perché la costruzione del gasdotto, avviata nel 2003 con un accordo firmato dallo stesso Mauro Pili, se non richiederà altri 19 anni di tempo ne impiegherebbe pur sempre almeno un’altra decina, per cui una volta terminata la decarbonizzazione, questa infrastruttura resterebbe per sempre sul nostro groppone. A tempo scaduto, dunque. E anche in tal caso, pur immaginando che fosse utile tagliare in due la Sardegna con uno scavo devastante lungo 270 km su tutto il territorio sardo, e una servitù di circa 40 metri ai due lati della condotta, sarebbe comunque inutile la posa di ulteriori 600 KM di condotta in mare, come prevista dal progetto attuale.
Si è parlato di riprendere l’estrazione del carbone in questo momento di emergenza, ma penso che nessuno sia convinto della possibilità di riuscire ad allestire nuovamente le miniere in sicurezza, e ad alimentare le centrali col carbone sardo prima di alcuni anni, per poi chiuderle nuovamente, immagino, dopo qualche mese. Rimangono in campo i rigassificatori, impianti alimentati dal gas naturale liquefatto (GNL), uno già presente nella zona di Oristano e altri due previsti nel nord e sud Sardegna: ora come ora presentano numerosi rischi e inconvenienti, a causa di scelte di localizzazione sbagliate (prima a Giorgino, poi nel porto di Portoscuso), ma se ben localizzati vanno considerati come una fonte di transizione che andrà a diminuire velocemente col ridursi del fabbisogno di gas, sostituito dall’elettricità o in parte da biocarburanti (MATRICA) e non elevate quantità di idrogeno da stoccare in deposito.
L’assalto alle rinnovabili, o vogliamo le rinnovabili?
È opportuno ricordare che il prezzo delle rinnovabili per KWh è sceso di 5 volte negli ultimi 10 anni, arrivando a essere più conveniente di tutte le energie fossili, compreso il nucleare. Questo, già prima del recente aumento di gas e petrolio, salito a sua volta di 5 volte. È chiaro dunque da che parte va il mercato per il futuro. Occorre però fare una distinzione tra chi produce e consuma l’energia rinnovabile autoprodotta, e chi acquista energia elettrica rinnovabile sul mercato cosiddetto “libero”.
Nel primo caso la convenienza è massima per i proprietari degli impianti di produzione, nel secondo non c’è alcun vantaggio per chi consuma. E’ reale il rischio di continuare a essere una colonia altrui, se oltre ad avere in casa le centrali a carbone e a gasolio si concretizzano la miriade di progetti da parte di fondi speculativi e imprese per mega impianti fotovoltaici a terra, e per impianti eolici sia a terra che galleggianti in mare. E’ sacrosanta quindi la campagna per contrastare una prospettiva di questo tipo, ma questa deve necessariamente accompagnarsi a un salto di maturità dei sardi, che devono diventare protagonisti del passaggio dalle fonti fossili alle fonti energetiche rinnovabili, governando il processo e investendo in proprio, così come si fa acquistando un terreno da lavorare o una casa da abitare.
La situazione di grave emergenza creatasi con l’aggressione di Putin all’Ucraina ha reso urgente e indifferibile la realizzazione dei programmi di potenziamento della produzione di elettricità da fonti rinnovabili, ma questo non deve costituire un alibi per consentire a cani e porci di installare parchi fotovoltaici e impianti eolici dove gli pare e piace.
Concordo e riprendo dal documento di Liberu – Liberos Rispetados Uguales:
“Devono essere i Sardi a decidere quando, dove, come impiantare parchi di produzione energetica, e lo devono fare alle condizioni dettate dal proprio vantaggio economico e dall’utilità sociale, ambientale, paesaggistica, culturale”; per cui “la Regione si deve dotare di una carta di condizioni minime da presentare alle aziende che vogliono arrivare in Sardegna a realizzare impianti di produzione energetica e tutelare così non solo il territorio, ma gli stessi sardi. Da una parte la Regione dovrebbe offrire il massimo sostegno alla nascita delle Comunità energetiche, che rispettano già per loro natura quei parametri che mirano all’autosufficienza e a coniugare i benefici sociali e ambientali. Dall’altra le aziende di produzione energetica dovranno garantire alla Sardegna un beneficio economico, destinando alle casse regionali una percentuale consistente dei profitti realizzata nell’isola”.
