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Fantarcheologia, negazionismo e il cortocircuito della storiografia sarda. Come distinguere il grano dal loglio?

De Ivan Monni

È evidente che la storiografia sarda stia attraversando una fase isterica. 

La premessa è che questo articolo (che pone più interrogativi che esclamativi) non risolve nulla e non dà soluzioni. Vale solo come ragionamento sul dibattito che si è scatenato più o meno dal 2001, cioè dall’uscita del libro di Frau. Da un lato la fantarcheologia (che esiste) dall’altra i negazionisti a tutti i costi (che esistono anche loro). Lo sfondo politico è evidente in tutto questo, ed è proprio questo che avvelena i pozzi, inquinando metodo scientifico, logica e buon senso. 

Non per forza la fantarcheologia si risolve in campo “sardista” o indipendentista, basta vedere la narrazione del nuraghe tricolorato del circolo dei sardi di Biella per capire come alcune operazioni culturali bislacche siano riconducibili allo sciovinismo italiano: la prefettura ha scritto ai sindaci, fa sapere il sindaco Maurizio Onnis, invitandoli a mandare a Biella una pietra con su inciso il nome del paese e il numero dei villanovesi morti nella Prima guerra mondiale. La pietra dovrebbe lastricare l’area del (falsissimo) “nuraghe Chervu”, a «testimonianza e ricordo dei sacrifici dei soldati».

Fonte Sa Natzione

Non per forza tutti i negazionismi sono riconducibili a scelte politiche, piuttosto alla poca umiltà nel rivedere le proprie posizioni a fronte di nuove scoperte, o al poco coraggio. Oppure alla buona “fede” nelle proprie idee. Quando si alzano le barricate si rafforzano i muri e le difese, e non solo. Basta ricordare la triste vicenda dell’Untore-blog finita in tribunale. 

Esiste però un’area di mezzo che non è fantarcheologia, che non ha ufficialità, che vale la pena indagare: il grano da cui va distinto il loglio. 

Inoltre esiste un’area più narrativa che scientifica che da questo clima viene inibita. 
Oggi alcuni articoli giornalistici (non mi riferisco ai romanzi) di Sergio Atzeni passerebbero per fantarcheologia. I giudici-banditi, eredi dei giudici storici, non passerebbero alla cassazione dell’isterica censura. Atzeni non aveva un obiettivo scientifico, non doveva dimostrare nulla, semplicemente dipingeva una narrazione creativa attingendo alla mitologia o a is contus o alla fantasia. Si può fare un’operazione giornalistica di questo tipo oggi? Secondo me no! 

E poi ci sono le provocazioni lessicali. Nessun costituzionalista italiano ha corretto il giornalista che ha scritto “Re Giorgio” (Napolitano) che ha usato volutamente il titolo in modo provocatorio, per denunciare bonariamente l’espansione delle sue prerogative. 
In Sardegna pare non sia più possibile utilizzare queste forme espressive in alcuni contesti. 

La narrativa dovrebbe stare fuori da questo gioco, ma è stata risucchiata dentro questo meccanismo. 

Tecnicamente, formalmente, la teoria di Francesco Cesare Casula sulla continuità statuale tra Regno Sardo e Regno d’Italia, non ricade nella fantarcheologia. Seppur rifiutata dalla maggior parte degli storici (l’italia è nata nel 1324 sul colle di Bonaria) in maniera puramente formale, il ragionamento ha la sua logica. 
Il giornalista ed intellettuale Gianfranco Pintore ha avvalorato la tesi e l’ha portata nel campo dell’indipendentismo sardo nel suo romanzo Il grande inganno
Personalmente non la condivido da un punto di vista sostanziale, se nel 1324 è nata l’Italia, in quel tempo nessuno ha avuto consapevolezza di averla creata; politicamente ci pone erroneamente come i più italiani tra tutti gli italiani. Questa teoria, in ogni caso, non ricadrebbe nella fantarcheologia o fantastoria, almeno formalmente ha una sua logica. 

