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Perché Pratobello 24 è già un movimento politico di liberazione

In Sardegna soffia un vento nuovo, un vento che porta con sé la forza di un popolo deciso a non rimanere più in silenzio.

Anche se Pratobello 24 fosse stata originariamente un’operazione di una parte politica (cosa tutta da dimostrare), ormai non ha più alcuna importanza, perché è diventata di fatto l’atto costitutivo di un nuovo e originalissimo movimento politico in formazione, un movimento che potremmo definire di reazione al bullismo di Stato o – con un linguaggio forse più datato ma non per questo meno coerente – un movimento decoloniale.

Il successo della raccolta firme per la legge di iniziativa popolare “Pratobello 24”, culminato con il flash mob simbolico “Una penna al vento” a Sassari, ha acceso una scintilla che si sta trasformando in un incendio di consapevolezza collettiva. Partita da Orgosolo e proseguita in tutta la Sardegna grazie a diversi comitati e associazioni che le hanno dato corpo, questa mobilitazione potrebbe rappresentare l’inizio di un percorso capace di ridefinire il futuro dell’isola e iniziare a spostare gli equilibri  di forza subalterni tra centro e periferia.

A Sassari, il 16 settembre 2024, si è conclusa con grande soddisfazione una campagna che ha registrato una partecipazione del tutto inedita, da parte di una città non facile e non certo insorgente. Eppure le più di diecimila firme raccolte nel capoluogo turritano, da metà agosto a metà settembre, senza il sostegno di alcun partito, di alcun sindacato, di alcuna rete associativa di potere, sono il risultato di un lavoro instancabile, di un impegno collettivo che ha trovato radici profonde nei volontari di base, nella cittadinanza delle borgate e dei quartieri periferici, nella tenacia di consiglieri comunali di diversissimi orientamenti politici e delle migliaia di sassaresi che hanno sopportato ore di fila per poter soltanto apporre una firma, per dare un segno civico e politico del proprio dissenso all’ennesima opera di land grabbing imposta dai vertici dello Stato e perpetrata dai soliti gruppi di interesse privato.

Inutile usare altre parole che non rendono giustizia al fatto storico che stiamo vivendo: la raccolta firme Pratobello 24 ha le carte in regole per diventare l’embrione di un movimento di liberazione nazionale sardo, come la marcia del sale in India o i fatti di Aleria in Corsica.

Questo non per fare paragoni diretti tra la realtà sarda, quella indiana e quella corsa, che di fatto non possono essere paragonate, né tanto meno sui metodi di lotta, ma per dire che a volte, alcuni eventi, possono essere caricati di un valore simbolico capace di andare ben oltre le aspettative degli stessi promotori o protagonisti.

Bisogna riflettere sulle parole della poetessa Clara Farina che ha aperto la serie di interventi del 16 settembre a Sassari, interpretando i versi dell’inno sardo di Ignazio Mannu, richiamando i famosi passaggi che ruotano attorno a «cando si tenet su bentu est pretzisu bentulare» e sottolineando quanto questi fossero attuali, come se fossero state scritte per la Sardegna di oggi, da sardi di oggi».

In particolare queste due strofe dell’inno sardo ci raccontano, in maniera sorprendentemente attuale, i meccanismi della colonizzazione e, conseguentemente, gli strumenti della ribellione popolare:

Meda innantis de sos feudos
Esistiana sas biddas,
Et issas fini pobiddas
De saltos e biddattones.
Comente a bois, Barones,
Sa cosa anzena es passada?
Cuddu chi bos l’ha’ dada
Non bos la podia’ dare.

No es mai presumibile
Chi voluntariamente
Happa’ sa povera zente
Zedidu a tale derettu;
Su titulo ergo est’infettu,
De infeudassione,
E i sas biddas reione
Tenen de l’impugnare.

