Soru: rivoluzione gentile o gattopardo?
de Cristiano Sabino
Se una notte d’inverno (di un anno fa)..
Caro Ivan, ho letto la tua come sempre “puntuta” S’Imprenta e ne ho apprezzato il finale che riecheggia in qualche modo i miei ragionamenti sul “sardismo meticcio”. Ma andiamo al sodo. Nel tuo “La rivoluzione strisciante delle elezioni sarde 2004” (S’Indipendente, 6 gennaio 2024), a partire dal titolo, sostieni una tesi che trovo fumosa. Scrivi che «il centro sinistra in Sardegna si sta sciogliendo come neve al sole» e che «la cosa principale è che sta avvenendo su un tema caro agli indipendentisti. Il concetto di classe dirigente sarda selezionata dai sardi, portato avanti opportunisticamente o meno, sta entrando nel linguaggio diffuso e probabilmente si sta rafforzando come prassi politica».
Sei proprio sicuro che sia così?
Ti avrei dato ragione se una notte d’inverno (almeno) di un anno fa Soru avesse avuto un motto di coscienza, fosse trasalito improvvisamente in un sussulto morale, avesse avuto uno scatto d’orgoglio e quindi avesse maturato la decisione di rompere le uova nel paniere del partito che lui ha contribuito a fondare (proprio sulle ceneri del suo primo “Progetto Sardegna”) su uno dei diversi dossier coloniali che attanagliano la Sardegna.
Se Soru avesse dato battaglia su uno qualunque dei temi scontati che riguardano la stragrande maggioranza dei sardi, come per esempio sanità, trasporti, scuola, occupazione militare, colonizzazione energetica o qualunque altro tema fondamentale che sancisce la sudditanza dei sardi e il degrado economico e civile della nostra terra, allora la sua candidatura avrebbe assunto – almeno formalmente – una parvenza di dignità. Una parvenza, perché anni di organicità coloniale non si cancellano certo con un anno da leoni. Ma sarebbe stato qualcosa, si sarebbe aperto un dibattito, ci sarebbero stati margini per intervenire e ribaltare il rapporto Signore-servo che caratterizza la “coalizione sarda” .
Una rivoluzione che non mette paletti, che non ha direttrici sociali e politiche chiare, e che dice si a tutti purché sia, mi spiace dirlo (e spero di non sbagliarmi) non è una rivoluzione, ma una mera operazione di maquillage!
Cos’hanno a che fare Azione e + Europa da una parte con Rifondazione Comunista? E qual è il collante tra Liberu, Progres e Sardegna chiama Sardegna? E cos’è oggi Progetto Sardegna rispuntato come un fungo ormai andato perché fuori stagione? Progetti, cammini condivisi, visioni della società, dei rapporti internazionali, della questione sarda, del metodo di fare politica? Niente di tutto questo.. In tutti i casi la risposta è sempre e solo il personaggio “Renato Soru”, il grande gattopardo!
Mi dirai che il tuo discorso non si riferisce a Soru che nel tuo articolo non citi neppure. Si, ma questa “rivoluzione strisciante” non casca dal cielo, avviene – se avviene – perché Soru ha calato il suo poker d’assi e si è candidato, perché il PD a Roma non ha fatto il suo nome. Da lì tutta la storia delle primarie, della democrazia, della “rivoluzione gentile”, della “coalizione sarda”. Quindi parlare di “rivoluzione strisciante” non è possibile senza parlare di Soru.
Giustamente fai un passaggio sulla “domanda di democrazia dal basso” e sulla “forte domanda di partecipazione politica che non si riversa nei partiti o nel voto”. Bene, la mia tesi è che a questa domanda nessuna coalizione presente da alcuna risposta, se non appunto il gattopardismo della “coalizione sarda”. Su quelle di destra-destra e di destra-PD, rifletterò in seguito, non presentando alcun segno di discontinuità, nemmeno apparente rispetto alle solite operazioni di gestione del potere in senso schiettamente coloniale e subalterno.
Lasciamo per un momento Azione e + Europa la cui presenza basterebbe a gettare un’ombra di vergogna sul carattere “progressista”, “indipendentista” e “pacifista” della “coalizione sarda” essendo due partiti guerrafondai, ultraliberisti e centralisti fino al midollo. Per non parlare del recente sostegno della sigla di Renzi..
Rifondazione Comunista e Progres avevano lanciato un progetto comune che doveva essere il “secondo polo”, un progetto autonomo rispetto alle coalizioni coloniali. Quel progetto è andato al macero non si sa bene perché e poi, senza troppe spiegazioni, ecco che ci si ritrova insieme sotto l’ala protettiva di patron Tiscali. Sarò all’antica, sarà che per me fare politica è condivisione di percorsi, è riferimento a basi sociali, è dialettica a viso aperto, è mettere paletti e non “portare in dote” come ha scritto RC in un suo recente comunicato o “contaminare dall’interno” come spesso si usa dire in questi casi. Ma proprio non riesco a vedere nessuna “rivoluzione strisciante”.
