Countdown per le “aree idonee”, e alcune letture estive – S’Imprenta
S’Imprenta – Rassegna stampa dalla colonia
Questi sono i giorni mancanti per la scadenza prevista dalla Pichetto Fratin, il tempo ultimo per convincere Todde che le uniche “aree idonee” per la “transizione” non devono consumare terra e mare.
Il decreto Pichetto Fratin pubblicato il 2 luglio 2024 in G.U., ha:
- stabilito le quote minime per ogni regione (6.2 gw per la Sardegna)
- stabilito il limite di 180 gg (a partire dal 2 luglio) affinché le regioni decidano le “aree idonee“
Todde sta scegliendo le “aree idonee al sacrificio”, ha poco tempo, una fortissima opposizione popolare e da parte di alcuni sindaci, e fortissime pressioni delle lobby, sostenute dalle semplificazioni burocratiche italiche.
Due proposte sono comunque in campo, lato comitati.
Una, unanimemente condivisa, rappresenta la volontà ufficiale dei comitati, un vero e proprio manifesto. È stata presentata prima all’Anci e poi a Spanedda mercoledì, in cui:
- non si parla di “aree idonee”, ma di “superfici di installazione“, identificando i tetti, pensiline dei parcheggi, aree lungo le strade, ecc. Qui una lista completa delle superfici proposte.
- si richiede che la regione impugni il decreto Pichetto Fratin e ridiscuta la quota sarda
- si richiede il blocco dei cantieri del Tyrrhenian Link
I Comitati (non tutti) raccolgono firme per la Pratobello24, la seconda proposta che a breve sarà sul tavolo della regione.
Mercoledì Spanedda ha incontrato Comitati (e Progetto Sardegna… prove di dialogo?), i quali hanno ribadito le posizioni.
La risposta è stata che le superfici nei tetti “non sono sufficienti” (ndr, ovvio se i 6.2 GW sono troppi) ma che verranno utilizzate precipuamente, e che per le superfici adiacenti alle strade “è complicato” per via dell’Anas.
Dunque, possono portare avanti una battaglia contro comuni sardi e contro la popolazione, ma non contro le terribili resistenze dell’Anas?
In sardo si chiamano scusas de malu pagadori.
Dietro la scelta delle aree idonee, troppe aziende sono pronte alla grande abbuffata.
I Comitati organizzati, sono entrati in modalità frullatore impazzito tra appoggio alla Pratobello e trattativa per le aree idonee al sacrificio.
In questo spazio i Comitati sono stati raccontati (salvo qualche rara eccezione, necessaria per questioni di cronaca) evitando di citare i nomi dei principali esponenti dei Comitati, in modo da far emergere il lavoro collettivo e depotenziare l’effetto vetrina: la lotta è popolare o non è.
Il gioco delle parti tra destra e sinistra non funziona più: Salvini viene in Sardegna a dire che è contro la speculazione, ma sta nel governo Meloni che ha appena approvato la Pichetto Fratin; era con Solinas che non ha mosso un dito; Pais, da presidente del consiglio, nel 2023, ha preso in giro i Comitati.
Todde, a sinistra, non riesce a bloccare lo stesso decreto di quando stava con Draghi e accusa Solinas di inerzia mentre lei “rappresentava le industrie energivore” quando è stato scritto il provvedimento.
Sulla Nuova Sardegna appare una sua lettera in cui chiarisce ulteriormente il suo ruolo nel governo Draghi. Al MISE, come al CITE non avrebbe avuto poteri di interdizione, ma le settimane scorse, in un suo stesso video, dichiarava che il decreto le “è passato”, ma si era fidata delle direttive europee.
Prendiamo atto, ma manca ancora il resoconto del suo ruolo riguardo al secondo decreto Draghi, del 2022. Infatti nella lettera alla Nuova, gioca sui plurali /singolari: (“La mia delega al CITE non mi dava alcuno strumento per intervenire sui cosiddetti Decreti Draghi. Il Decreto in questione (ndr, del 2021) non è mai passato per il CITE”). Invece, il secondo decreto?
Concordiamo con Todde, invece, quando condivide le responsabilità con la Lega (se lei era viceministro, “Giorgetti era ministro”) a dimostrazione della tesi che i problemi sardi non si risolvono alternando i due princpali centri di potere, entrambi interni al mondo coloniale.