Ecco perché – richiamando una felice espressione di Simon Mossa – parlo di «nuovi feudatari industriali». L’attuale processo di penetrazione coloniale energetico, ricorda infatti da vicino, i meccanismi dell’attuale processo di land grabbing. Proviamo a parafrasare Mannu: «molto prima delle autorizzazioni, esistevano le comunità, ed erano loro padrone di boschi e campi. Come mai a voi, AD delle S.R.L, la roba d’altri è passata? Colui che ve l’ha data, non ve la poteva dare. Non è mai pensabile che volontariamente abbia quella povera gente ceduto un tale diritto: il titolo è viziato da infeudazione. E le comunità hanno ragione ad impugnarlo».

Fila tutto perfettamente anche se sono passati più di due secoli!

Non è un caso che Mannu fosse un magistrato. L’inno rivoluzionario è impregnato di linguaggio giuridico e, di fatto, si tratta di un’arringa difensiva a beneficio del popolo sardo in lotta contro gli abusi, «sos malos usos» e su «dispotismu» del blocco instaurato tra feudatari e piemontesi. Allo stesso modo oggi i sardi hanno bisogno di «impugnare» i nuovi abusi, e di combattere contro il blocco di Stato e stakeholder dell’energia.

Corsi e ricorsi insomma, ma dalla storia si può e si deve imparare a non fare gli stessi errori e questa volta possiamo e dobbiamo giocarcela meglio rispetto ai tempi di Angioy.

Forse ora apparirà più chiaro il motivo per cui quello in formazione potrebbe avere i tratti di un movimento capace di andare oltre la protesta limitata ad un determinato tema e potrebbe puntare ad un’agenda di liberazione della Sardegna dalla condizione di subalternità in cui è stata relegata per troppo tempo. Per decenni, l’isola è stata sfruttata e vista come una riserva di risorse da depredare, senza considerare le esigenze delle sue comunità. Ora, con Pratobello 24, si è accesa una fiamma di autodeterminazione che non sarà facile spegnere.

Non esistono ovviamente automatismi, ma credo che le parole di Leandro Cossu, uno degli organizzatori per Sa Domo de Totus della mobilitazione sassarese, alla fine del flash mob di chiusura della raccolta, ci debbano far riflettere: «con questo gesto diamo inizio a un percorso democratico che ci porterà il 2 ottobre a Cagliari, a consegnare le firme e a spiegare alla classe politica che noi la legge l’abbiamo letta, l’abbiamo studiata e che non siamo manipolati da nessuno. La nostra volontà di impedire il saccheggio della nostra terra è ferma e matura».

Il fatto che va messo a fuoco è che questa lotta contro l’imposizione di un modello predatorio di transizione energetica è solo uno snodo di una questione molto più profonda: l’insofferenza dei sardi verso un sistema che li ha sempre visti come una periferia sfruttabile, e non come una comunità autonoma, con diritti e dignità da rispettare. Anche l’intervento dell’avvocato e ormai volto noto della mobilitazione Michele Zuddas, va nella stessa direzione; «è necessario uno scontro istituzionale con lo Stato e con esecutivi tecnici che governano in maniera autoritaria e distante dalle esigenze dei territori, applicando schemi che non tengono conto delle necessità reali della Sardegna» ( https://www.pressenza.com/it/2024/09/flash-mob-una-penna-al-vento-chiude-la-raccolta-firme-di-pratobello-24/ ).

Quello che emerge con forza è la necessità di una costituente popolare, una riformulazione non solo delle idee, ma anche e soprattutto del metodo politico che deve coniugare il massimo dell’efficacia e della capacità d’azione, con il massimo dell’apertura e dell’inclusività. Serve però anche il massimo dell’intransigenza, perché va tenuta aperta la contraddizione tra mobilitazione popolare e élites dominanti. Da questo punto di vista sembra entrare nella sua fase operativa quella prospettiva di riassorbimento del «movimento reale» rappresentato dall’insorgenza popolare incarnata nella raccolta firme per Pratobello 24 nell’alveo delle istituzioni coloniali.

