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Quali furono i rapporti fra il Regno di Sardegna e la Francia all’epoca di Angioy 

Quali furono i rapporti fra il Regno di Sardegna, la Francia e la Corsica, sin dal 1720 ? Esistono fatti poco noti che chiarificano il complesso quadro storico che condusse Angioy a divenire l’anima della Sarda rivoluzione.

La vecchia Europa monarchica, in principio, non credette al  potere della giovane Francia rivoluzionaria. La rivoluzione francese appariva ai monarchi senza vitalità e avvenire e la Francia, nella loro visione, ne usciva momentaneamente diminuita.

Vittorio-Amedeo viveva nel diniego accorgendosi appena che gli sguardi di tutti erano rivolti ai principi rivoluzionari basati sull’uguaglianza e la libertà. 
Quando Vittorio-Amedeo uscì infine dal suo lungo torpore, la situazione era allarmante e il suo regno scosso da violente sommosse. 

Rifiutando l’offerta della Francia, commise l’errore di affidarsi all’Austria, sua nemica. Probabilmente, il timore della rivoluzione francese agì in tal senso, mentre l’Austria appariva ai suoi occhi pur sempre un trono, e come tale un’alleata.

Il re di Sardegna, tuttavia, assicurava in una lettera a Luigi XVI, le sue intenzioni molto pacifiche nei confronti della corona francese, ma si trattava di mera apparenza.

Il 2 luglio, il conte Viretti, segretario di Vittorio-Amedeo, offese la Francia definendola un Paese al bordo dell’abisso e quasi giunto alla sua distruzione. A tali provocazioni, la Francia giurò d’impossessarsi dei possedimenti dei ‘’Sardi’’ fino alle Alpi.

Ma, qual era la situazione dell’Isola di Sardegna a quel tempo ?
Mal governata dal 1720 dai principi di Savoia, considerata una dépendance della corona del Piemonte, abbandonata a un’amministrazione deplorevole con le campagne in cui i raccolti dei paesani erano lasciati senza protezione da ogni autorità, il popolo sardo soffriva atrocemente.

La miseria dilagava ovunque e i sardi erano esasperati da tanta incuria amministrativa.

Insomma, il malcontento del popolo bastava per rendere la Rivoluzione francese comprensibile e popolare. Anche i sardi, come i francesi, gemevano sotto il peso di un regime fiscale opprimente e i cittadini chiedevano giustizia mossi da un’ardente sete di libertà, uguaglianza e fraternità. 

Malgrado le numerose dominazioni straniere, la Sardegna non si era mai ‘’imbastardita’’, mantenendo il proprio carattere fiero e aspirando all’antica libertà e prosperità sarda.

All’epoca, però, Giovanni Maria Angioy non aveva ancora destato le coscienze degli oppressi sardi che necessitavano invece di un capo carismatico, come la storia successiva dimostrerà.

La spedizione francese del 1792, quindi, fallì miseramente per impreparazione militare delle truppe francesi composte da dubbiosi mercenari da una parte, da scarsi mezzi finanziari e per le perplessità dei sardi, impauriti da ciò che si vociferava sui rivoluzionari francesi, presentati come degli individui violenti senza alcun timore di Dio.

I francesi, tuttavia, avevano notato le remore e l’indifferenza che la Sardegna nutriva nei confronti della casa Savoia.

Nel febbraio del 1791, il monarchico Matteo de Buttafoco, nato a Vescovato nel 1731, e uomo di fiducia di Choiseul, attirò l’attenzione della Francia sull’isola-sorella della Corsica che intendeva conquistare grazie all’aiuto del patrigno, il maresciallo Gaffori, che conosceva molto bene l’isola avendola a lungo abitata.  

Il progetto di Buttafoco sarebbe stato poi ripreso dai rivoluzionari corsi che erano al corrente dei fatti sardi. 