Casula scrive che i Giudici sardi sono veri propri Re ed è quindi giusto chiamarli in questo modo. Non sembrerebbe una forzatura, visto che erano i Giudici stessi a definirsi “judex sive rex” (giudice ovvero re). Nella Carta de Logu è presente più di una volta il termine “su Rennu”. 

Anche la teoria di Porcheddu (Il latino deriva dal sardo) ancora una volta, ci fa più romani dei romani e quindi in una logica sciovinista tricolore, più italiani tra tutti gli italiani? 
Ma soprattutto, il libro ha fondamenti scientifici sufficienti tali da poter essere seriamente preso in considerazione o sta buttando nel ridicolo altre ipotesi che potevano anche avere un senso? 

È da valutare come fantarcheologia la teoria di Frau su Sardegna=Atlantide? Per quanto ben argomentata e il libro ben scritto, non ha sufficienti prove dello tsunami che avrebbe distrutto e coperto la civiltà di Atlantide. Valente Paolo Poddighe ha studiato la teoria Sardegna=Atlantide per decenni prima di Frau, ma è stato scippato della fama. 

Oggi sulla scrittura nuragica indaga anche l’archeologia ufficiale, con Ugas, ma pioniere in questo senso, e in questi termini, è stato lo studioso indipendente Gigi Sanna, il primo a teorizzare la scrittura dei nuragici.

Qualche anno fa il conduttore Alberto Angela parlò di tavole di sughero con scrittura, ritrovate nel nuraghe di Barumini. 

È un fantarcheologo anche lui? Il giornalismo sardo non si fa delle domande? 
Perché nessuno è mai andato a chiedere conto ad Angela delle sue dichiarazioni? 
Tempo fa Il Giornale di Sardegna, che le inchieste le faceva davvero, aveva fatto riaprire il caso dei Giganti di Mont’e Prama, che giacevano da trent’anni sepolti per la seconda volta nei magazzini del Museo archeologico nazionale di Cagliari.

Il linguista Pittau scrisse l’Impero coloniale dei sardi nuragici, in cui parlava dell’espansione dei nuragici nel Mediterraneo occidentale. Lo fa da un punto di vista linguistico. In generale Pittau però si allarga su altri settori non direttamente di sua competenza. Portato alle estreme conseguenze Pittau anticipa Porcheddu in alcuni aspetti (ma poi Porcheddu prende un’altra strada fino ad affermare una tesi specifica, squalificando quella di Pittau?). 

Pittau distingueva i nuragici-Tirreni dagli Shardana, fa arrivare i secondi in Sardegna intorno al 1200 a.C., poi si spostarono in Etruria. 

La tesi dei nuragici che convivono con gli Shardana è simile a quella dello studioso intellettuale Carta Raspi (Storia della Sardegna) che nel suo testo alterna fonti rigorose a interpretazioni molto personali, romanzate, separando nettamente (avvisando il lettore) l’opinione dal fatto.

È lo stesso Pittau a scrivere chiaramente (La Sardegna Nuragica, Edizioni della Torre) che gli storici e gli archeologi hanno il dovere di avanzare teorie nuove altrimenti la scienza non si muoverebbe di un millimetro. La paura di sbagliare genera mediocrità per Pittau

Più di una volta Pittau si è scontrato con l’archeologo Ugas sul ruolo dei nuraghes, templi per il primo, fortezze per il secondo. Le scoperte degli ultimi anni basate sull’osservazione empirica e su dati raccolti sul campo darebbero ragione a Pittau. Non sono gli studiosi a dirlo, ma la luce del sole stessa, in certi periodi dell’anno, a dimostrarlo. 

Il collettivo indipendente Gr. Ricerche Sardegna studia questo schema empiricamente; altri lavori di questo tipo sono stati fatti dallo studioso indipendente Mauro Peppino Zedda (che accompagna le teorie con una mole enorme di dati raccolti sul campo) e, in precedenza, da Sardella. 

La fortezza di Lilliu-Ugas è crollata, come quasi tutto il sistema Lilliu?

