
Raccogliere l’eredità, costruire il cambiamento
La giornata internazionale dei diritti delle donne è un giorno di rivendicazione: se è così, lo dobbiamo a coloro che, prima di noi, hanno usato ogni mezzo a loro disposizione per lottare contro le oppressioni.
La Sardegna non è immune a dinamiche discriminatorie, al sessismo, a pratiche di sopruso, a dispetto del mitologico matriarcato sardo. Senza memoria, si procede a tentoni: per questo è importante condividere non solo il ricordo, ma anche lo spirito e l’agire delle donne sarde che ci hanno precedute.
È doveroso rendere onore alle rivoluzionarie della storia sarda: eretiche, ribelli, antifasciste, streghe, sindacaliste, militanti, politiche, femministe.
Celebriamo l’eredità delle donne sarde che si sono fatte strada, delle quali ricordiamo i nomi e custodiamo le opere. Artiste, scrittrici, mediche, maestre, sindache.
Dedichiamo un tributo alle piene di rabbia, alle avventate, alle impavide, a quelle che hanno fatto qualcosa per prime, aprendo la strada a tutte le altre.
Il loro lascito non può essere dimenticato: dovrebbero essere di ispirazione per avviare nuovi progetti, per rinominare le strade e le piazze dei nostri paesi e delle città.
Ancora di più, e non solo oggi, dobbiamo rendere merito anche alle donne sarde che hanno saputo immaginare alternative di partecipazione alla vita sociale e comunitaria, che sono state in grado di plasmare le collettività, a lasciare la loro traccia.
Madri di figlie e figli, mamas de anima, donne senza figli, zie e madrine; donne che hanno gestito rapporti e negoziazioni, che hanno cercato compromessi, ricucito strappi.
Donne che hanno scelto di abitare l’ambiente domestico, trasformandolo in uno spazio di cura e azione civile, che hanno nutrito non solo i nostri corpi, ma anche il nostro spirito.
Il loro è stato -ed è!- un agire trasformativo.
Come l’acqua che scava le grotte, cattedrali della natura, hanno inciso sulla realtà senza compiere atti eclatanti. Nonostante i ruoli imposti alle donne dalla società, hanno operato per resistere al disfacimento delle collettività, alla perdita di prospettive e di orientamento. Hanno tenuto insieme le comunità, le hanno guidate con gli strumenti che avevano a disposizione.
Generazioni di donne sarde hanno praticato strategie di sopravvivenza al consumismo e al capitalismo, curando una rete di relazioni, di scambio e di sostegno reciproco.
Raccogliere la loro eredità non significa accettare l’imposizione di ruoli precostituiti o scendere a compromessi rispetto a ciò che la società vorrebbe far passare per un destino biologico, naturale, niente affatto. Significa comprendere che la capacità di ripensare l’ordine delle cose è un prisma di immaginazione e di scelte.
Con i loro saperi, tantissime donne sarde hanno avuto un impatto nella società, anche al di fuori dai ruoli apicali di potere.
Sono state creative e coraggiose: hanno fatto del focolare domestico un posto dove organizzare la solidarietà e, a volte, pure l’agire politico; dove apprendere come esercitare un senso critico entro l’ambito familiare, nell’accezione più ampia del termine.
Hanno insegnato a molte di noi a decidere liberamente del nostro corpo, a lottare per la libertà di tutte le persone.
Questo cambio di prospettiva è rivoluzionario e sovversivo perché cambia da dentro, e nel tempo, i rapporti col potere: consente di immaginare nuovi modi di convivere e condividere. E di fare delle case spazi in cui tornare a usare le lingue madri come strumento educativo: quelle lingue a cui tante hanno rinunciato per emanciparsi o per far emancipare le loro figlie, ma della cui importanza erano profondamente consapevoli
Volevamo da loro la rivoluzione e non ci siamo accorte che, senza di loro, nessuna ribellione e nessun cambiamento sarebbero possibili.
Immagine: wsj.com