Nell’aprile del 1792, Antonio Constantini, ex commerciante di grano a Sassari elettore a Bonifacio, presentò ai poteri pubblici corsi un Mémoire Expédition de Sardaigne contenant des moyens contre le roi de Sardaigne, propres à former un plan d’attaque.

Membro del club des Jacobins, amico del giornalista Loustallot, non trascurò alcuna azione per realizzare il proprio progetto di conquistare la Sardegna per unirla alla Corsica contrastando la monarchia e facendo trionfare le idee rivoluzionarie.

In comune con Buttafoco – monarchico – stimava solo che la Corsica potesse fornire le risorse militari necessarie per intraprendere con successo la conquista della Sardegna.

Saliceti scriverà a Napoleone Bonaparte, il 9 gennaio 1793 : « Ho trovato il Consiglio esecutivo molto poco soddisfatto dei deboli sforzi con i quali i nostri compatrioti concorrono alla difesa comune. I battaglioni di volontari non sono ancora apparsi in continente. »

Al che Constatini insistette sulla necessità per la Francia di attaccare in primis Nizza e poi la Sardegna, ricca di cavalli superbi, di una prodigiosa quantità di buoi e altro bestiame. Ma, come diceva Paoli, ‘’L’entusiasmo non poteva supplire a tutto », quindi, malgrado l’innegabile energia di Constantini e la sua buona conoscenza della Sardegna, il suo progetto incontrò delle difficoltà.

Saliceti, da buon corso, lo approvò, insistendo sui profitti che si sarebbero tratti attraverso la discesa in ‘’una delle parti più preziose’’degli Stati del duca di Savoia e definendo il re di Sardegna ‘’il tiranno di Sardegna’’ da spoliare a costo di versare sangue corso per la salvezza della Francia rivoluzionaria, patria adottiva delle nazioni invaghite di Libertà.

L’ex deputato Peraldi, appoggiò a sua volta Constantini e Saliceti, convincendo Carnot il 23 luglio. Il Potere esecutivo francese adottò dunque il progetto di sbarco in Sardegna e l’azione avrebbe avuto luogo verso la fine di settembre.

La Francia, tuttavia, alle prese con un preoccupante debito finanziario, commise degli errori.

Belleville, futuro console francese a Livorno, scriverà in una lettera virulenta del 26 novembre 1792 a un destinatario ignoto, a bordo del Languedoc :

« La verità è che da 27 giorni Truguet rimane qui con una divisione della flotta, mentre il resto rimane ugualmente inerte, nel golfo di La Spezia ; questo tempo trascorso ad andare a ballare si sarebbe potuto impiegare in altro modo. Avremmo potuto togliere le cinque navi russe che sono a Livorno, invece di far ballare le dame genovesi e, al posto di prendere i loro seni, si sarebbe potuta prendere la Sardegna.  Sarebbe stato quasi ugualmente facile e molto più glorioso e vantaggioso per la Repubblica. Cos’è stato di tutto questo ? Non se ne è fatto nulla e mi si è impedito di agire. »

Bisogna dire pure che la missione dello sbarco in Sardegna consegnata al contrammiraglio Truguet era stata in principio affidata al Paoli che era, tuttavia, più un leader politico che un generale. Saliceti e i fratelli Bonaparte, inoltre, diffidavano di lui. Anche la scelta del generale d’Anselme era stata eliminata a vantaggio del giovane, bello e galante Truguet che la famiglia Bonaparte voleva unire alla quindicenne Elisa sfuggita da poco da Saint-Cyr.

Ma i corsi, erano realmente entusiasti di versare il sangue per la Sardegna ?

Joseph Bonaparte, fratello di Napoleone, giurava di sì, parlando di ‘’una specie di fanatismo’’corso all’idea dello sbarco in Sardegna. 

Il patriota Buonarroti, discendente del grande Michelangelo, si era portato volontario ma i suoi servizi erano stati rifiutati. Aveva dichiarato, malgrado tutto, di voler avere l’onore di gettare la semenza delle nuove dottrine in terra sarda. 