La vera partita è tra la popolazione sarda e lo stato italiano con i suoi tentacoli rappresentati dai partiti italiani, sistema nervoso che riceve impulsi dal cervello disfunzionale romano.
Terminata la scadenza per individuare le “aree idonee” (il 29/12/2024), il quadro legislativo sarà completo, e inizierà il caos.
I Comuni interessati al sacrificio, spinti dalle popolazioni, si opporranno fortemente alla legge regionale che si sta scrivendo ora, sarà un trambusto di ricorsi, appelli ed esposti.
Molte amministrazioni locali hanno già votato contro, per cui la volontà statale e di Todde passerà sopra quella dei comuni, azzerandone la volontà. La temperatura del livello della protesta salirà.
Raccogliere le firme fornisce già oggi un termometro dell’umore della popolazione, quasi unanimemente fortemente contrariato, al limite dell’esasperazione.
Le file per i banchetti dei comitati che raccolgono firme in tutta la Sardegna sono indicative del livello di mobilitazione.
Inizierà la vera protesta popolare, che non sarà per forza in mano ai comitati organizzati, partirà la repressione, già in atto da qualche mese con denunce nei confronti di chi bloccava i camion del porto di Oristano per difendere la propria terra.
A questi cittadini deve andare la massima solidarietà. Sarà la storia a scrivere che la denuncia in questo contesto è una medaglia al valore civile.
Una volta definite le “aree da sacrificare”, sarà esaurito il potere di interdizione legislativo, e dunque, rimarrà la protesta popolare e qualche ricorso legale.
I Comitati organizzati avranno, tuttavia, una nuova funzione ancora più alta, se supereranno le tante criticità. Mentre bloccheranno l’arrivo delle pale, dovranno dimostrare prima di tutto a loro stessi, e poi alla società civile, che la dialettica destra-sinistra italiana è nociva, si risolve dentro al mondo coloniale, e crea divisioni nella resistenza della popolazione. Per superarla dovranno alimentare il dibattito interno alla Sardegna, spostando il focus della dialettica tra Sardegna e Italia, per arrivare a ridiscutere con rinnovata forza i rapporti con lo stato italiano, che ha mostrato, ancora una volta, la faccia feroce.
È lo sbocco politico (non partitico) del movimento popolare. Altrimenti, come acqua incanalata ma senza via di uscita, si ritroverà immobile, tendente alla putrefacente stagnazione e, a quel punto, i Comitati non avranno più senso nella forma del coordinamento.
Letture estive per neofiti dell’indipendentismo ai tempi della speculazione coloniale
Un articolo di Zuncheddu sull’Unione Sarda, a cui il direttore Emanuele Dessì ha concesso lo spazio (è ironia, Biolchini non si surriscaldi) mi ha incuriosito per l’uso di una parola, fuori luogo per il personaggio, editore, oltre che immobiliarista, per anni funzionale al colonialismo, prima della svolta Pili (che nel frattempo è stato segnalato all’ordine dei giornalisti per provvedimenti disciplinari).
Dal 2021, Pili ha scritto su basi ed esercitazioni militari, fanghi dalla Puglia, scorie nucleari, inquinamento di Portovesme, Saras, ecc., non parla solo di eolico, non si è svegliato oggi sotto Todde, come sostengono anche alcuni giornalisti che, o dormivano o sono in mala fede.
Semmai Pili, per fugare qualsiasi dubbio su un suo futuro nuovo ripensamento forzista, dovrebbe spiegare il perché della sua conversione alla causa anticoloniale. Una giravolta simile merita qualche spiegazione, per fugare ogni dubbio.
Comunque sia, nell’articolo “Cappuccetto rosso e il lupo cattivo“, la parola che, fuoriuscita da Zuncheddu, suona strana è “podatari“.
Chi erano i podatari, e perché suona strana se detta da Zuncheddu?
Dal sito araldica Sardegna, troviamo una buona sintesi:
“Nel Regno di Sardegna era per delega o procura l’amministratore del feudo per conto del titolare lontano che abitava in città oppure fuori dall’isola.”
