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Saccargia

Saccargia. Finalmente un’altra campana

Le chiese, si sa, hanno il campanile. E nel campanile sta la campana che, notoriamente ha un suono un po’ monotono. Per questo quando si vuole vedere chiaro in una faccenda si suol dire “ascoltare tutte le campane”, perché ascoltandone una sola ci si rintontisce e basta. Che lo scorso 15 giugno a Saccargia siano arrivati mille o diecimila persone, poco conta, ciò che rimarrà di questo evento è la fine dell’unica campana coloniale che – ogni qualvolta si tratta di affrontare questioni relative a progetti di natura predatoria e imposta dall’alto – suona a martello, intonando l’unica logora marcetta dei regimi coloniali: “si fa così perché questo rappresenta la modernità e il progresso”.

Ogni volta c’è qualcosa da salvare e la Sardegna deve fare la sua parte, una volta servono giovani da sbattere al fronte, un’altra serve disboscare per realizzare la rete ferroviaria del Regno, un’altra ancora serve “ospitare” le basi militari che ci difenderanno dai comunisti. Industrie inquinanti, liquidazione del credito sardo, smantellamento della lingua sarda: non c’è violenza di stato che non sia stata compiuta in nome della modernità, del progresso, dell’interesse nazionale. E la colonizzazione energetica in corso non fa eccezione.

Così, lo scorso aprile, quando il Consiglio di Stato si è espresso con una sentenza in sostegno della linea del Governo Draghi, ha risuonato all’unisono la stessa campana di sempre: a prescindere dalla vicinanza con siti archeologici, è «prevalente l’interesse all’incremento delle fonti di energia rinnovabili». Respinto il ricorso della Regione Sardegna era così arrivato il via libera al progetto di revamping del Parco eolico Nulvi Ploaghe dei noti petrolieri amanti della transizione energetica e del verde della Erg.“Revamping” vuol dire “potenzionamento,  ma in realtà si tratta di abbattere le torri eoliche che già deturpano le colline intorno alla basilica giudicale e sostituirle di sana pianta con mostruose torri d’acciaio alte 200 metri

La campana coloniale ha suonato senza alcun contraltare e ha diffuso nell’opinione pubblica sarda la propaganda del Ministero per la Transizione energetica  che descrive  «l’interesse pubblico all’incremento di produzione di energia da fonti rinnovabili, quale permanente obiettivo primario a livello nazionale e comunitario». Insomma: aprite le porte o ve le sfondiamo! Come fanno i colonialisti dai tempi di Pizarro, Còrtes e dei conquistadores europei.

La campana coloniale non conosce colori politici. Suonava con il Governo Draghi, che vedeva Alessandra Todde come viceministro allo Sviluppo economico e suona la stessa identica nota del Governo Meloni, personaggio a capo di un partito che non sosteneva Draghi. Tutto cambi purché nulla cambi insomma!

Ma il 15 giugno la campana di Saccargia ha suonato finalmente melodie diverse, composite per carità e alcune di esse persino confuse e contraddittorie. Ma vivaddio finalmente una melodia diversa: esiste una parte consistente di sardi contraria a vedere spianati terreni agricoli, colline, aree archeologiche, coste e valli da giganteschi impianti industriali per produrre una energia che non ci serve, che in larga parte non potrà neppure essere esportata e, soprattutto, che non ha deciso alcuna istituzione e comunità sarda.

I sardi si sono svegliati forse dal torpore in cui versavano da decenni e stanno mettendo in discussione che da Roma e Bruxelles non arrivino soltanto magnifiche sorte e progressive, ma, spesso e volentieri, veri e propri pacchi coloniali che è finalmente arrivato il momento di rispedire al mittente?

Per ora registriamo il fatto di vedere i sostenitori della colonizzazione energetica andare di matto. Alcuni hanno rimbalzato compulsivamente sui social immagini di una cava australiana in primo piano evidenziando sullo sfondo minuscole pale eoliche con la scritta in inglese “look how ugly these wind turbines are”, dando ad intendere che a confronto con i danni provocati dai vecchi modelli estrattivisti, la produzione energetica da fonti rinnovabili, qualsiasi sia la metodologia imposta, sia cosa buona e giusta.

Legambiente invece, associazione che assolve la funzione di greenwashing della colonizzazione, ha promosso un convegno a Cagliari dal significativo titolo “La Sardegna in Cantiere”, proprio in concomitanza con la mobilitazione di Saccargia. Come a dire: gli 800 e passa progetti in cantiere ci sono e verranno realizzati e va bene così. A questo evento hanno partecipato anche il neo eletto sindaco di Cagliari Massimo Zedda e l’altrettanto neoeletto assessore all’ambienta Rosanna Laconi, la quale non ha evidentemente ritenuto opportuno che forse sarebbe stata più opportuna la sua presenza in mezzo al popolo sardo in rivolta, piuttosto che in una saletta mezzo piena (si fa per dire) di nomenclatura pseudo ambientalista.