Napoleone Bonaparte gioiva all’idea del progetto, sentendo l’ambiente sardo a lui favorevole. Gli abitanti di Bonifacio dicevano che i loro vicini sardi avrebbero accolto i liberatori come « angeli custodi », come « evangelisti muniti dellla sacra Bibbia, secondo il loro dire ».

In Sardegna, frattanto, la rivoluzione diveniva popolare ma, all’epoca, i nobili e il clero, temendo i principi rivoluzionari come precursori dell’abolizione dei loro privilegi e beni, si risolsero a pesanti sacrifici per armare la Sardegna contro i francesi.

L’esito negativo dello sbarco francese del 1792-1793 in Sardegna è noto a tutti.  

I sardi dalle idee giacobine perdettero fiducia nella Francia considerandola come una nazione incapace di poter risollevare il loro destino. L’esercito francese formato da indisciplinati volontari raccattati nelle bettole marsigliesi non aveva giovato all’impresa. Sordi alla voce dell’onore e indifferenti agli interessi della patria, questi si comportarono da vigliacchi. Solo le truppe di linea si erano dimostrate composte da veri soldati ma in numero insufficiente, affamati e senza grandi mezzi. Una tempesta e la resistenza dei sardi, sia a Cagliari che a La Maddalena, avevano fatto il resto. 

Il luogotenente generale Pierre-Paul Colonna-Cesari nelle sue memorie scriverà : « Non si conquista un regno come un cavolo in un giardino » e parlerà di resistenza alla Repubblica francese dei signorotti, dei preti e di altri sardi.

Secondo il luogotenente Peyroy, Pasquale Paoli aveva da sempre dimostrato una fredda e ragionata ostilità nei confronti dell’impresa. Sarebbe stato contrario a far combattere i corsi contro il re di Sardegna, temendo che la Francia, una volta conquistata la Sardegna, avrebbe trascurato la Corsica.

Napoleone Bonaparte, contrario ai capi della spedizione alla Maddalena che aveva sognato di dirigere personalmente, fornendo istruzioni dettagliate che non furono accolte, conservò della disfatta sarda un orribile ricordo. 

D’altronde, Napoleone, ignorando il protocollo, scrisse al ministro della guerra declinando la propria responsabilità e quella degli ufficiali del suo battaglione, cosa che avrebbe dovuto fare Quenza sotto i cui ordini si trovava Napoleone. Questi, però, devoto alla causa di Paoli e di Cesari, si astenne dal farlo.

In seguito al fallimento dell’impresa della Maddalena, Colonna-Cesari cadde nel più profondo discredito. I suoi uomini lo soprannominarono ‘’le pleureur’’ (il piagnucoloso) e Saliceti lo definì ‘’l’Eroe della Maddalena’’. 

Solo Pasquale Paoli continuò a difendere il suo protetto presso il ministro della guerra francese, definendo Cesari un coraggioso patriota.
Bonaparte non dimenticò mai tale scacco e continuò a portare rancore sia a Cesari che a Paoli.

Ricordò amaramente l’episodio della Maddalena all’inizio delle sue Memorie sulla guerra d’Italia. E, anche a Sant’Elena, dichiarò che fu in Sardegna che vide il fuoco per la prima volta. Mantenne però il silenzio sulla tristezza mista a rabbia di aver dovuto assistere a una vergognosa sconfitta per non aver potuto impartire gli ordini. È dalla sua lettera al ministro della guerra che traiamo una tale conclusione.

Una simile ferita all’amor proprio, legata al ricordo della Sardegna, lo influenzerà in seguito risolvendolo a inviare le truppe altrove piuttosto che nell’isola sorella della Corsica ?


Immagine: artearti.net

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Un commento

  1. Davvero molto interessante! E non mi stupisco perché con la Valenti Sabouret, vista la sua incredibile conoscenza della materia, si va sul sicuro.

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