Liberu
Introiti che poi la Regione deve destinare alle amministrazioni locali, “alla lotta contro lo spopolamento, al sostegno delle categorie svantaggiate, alla creazione di nuovi posti di lavoro”. E, aggiungiamo, da destinare all’abbattimento dei costi della bolletta energetica per i cittadini sardi. Ma non solo, le stesse aziende “dovrebbero essere obbligate a versare anticipatamente alla Regione una congrua fideiussione da rivalutarsi annualmente secondo l’indice Istat di adeguamento al costo della vita, da utilizzarsi in futuro per finanziare lo smantellamento dell’impianto e il ripristino del territorio alle condizioni precedenti“.
Una comunità energetica per l’intera Sardegna
Occorre anche dire che le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), per realizzare una vera democrazia energetica e incidere nel soddisfacimento delle esigenze di famiglie e imprese sarde, devono essere costituite con iniziative rapide e massicce sull’intero territorio regionale, in ogni Comune. Per questo l’iniziativa deve essere assunta in primo luogo dal Consiglio e dal Governo regionale che devono incentivare economicamente, regolamentare e promuovere la formazione di distretti energetici, e in definitiva tutti questi dovrebbero confluire in una unica comunità energetica regionale per un’isola che realizzi in concreto l’autogoverno in campo energetico, autonoma, autosufficiente e ad emissioni zero.
Il mini eolico, il solare, il geotermico possono dare un grandissimo contributo ai bilanci delle famiglie, delle imprese industriali, artigianali, agricole, rendendole meno condizionate dagli aumenti delle energie fossili: ed occorre certamente utilizzare le superfici più adatte e disponibili, quali i tetti solari nelle case dei piccoli centri, nei grandi condomini, sopra i parcheggi, o gli stadi, sopra i capannoni industriali, le serre, le stalle e i magazzini agricoli. Un altro settore da regolamentare con attenzione riguarda gli impianti agri-fotovoltaici. Ovviamente, tutelando l’utilizzo agricolo del suolo, sino a sequestrare impianto e terreni, quando la serra solare non venisse coltivata. E’ possibile sempre, deve essere la norma, sopraelevare e distanziare i pannelli, prevedendo al di sotto l’uso agricolo.
Se è giusto limitare l’eolico a terra, lasciando in pace il paesaggio delle nostre montagne e stabilendo comunque un limite di altezza alle pale (non superiore, direi, a quello dei tralicci dell’alta tensione), occorre dotarsi di una produzione di energia eolica da impianti a mare per una potenza simile a quella degli impianti solari, in modo da equilibrare il più possibile la produzione tra fonti discontinue e alternative tra loro. In quest’ambito anche un numero molto limitato di parchi eolici galleggianti, invisibili perché situati a oltre 25 miglia dalla costa e in posizioni che non disturbino nessuna nave, peschereccio o turista, potrebbero essere realizzati a prevalente proprietà pubblica, oppure con azionariato diffuso e partecipazione pubblica, o con altre modalità da studiare, ad esempio il project financing, modalità di concessione a gara dove chi realizza e gestisce l’opera è tenuto a destinare alla collettività quota parte dei profitti realizzati.
La differenza sta nella proprietà dell’impianto che genera l’energia, e nel governo del sistema di distribuzione. È su quello che occorre puntare, sull’autoproduzione e sulle comunità energetiche, dove produzione e consumo sono ottimizzati. Rimane quindi il quesito: il sole dell’isola e il vento del mare rimarranno sole e vento dei sardi, o verranno chiusi a muro dalle multinazionali, come le chiudende? La Regione Autonoma della Sardegna su questo deve dare una risposta. Non credo ci sia però molto da aspettarsi da questo governo regionale, speriamo nel futuro e nelle nuove generazioni.
Mentre mi preparo a concludere capita ad hoc di vedere sui social un sintetico spot di Enel Green Power, che si presenta con queste brevi parole:
“La Sardegna, ricca di abbondanti risorse rinnovabili, ha le potenzialità per diventare un punto di riferimento a livello globale nella transizione energetica. I benefici del processo di elettrificazione riguardano non solo la svolta green, con una forte spinta verso l’indipendenza dal gas e da altri combustibili fossili, ma anche lo sviluppo del turismo sostenibile e la creazione di nuovi posti di lavoro”.
Non si potrebbe concludere meglio. Questa è la strada da percorrere, a dispetto di tutte le lobby e i poteri che hanno interesse a tenere soggiogata la Sardegna.
Fonte immagine: Ilsardingtonpost.it