Il mondo dell’informazione ne esce solo parzialmente salvo. Il gruppo Zuncheddu ha seguito passo passo l’evento, come sarebbe normale in un paese normale, in presenza di una forte mobilitazione popolare. Invece il principale quotidiano del nord Sardegna ha scelto di relegare la cosa ad un trafiletto in quarta pagina, senza alcuna copertura sul campo e aprendo a prima pagina con l’addio alla politica del già dimenticato candidato a sindaco del centro destra Gavino Mariotti.

Ma non erano la Nord Corea e la Russia ad oscurare le notizie, a censurare le mobilitazioni popolari e a manipolare l’informazione?

A Saccargia si è comunque arrivati in parte scarichi da notizie non rassicuranti, dopo l’incontro con la governatrice Alessandra Todde intrappolata nella difficile parte di non poter sconfessare l’operato del governo di cui anche lei faceva parte e la linea colonialista del suo partito e di dover comunque fare buon viso a cattivo gioco davanti all’indignazione popolare dei sardi. Terminato il tempo delle promesse elettorali, la governatrice della Sardegna non si dimostra risoluta ad affrontare una prova muscolare con il Governo su alcune questioni fondamentali. Prima fra tutto la battaglia simbolo per il blocco dei progetti di Barumini e Saccargia con la richiesta del blocco immediato dei progetti di Fer (purtroppo autorizzati definitivamente). Che non ci sia alcuna volontà di dare mattana a questi due e veri propri indicibili scempi coloniali, sta il fatto che nessun esponente della Giunta regionale, Todde in testa, abbia fatto capolino nella piana di Saccargia. L’assenza dei rappresentanti della Giunta regionale dalla mobilitazione assume un inequivocabile significato politico.

Ad oggi la Regione Autonoma non ha fatto pervenire al Governo alcuna richiesta di istituire un tetto massimo di GW di energia rinnovabile assegnata alla Sardegna. E quindi resta in piedi l’esercito di 800 richieste di connessione di impianti industriali per un totale di quasi 58 GW di potenza complessiva, vale a dire ben 52 GW di potenza più dei 6 assegnati d’ufficio (e senza alcuna consultazione) dallo Stato alla Sardegna.

Il Re (o la Regina se preferite) è dunque nuda e nessuno può fare finta di non vedere. La colonna sonora di questo disvelamento è ancora una volta la campana di Saccargia che suona a martello.

Da Saccargia esce limpida una richiesta di aprire uno scontro istituzionale con lo Stato centrale: fare valere gli articoli 3, 4 e 5 dello Statuto autonomo, in particolare facendo valere l’articolo 4 che prevede la possibilità per la Regione di emanare norme legislative in materia industriale ed energetica.

Non ci si può nascondere dietro ad un dito ripetendo che la precedente giunta non ha fatto nulla. Lo sappiamo tutti ed è per questo che i sardi non l’hanno rieletta. Non è il momento delle scuse, è il momento di cambiare rotta e di far suonare un’altra musica rispetto alla solita solfa del “ce lo chiede l’Italia, ce lo chiede l’Europa”!

E da Saccargia esce la lezione più importante: abbiamo capito che ad oggi, in Sardegna non ci sono né “sinistra” né “destra” e che la partita non si gioca affatto tra “centro destra” e “campo largo”.

La campana di Saccargia ci fa capire che lo iato reale è tra chi avalla la colonizzazione energetica (legata inestricabilmente a quella militare, culturale, politica) e chi la contrasta.

In questo senso la lotta è l’unica cartina di tornasole per capire le posizioni reali, cioè la reale differenza e non quella immaginata tra chi sta dalla parte dello stato e delle multinazionali e chi invece sostiene le ragioni delle comunità, della democrazia, della giustizia energetica e della sovranità politica del popolo sardo, al di là di ogni vuota retorica (stile alberelli verdi innestati nel “campo largo”).

I dati parlano chiaro: imporre alla Sardegna 800 mega impianti industriali, espropriando terreni agricoli e devastando aree archeologiche, non c’entra nulla con la transizione ecologica.
È un puro esercizio di dominio e come tale va contrastato.

Oggi la partita è questa.
Gli argomenti che Pili gioca pro domo sua e che comunque la Sardegna deve fare la sua parte nella lotta al riscaldamento globale, rappresentano solo una nuova versione delle stesse argomentazioni utilizzate in passato da chi ha disboscato la Sardegna e poi l’ha impoverita con l’estrazione mineraria e infine sacrificata sull’altare della “modernità” industriale e della “sicurezza nazionale”, imponendole industria pesante e servitù militari.

Cambiano le figure delle ombre, ma le mani sono sempre le stesse.

La differenza è tra chi sabato scorso era a Saccargia (o comunque ha sostenuto la mobilitazione) e chi, per un motivo o per l’altro, invece tifa per la quarta colonizzazione nascondendosi dietro ad un dito colorato di verde. 

Che qualche blogger abbia definito la storica mobilitazione di Saccargia un «fallimento» inscenato da «professionisti della protesta in servizio permanente» è la dimostrazione che il movimento sta iniziando a dare fastidio. Quindi avanti così. Prossimo appuntamento Barumini?


Foto: Cristiano Sabino

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