Mattarella a Cagliari: nazionalismo italiano e scuola sarda
Il nuovo anno scolastico sarà inaugurato oggi, 16 settembre 2024, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Cagliari. Per di più, l’inaugurazione avverrà al Convitto “Vittorio Emanuele II”. Ci sarà anche il ministro Valditara, espressione di un governo di destra, nazionalista e reazionario. Il quadro è completo, il senso dell’operazione piuttosto chiaro. La Sardegna deve essere mantenuta nell’alveo della sua subalternità culturale, nella sua posizione tributaria. Il fatto che l’isola sia piuttosto in subbuglio, in questi mesi, probabilmente non ha una connessione diretta con questa visita istituzionale in grande stile, ma la dissonanza con gli umori popolari prevalenti è evidente.
Cosa vengono a dirci il presidente Mattarella e il ministro Valditara? Faranno il solito sfoggio di paternalismo e di compiacenza verso la nostra genia sfortunata? Stigmatizzeranno la scarsa qualità della comunità studentesca sarda, afflitta da una dispersione scolastica eccessiva e ormai cronica? O si interesseranno delle carenze infrastrutturali, dei trasporti problematici, della frattura culturale perdurante?
La circostanza è ghiotta per fare qualche riflessione in tema scuola. Possibilmente a debita distanza dai discorsi triti e ritriti che si leggono sempre in queste occasioni, pieni di luoghi comuni e di propositi all’apparenza benintenzionati ma dal retrogusto sempre amaro.
In che situazione è oggi la scuola pubblica in Sardegna? Intanto, il fatto che sia ancora una scuola pesantemente dipendente dalle scelte ministeriali è un primo problema generale e strutturale che non sembra in cima all’agenda politica, non in Sardegna tanto meno a Roma. L’autonomia scolastica in Sardegna ha prodotto pochissima autonomia reale e molti disagi concreti, a vario livello. È un’autonomia di nome, ma di fatto è un’aziendalizzazione pesante, con l’aggravio di un’impostazione didattica votata all’impoverimento del senso critico e della strumentazione cognitiva, e invece orientata a produrre esecutori di mansioni.
La “scuola delle competenze” è un disastro annunciato, i cui esiti sono già evidenti e continueranno a esserlo sempre più nel futuro, se non si cambia rotta drasticamente. In Sardegna, questa impostazione, voluta e promossa dai governi italiani di ogni colore negli ultimi trent’anni, non ha trovato alcun filtro e alcuna forma di opposizione. Anzi, le nostre istituzioni e la nostra classe intellettuale – compresa la classe insegnante – si sono rivelate, come al solito, più realiste del re (di Sardegna, chiaramente). Il gran numero di studenti respinti nelle scuole sarde certifica un fallimento che non è certo delle ragazze e dei ragazzi, ma degli adulti, in primis coloro che hanno responsabilità in ambito scolastico.
La scuola italiana in Sardegna non è mai stata un reale strumento di crescita culturale e di emancipazione. Lo è stato in qualche misura, soprattutto quando ha consentito alle masse di uscire dalla condizione di esclusione dovuta all’analfabetismo, ma solo in termini preterintenzionali, per così dire. La scuola italiana in Sardegna, come raccontavano bene i vari Cicitu Masala, Mialinu Pira e Placido Cherchi, è stata una scuola “coloniale”. A dispetto delle insegnanti e degli insegnanti che, singolarmente, per scelta loro, hanno provato e provano ancora a darle una connotazione meno violenta, meno distante dalla vita vera della gioventù a cui devono dedicare le proprie cure pedagogiche.
Sia sul piano materiale – strutture, trasporti, dimensionamento, quantità di personale – sia sul piano qualitativo – programmi, approccio alla questione linguistica e all’esclusione della storia sarda dai corsi curricolari, aggiornamento didattico, consapevolezza culturale – la scuola in Sardegna sarebbe da riformare radicalmente. Inutile sperare che questo succeda per iniziativa ministeriale. E, anche se fosse, si tratterebbe di una concessione dall’alto, che certificherebbe comunque una condizione di dipendenza.
Ma non corriamo questo rischio. Il ministro Valditara sta pensando a fascistizzare almeno un po’ e a piegare a logiche classiste quel che resta della scuola pubblica italiana, figuriamoci se gli interessa la Sardegna. E il presidente Mattarella al massimo è allarmato per gli umori che sembrano emergere dalla massa della popolazione sarda, sicuramente meno passivi e arrendevoli di come a Roma si augurano sempre.
Tuttavia, sarebbe interessante sapere cosa ne pensano davvero il presidente Mattarella e il ministro Valditara. Beninteso, ancora più importante sarebbe sapere cosa ne pensano coloro che siedono nel Consiglio regionale sardo e in giunta. E sapere cosa ne pensa la categoria docente e anche l’università. Ma le aspettative sono molto basse, anche qui. Speriamo di essere smentiti.
La partita della scuola è strategica. Non meno della transizione energetica, della questione trasporti, dei problemi sociali, dello spopolamento, della devastazione del territorio, ecc. Ed è legata a tutte le altre. La debilitazione culturale della nostra gioventù ci espone a rischi maggiori che altre parti dello Stato italiano. La perdita di intelligenza e di capacità critiche, relazionali, creative (che non sono le famigerate “competenze” di cui sopra) è un danno enorme, il cui prezzo stiamo già pagando, ma che potrebbe diventare ancor più salato negli anni a venire.
Se la visita del presidente Mattarella e del ministro Valditara servirà a riflettere su questi aspetti e a fornire uno stimolo alla nostra politica, allora, tutto sommato, ben venga. Se invece si tratterà, come sempre, di una passerella buona a riconfermare la nostra sudditanza, da contrapporre egemonicamente alla mobilitazione popolare in corso, allora sarà da respingere senza mezzi termini. Non dovremmo essere disponibili, tanto meno servili, con chi viene a indorarci la pillola (velenosa). Quale che sia la veste istituzionale e la maschera di circostanza che indossa.
Immagine: Unione Sarda