Scrive Zuncheddu: “E chi sono i novelli podatari locali? Sono coloro che, consapevoli o meno, favoriscono il branco nei procedimenti autorizzativi, ciascuno dei quali significa deformazione e decadimento paesaggistico e ambientale, archeologico, monumentale e culturale; significa compromissione del potenziale turistico, fonte di reddito crescente anche per paesi e borghi antichi dell’interno, le cui campagne, colline e montagne sono diventate prede da lacerare.” Ripete la parola diverse volte nel resto dell’articolo.
La parola “podatario” è utilizzata spesso nel mondo dell’indipendentismo, probabilmente suggerita per la prima volta da Omar Onnis, per descrivere la borghesia locale compradora che regge il sacco al dominatore di turno.
Da un anno e mezzo, dentro i comitati e gruppi vari di resistenza contro la speculazione energetica, si utilizzano, non so quanto consciamente o meno, vocaboli che fanno parte del bagaglio storico indipendentista, o comunque che utilizzano un punto di vista del mondo dell’autodeterminazione.
“Colonialismo” e “anticolonialismo” sono due esempi di questo tipo, prevedono un rapporto tra una colonia sfruttata (la Sardegna) per i fini di un colonizzatore (l’Italia). Esclude la dialettica basata sugli apparati di potere italiani che si alternano, che si risolve in una diatriba tutta interna al mondo coloniale.
Il termine “Autodeterminazione” dei territori (inteso come persone che li abitano) è utilizzatissimo. Dobbiamo decidere del nostro futuro, riguarda i poteri di governo.
La questione del “paesaggio identitario“, che piaccia o no fa parte della questione indipendentista, non ha bisogno di spiegazioni.
Della questione sarda in chiave “natzionale” se ne parla di frequente. La lotta in chiave natzionale non esclude la lotta di classe interna, ma la rimanda, eventualmente, alla fase successiva all’indipendenza.
Attualmente, in Sardegna, lotta di classe e lotta di popolo già coincidono.
La classe borghese è quella coloniale italica, che comanda e sfrutta l’isola, imponendo decisioni, spesso per decreto, bypassando le prerogative sarde. Non ultimo il decreto sulle Terre Rare.
La borghesia sarda è pressoché inesistente, esistono piccole realtà imprenditoriali di un certo livello, ma la grande industria non è autoctona, come quella in arrivo dell’energia.
Esiste, invece, un popolo succube ed esiste la borghesia compradora sarda, appunto i “podatari” (politici, media, imprenditori e faccendieri vari) che consegnano la sovranità popolare sarda ai segretari di partito italiani.
Per fare chiarezza sui termini, per chi si vuole cimentare nei concetti e nella storia del mondo indipendentista, e per saperne di più, consigliamo questi 5 libri:
– Le ragioni dell’indipendentismo, di Antonio Simon Mossa, Alfa editrice, 2008. Seppur datato, rappresenta un ottimo punto di partenza, da dove tutto è ricominciato. Un genio poliedrico ed eclettico, dal pensiero potentissimo, innovativo architetto, compositore e musicista, poeta e scrittore, cineasta, conduttore radiofonico, grafico e disegnatore, intellettuale e politico, dovrebbe essere conosciuto da tutti i sardi al pari di Gramsci e Lussu.
– Separatismo e terrorismo in Sardegna di Omar Onnis, 2024. Curato da Gazzetta dello Sport e dal Corriere della Sera. Fresco di stampa, lo consigliamo sulla fiducia.
– Pro S’Indipendentzia, di Bachisio Bandinu, Il Maestrale, 2010. Spiega senza forzature termini e concetti dell’indipendentismo.
– Idee di Sardegna. Autonomisti, sovranisti, indipendentisti oggi. Di Carlo Pala. Edito Carocci, 2016.
– La questione nazionale sarda, di Gianfranco Contu, Lilliu Giovanni. Alfa Editrice, 1990
Il patrimonio culturale di Simon Mossa è ancora in elaborazione, qui una recente performance di alcune sue composizioni musicali.
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Immagine: Dall-E
Un commento
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Scusate, proporre di metterli in tutti i tetti delle case e di dare i finanziamenti ai sardi e non alle multinazionali? Se ogni casa fosse dotata di impianto fotovoltaico riusciremmo persino ad aumentare il totale energetico previsto da questa normativa idiota