L’«Incontro per l’unità. Per una proposta comune contro la colonizzazione energetica» calendarizzato il 21 settembre ad Oristano, coordinato da Bachisio Bandinu e aperto ai rappresentanti della Regione (immagino della Giunta), conferma che la tesi esposta nel mio articolo “Contro Bachisio Bandinu: Transizione energetica, neocolonialismo e schiavi che finalmente sanno dire «no»” (https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-contro_bachisio_bandinu_transizione_energetica_neocolonialismo_e_schiavi_che_finalmente_sanno_dire_no/39130_56590/ )  non era una boutade acchiappa like, bensì la denuncia ponderata di una precisa linea politica finalizzata a ricucire lo strappo tra élites coloniali e insorgenza popolare.

Da questo punto di vista la realtà di Sa Domo de Totus, ha davvero fatto scuola, superando in capacità di azione e pragmatismo partiti e sindacati con strutture ben più solide e rodate perché il metodo sperimentato a Sassari è riuscito a conciliare il massimo del carattere popolare, democratico e plurale (attraverso il coinvolgimento di sensibilità politica tra le più disparate) senza spegnere la radicalità della proposta politica rappresentata dalla Pratobello 24, ovvero il diritto dei sardi a farsi legislatori senza aspettare i sotterfugi e i giochi delle tre carte del palazzo.

L’accento su questo punto lo ha posto Maria Grazia Demontis, attivista di un’altra esperienza fondamentale che è il Coordinamento Gallura, una delle realtà che in assoluto è stata capace di rendere capillare e condivisa questa battaglia di protezione della Sardegna dalla colonizzazione energetica. Ringraziando gli animatori della mobilitazione sassarese ha sottolineato come «la presenza radicale in questo territorio hanno risvegliato un senso di partecipazione democratica che da tempo non vedevamo, non solo a Sassari, ma in tutta la Sardegna e forse in tutta Italia. Quindi sono i protagonisti di un risveglio di una coscienza, di partecipazione e democrazia che non ha pari. Ormai siamo un movimento ben radicato che sa anche quale è la propria destinazione, qual è il percorso che vuole intraprendere ed è quello di una Sardegna autodeterminata, perché nessun popolo che si possa definire libero può partire da un concetto che lo vede succube di decisioni prese altrove. Questa non è una terra disabitati come molti pensano, per chi ha preso la cartina della Sardegna, considerando la sua vastità e la ricchezza di sole e vento, come un gioco a freccette hanno lanciato i propri sassolini per definire che questa è un’area idonea a far si che la transzione energetica si compia al servizio di un’Italia che ci ha sempre considerato come subalterni, come colonia, come serbatoio e come discarica. Perché non solo vengono a prendere le materie prime, ma poi ci danno anche quelli che sono gli scarti della loro ricchezza, dalla quale noi siamo sempre estranei. Il grande nord si sta affrancando da una produzione di tipo fossile con un fotovoltaico sui tetti che è a favore delle comunità e quindi un processo di coinvolgimento e una democrazia energetica reale che si sta compiendo in molte regioni del nord, come la Lombardia e questi sono dati Terna, non mie invenzioni. E la Sardegna deve essere al servizio di quella produzione».

La strada è dunque tracciata? Si, ma ci sono ovviamente tanti pericoli e anche trappole interne a cui fare attenzione.

C’è il solito movimentismo ultra antagonista, rivoluzionario e intransigente a parole, ma antipopolare e opportunista nei fatti e sempre disponibile a vendersi per un piatto di lenticchie alla prima occasione buona, in cambio di una qualsiasi posizione di potere o anche solo per un pizzico di visibilità. La storia recente della “sinistra” e dell’ “indipendentismo” fornisce un corposo bestiario che chi dirige questa lotta deve sempre tenere presente. Bisogna nello specifico diffidare delle personalità accentratrici che, invece di mettere a disposizione del movimento reale le proprie capacità e competenze, utilizzano il loro profilo, per teleguidare il movimento verso lidi alieni, spesso coincidenti con percorsi e ambizioni del tutto personali. Cose già viste e riviste, ma non per questo meno pericolose e letali per ogni movimento che attraversa la sua primavera.  