Questo non significa che bisogna buttare a mare Lilliu; la sua statura intellettuale ha dato lustro alla civiltà nuragica, ponendola tra le grandi civiltà antiche. 
Il suo linguaggio e la sua narrazione hanno fatto parlare le pietre, come Sciola con cui si è scontrato (Unione Sarda del 28 Dicembre 1997 articolo: “Sorpresa, un nuraghe nell’Isola di Pasqua”) e con cui ha dibattuto proprio sul ruolo della fantasia nel trovare nuove soluzioni che spieghino la storia: “solo le stelle possono essere state un tramite di comunicazione. Per il resto, ci dovete aiutare voi artisti con la vostra fantasia (ndr, In alcuni casi è stato preso troppo in parola!)”. 

Scrive l’archeologo Taramelli (1868 – 1939) agli inizi del ‘900 (Antonio Taramelli, Scavi e scoperte. 1903-1910, Carlo Delfino editore, 1982): 

«Ma io ritengo che le conseguenze della nostra osservazione sulla continuità degli elementi eneolitici in quelli della civiltà nuragica abbiano una portata maggiore di quella veduta dal collega mio; che cioè la civiltà degli Shardana siasi qui elaborata completamente, dai suoi germi iniziali, sia qui cresciuta, battagliera, vigorosa, e che lungi dal vedere nella Sardegna l’estremo rifugio di una razza dispersa, inseguita, come una fiera fuggente, dall’elemento semitico che venne qui ad azzannarla e a soggiogarla, noi dobbiamo vedere il nido donde essa spiegò un volo ardito, dopo aver lasciato una impronta di dominio, di lotta, di tenacia, sul suolo da lei guadagnato alla civiltà.» 

L’archeologo Giovanni Patroni (1869 – 1951) (Preistoria – San Bartolomeo presso Cagliari – Nora, colonia Fenicia in Sardegna) era un convinto assertore della talassocrazia sarda, insieme a quella cretese. 

Probabilmente il fatto che un archeologo della levatura di Lilliu abbia trascurato la tesi “sardi=shardana”, pur non escludendola per questioni di toponomastica (Serdiana, Sardara, Sardegna), ha determinato per un lungo periodo la rimozione di una cosa che un tempo sembrava acquisita. 

Esiste una opera di Porrino del 1959, chiamata appunto I Shardana, a dimostrazione del fatto che in quel tempo la teoria era accettata e di dominio pubblico. 

Iscriviamo anche Porrino tra i narratori fantarcheologi ante litteram? 

Ugas ha comunque ripreso il discorso “sardi=shardana” (ma rispetto alla tesi di Pittau e Carta Raspi sarebbero autoctoni) andando a ricercare le tracce fuori dalla Sardegna. 

Cagliari aveva i nuraghi? Stupirebbe il contrario, la cementificazione è arrivata prima dell’archeologia, le ruspe prima dei picchetti. Resta il fatto che Cagliari ha delle Domus de Janas, quindi è stata popolata dai tempi prenuragici. I nuraghes sono presenti a Quartu, a Settimo, a Sarroch. Cagliari era praticamente circondata. Se esisteva, la città nuragica, è coperta sotto il cemento, come Igia

A Selargius un villaggio prenuragico di 5000 anni fa, di circa 120 capanne, scoperto dallo studioso indipendente Carlo Desogus, è stato poi coperto dal cemento.

Il sito archeologico di via Atene, coperto dal cemento.

Sempre in via Atene a Selargius esiste una strada nuragica (ebbene sì, i nuragici costruivano strade). Costruire una strada richiede risorse e mezzi, oggi come allora è necessario una utenza minima perché abbia senso la costruzione tra due destinazioni.

Ora, da un lato abbiamo chi copre la storia (non solo metaforicamente) o dimentica i Giganti nei magazzini per anni o cerca goffamente e incomprensibilmente di cambiargli il nome in eroi, arroccato sulle posizioni ultra conservatrici, dall’altra abbiamo tante teorie che vengono portate avanti senza prove, sulla fiducia, in allegria. La sensazione è che la storiografia sarda viva un clima di isteria su due fronti. In mezzo ci sono tante buone teorie che andranno avanti, solo se avranno gambe buone.

Nota: le opinioni espresse rappresentano il pensiero dell’autore.
Fotografia: futurix.it


Bibliografia / Sitografia 

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