Riscrivere lo Statuto come Carta costituzionale di sovranità. Come nuova Carta de Logu
In merito ai nuovi poteri e più corpose competenze rivendicate dalle Regioni, mentre quelle del Nord corrono, la Sardegna sta ferma, invischiata com’è nella palude della pavidità, della subalternità e delle divisioni politiche. Eppure la Sardegna più delle altre Regioni avrebbe bisogno di uno Statuto con poteri decisionali forti, che la sottraggano alle “invasioni” centraliste dello Stato. Quello che sta succedendo a proposito del colonialismo energetico ne è la dimostrazione più lampante.
Nato nel lontano 1948, già depotenziato, debole e limitato – più simile a un gatto che a un leone, secondo la colorita espressione di Lussu – lo Statuto sardo in questi circa 75 anni di storia ha subito un processo di progressivo svuotamento e di compressione, sia dall’ interno, ovvero da parte delle forze politiche dirigenti sarde, che non sanno usare e, spesso, non vogliono utilizzare, gli stessi spazi che l’autonomia regionale offriva. Così le forze politiche sarde riescono a svilire la stessa limitata autonomia. statutariamente riconosciuta.
Sia dall’esterno, cioè da parte dello Stato centrale La prima cartina di tornasole che riflette quello che sarà l’atteggiamento e la politica dello Stato centrale nei confronti delle Regioni è rappresentata dalla questione delle “norme di attuazione”, ovvero i decreti legislativi che avrebbero dovuto trasferire alle Regioni non solo le funzioni amministrative ma anche gli uffici e il personale necessari per il concreto esercizio delle loro attribuzioni. I decreti infatti vengono continuamente procrastinati e rimandati alle calende greche. Così una parte notevole delle funzioni attribuite alla Regione Sarda – parlo di questa perché è essa che mi interessa – continuano ad essere svolte dallo Stato centrale attraverso i suoi uffici. È questo lo strumento fondamentale con cui, dall’esterno, la già debole e anemica autonomia della Sardegna viene compressa e depotenziata. E contro la mancata emanazione delle norme di attuazione la Regione è disarmata. C’è di più: lo Stato centrale nel suo ruolo centralistico ovvero nella sua continua e pesante azione di interferenza nei confronti della Regione è puntualmente assecondato e sostenuto dalla Corte Costuzionale, forse l’organismo che gelosamente – e maggiormente – tende sempre alla conservazione delle vecchie strutture e dei vecchi ordinamenti: altrimenti avrebbe dovuto opporsi alle mire centralistiche dello Stato e alle sue indebite interferenze nei confronti della Regione.
Non solo. Nato come Statuto speciale, oggi risulta dotato di meno poteri delle regioni a Statuto ordinario costituite nel ’70. Le Regioni a Statuto speciale, originariamente dotate dalla Costituzione e dai rispettivi Statuti di maggiori garanzie e più larghi poteri, si sono infatti venute a trovare in una posizione di netto svantaggio nei confronti delle Regioni a Statuto ordinario: a sostenerlo fra gli altri è Umberto Allegretti, già docente di Diritto costituzionale all’Università di Cagliari. Scrive Allegretti: “Il quadro delle regioni a statuto ordinario diviene più avanzato rispetto a quelle delle regioni a statuto speciale perché contiene e recepisce alcune spinte a un ordinamento ispirato a un maggior grado di autonomia”.
E comunque, di fatto, rappresenta oramai un ostacolo alla realizzazione di una vera Autonomia, o peggio: serve solo come copertura alla gestione centralistica della Regione da parte dello Stato.
La Regione sarda di fatto, in questi 75 anni di storia, ha operato come mera struttura di decentramento e di articolazione burocratica dello Stato e come centro di raccordo e mediazione fra gli interessi dei gruppi di potere locali e la rapina neocolonialista, soprattutto del Nord: esemplare in questo è la vicenda della industrializzazione petrol-chimica e ripeto, la vicenda delle Pale: occupazione e devastazione del territorio per produrre energia che s’invola, bella e pulita verso il Nord. Così, loro si pigant su ranu e a nois lassant sa palla. O mezus s’aliga.
Oggi è giunto dunque il momento di imboccare decisamente la strada del rifacimento dello Statuto, che ricontratti su basi federaliste il rapporto Sardegna-Stato Italiano e UE, che, partendo dall’identità nazionale dei Sardi, ne sancisca il diritto a realizzare l’autogoverno, l’autodecisione, l’autogestione economica-sociale delle proprie risorse e del territorio, il diritto a usare e valorizzare la propria lingua e cultura, a gestire la scuola, i trasporti, il credito, le finanze e l’ordine pubblico, Il potere infine, in settori fondamentali quali la difesa e i rapporti internazionali, di esprimere parere vincolante in merito a tutte le iniziative che tocchino gli interessi vitali della Sardegna.
Riscrivere lo Statuto come Carta costituzionale di sovranità significa in tal modo superare la visione autonomistica che si riduce, sostanzialmente, a “decentramento”. La visione autonomistica, infatti, anche di un nuovo autonomismo, magari rimpolpato e rinforzato, è ancora tutta dentro l’ottica dello stato ottocentesco, unitario, indivisibile e centralista, che al massimo può dislocare territorialmente spezzoni di potere dal “centro” alla “periferia”. O, più semplicemente può prevedere il decentramento amministrativo e concedere deleghe limitate e parziali alla Regione che comunque in questo modo continua ad esercitare una funzione di “scarico”, continuando ad essere utilizzata come un terminale di politiche, sostanzialmente decise e gestite dal potere centrale.
Quello che occorre è una “rottura”, una disarticolazione dello Stato “nazionale”, uno e indivisibile, con il frazionamento della sovranità, per dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui “per Stati non si intendono più gli Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parte o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri”: l’intera frase virgolettata è tratta da “Federalismo” di Norberto Bobbio, “Introduzione a Silvio Trentin”*. In questo modo il potere sovrano originario e non derivato spetta a più Enti, a più Stati e perciò scompare la sovranità, unica e assorbente. di un unico centro dello stato come veniva concepito nell’Ottocento, di un unico potere e soggetto singolare per fare capo a più soggetti e poteri plurali.
Inutile dire che una scrittura dello Statuto di tal fatta non può essere portata avanti esclusivamente dentro il Palazzo e con i soli consiglieri regionali: abbisogna infatti di una grande mobilitazione popolare, di un coinvolgimento di tutte le forze vive della Sardegna, del contributo dell’intera comunità sarda. E ha bisogno di un’Assemblea costituente. Pena il fallimento.
*Norberto Bobbio, Federalismo, Introduzione a Silvio Trentin, 1997.
Immagine: sardegnantica.org