Ci sono poi gli ovvi e prevedibili tentativi di accaparramento strumentale del tesoretto politico della Pratobello 24, come le ultime sparate di Tajani che dimentica il fatto sostanziale che ora al Governo ci sono loro e che Pichetto Fratin è un ministro di Forza Italia. Provocazioni maldestre da rispedire al mittente, se non accompagnate da fatti concreti. Su questo punto bisogna essere chiari, la Pratobello 24 è di chi l’ha firmata, cioè di una parte consistente del popolo sardo e di chi ha organizzato i banchetti!

Solo questi soggetti sono autorizzati a dire come questo enorme bagaglio politico va gestito, non altri. Soprattutto non quelli che a Sassari chiamiamo i cagabandera, che prima avvelenano i pozzi, poi scrivono in fretta e furia un comunicato, raccolgono due firme e pretendono di sedersi al tavolo sfoggiando medaglie di battaglie mai combattute.

Il terzo punto è l’avversione per la politica. Dobbiamo chiarire che la politica siamo noi. Politica viene da “polis” che in senso stretto vuol dire “città”. Ma in Grecia, la “polis” non era semplicemente una città, era tutta la società, era la comunità a cui si faceva riferimento. Oltre alla terra, al vento, al sole e alla dignità dobbiamo riprenderci la politica e lo possiamo e dobbiamo fare da movimento di liberazione dalla cattiva politica, cioè dalle guide indiane al servizio degli affaristi, degli speculatori, in fin dei conti dello Stato che ha sempre trattato la Sardegna come un «mercato di vendita semi coloniale» (Gramsci).

Unendo i puntini possiamo riassumere che il movimento di liberazione, se nascerà sarà popolare e pragmatico, del tutto l’opposto dello pseudo antagonismo cialtrone a cui siamo abituati a certe latitudini. Il nuovo movimento sarà attraversabile e plurale ma inflessibile verso i tanti tentativi di intestarsi Pratobello 24 e sarà assolutamente politico, capace cioè di formulare punti fondamentali e avviare finalmente la decolonizzazione della Sardegna.

Manca un punto che è a mio avviso quello decisivo. Il movimento che sta nascendo dovrà avere dirigenti nati dalla battaglia. Di generali per procura siamo stanchi. Abbiamo passato le ultime tornate elettorali a vedere sfilare improponibili signorotti paracadutati dai loro salotti, dai loro circoli di potere, alla testa di presunti fronti per l’autodeterminazione, legittimati da dirigenze pseudo indipendentiste del tutto scollate dalla gente e dalla realtà. Per non parlare di chi ha finito il suo percorso di ideologo della purezza indipendentista direttamente al servizio del colonialismo.

Questo movimento deve mettere la parola fine a questa prassi elitaria che ad ogni occasione di mobilitazione popolare genera distacco e disillusione.

Per cui va detto con chiarezza fin da subito che il momento elettorale non è da escludere, ma si affronteranno le elezioni solo quando alle spalle ci saranno legami solidi e rodati tra dirigenti e diretti. Se una cattiva prassi deve tramontare per sempre è proprio quella delle varie listarelle – ultima in ordine di tempo la coalizione di Soru – che nascono dal capo per poi presentarsi come rivoluzionarie, popolari, democratiche e partecipative e che invece o sfociano – nella migliore delle ipotesi in buchi nell’acqua – o rappresentano in nuce pericolosi embrioni di rivoluzioni passive di cui non abbiamo alcun bisogno.

Oltre agli speculatori, alle S.R.L. fantasma, alle guide indiane della colonizzazione, dobbiamo ributtare a mare anche le varie “rivoluzioni gentili” targate Antony Muroni, Andrea Murgia e Renato Soru che hanno sempre tarpato le ali ai processi costituenti sardisti, popolari e realmente democratici.

Non facciamoci fregare anche stavolta, animu Sardigna!


Foto: Cristiano Sabino

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