Non c’è alcuna rivoluzione perché la candidatura di Soru non è arrivata sulla cresta di un “procés”, come dicono in Catalunya, cioè di un percorso politico nella società o delle pulsioni al cambiamento e alla disarticolazione del blocco di potere che ha saccheggiato l’isola negli ultimi decenni, facendo scempio dei nostri diritti sociali, civili, economici, ambientali e culturali. In seno ad una mossa politicamente egocentrata di un noto dirigente del PD che ora molti del nostro ambiente chiamano “Renato”, come fosse l’amicone di sempre.
Lo capisco, è la fase della gioia, quella in cui si ha la sensazione di fare la storia, di essere protagonisti perché finalmente i giornali padronali si accorgono di te e riportano le tue idee, ma ci siamo già passati mille volte. Ricordi gli altri Papi stranieri? Quelli che non avrebbero mai mollato, perché ormai “contaminati dall’interno”? I vari Antony Muroni, Andrea Murgia, Mauro Pili, per non citare anche i vari Balata locali?
Non è che voglio citarmi per forza, ma quando lo scorso primo agosto è stato diramato un comunicato firmato da diverse sigle del panorama politico sardo – tra cui diverse che ora stanno nella “coalizione sarda”, per proporre «un’alternativa unitaria e antagonista al cartello di partiti oggi presenti in Consiglio regionale», ho contribuito a scrivere un appello, pubblicato sul Manifesto Sardo (Aberides sas ghennas, 12 Settembre 2023) dove si apriva una linea di credito al “secondo polo”.
Ma il nostro non era affatto un assegno in bianco. Si puntualizzavano due punti fondamentali, quali l’«essere realmente attrattivi e alternativi al sistema coloniale rappresentato da tutti soggetti che si passano la palla da trent’anni a questa parte» e «aprire spazi di elaborazione democratica a tutte quelle realtà che, spesso in solitudine e senza copertura istituzionale, garantiscono l’unica opposizione al regime della speculazione, del malaffare, dell’abbandono, dell’utilizzo bellico della nostra terra, dello sfruttamento delle persone e dei territori della Sardegna». Ecco, per me il punto è questo qui.
Tra tutti i firmatari del “secondo polo” solo due organizzazioni si sono però sottratte all’abbraccio mortale di Soru che fa scempio di questi due fondamentali principi: i Rossomori e Potere al Popolo. I Rossomori animeranno una lista sganciata da tutte le coalizioni con altri soggetti, Sardigna R-esiste e Potere al Popolo semplicemente ha comunicato che non parteciperà alle elezioni.
Non mi interessano neppure le ragioni e sai benissimo che sono stato sempre lontano da queste sigle. Registro solo il dato che evidentemente praticare la discontinuità con i vari barones e relative clientele che si passano la palla da venti – trent’anni e il coinvolgimento reale di quelle esperienze democratiche che ancora praticano forme di democrazia sui territori, a dispetto delle dichiarazioni, non erano affatto punti condivisi.
Si perché Soru è uno di quei tennisti che si passa la palla da trent’anni e che ha contribuito a liquidare ogni processo realmente partecipativo e democratico in questa terra. Assai peggio dei precedenti papi stranieri che le sigle dell’autodeterminazione avevano scelto in rappresentanza. Soru ha condiviso ogni singola scelta, ogni singola macelleria dei diritti sociali e politici di questo popolo del “suo” (visto che è tra i fondatori) PD. Fare un elenco completo sarebbe lunghetto, ma insomma qualche nota biografica utile a sfuggire dalla sindrome (evidentemente dilagante) del pesce rosso imprigionato nella sua bolla e in un presente senza storia vale la pena darla.
Era il 2016 quando il capo della rivoluzione gentile si schierò per la controriforma costituzionale di Renzi che di fatto avrebbe trasformato il Parlamento in una camera di oligarchi e che avrebbe tramutato la timida autonomia della Sardegna in un neocentralismo ancora più asfissiante. Allora il sardista progressista Soru e Renzi erano entrambi nel PD e oggi si vuole far passare la sua candidatura come una questione democratica, una «rivoluzione strisciante» che pone la questione della scelta dei candidati da Roma?
Altre reminiscenze da annotare e ricordare ai molti amici anticapitalisti, sardisti, indipendentisti, ecologisti, attivisti a vario titolo che lo sostengono sono il Soru pro metano, il Soru fondatore di Abbanoa (IRS ne aveva fatto una bandiera con lo slogan “Abbalibera” e ora sta col fondatore della disprezzata SPA), il Soru della spazzatura della camorra accolta al Porto Canale per “solidarietà nazionale”, il Soru campione di assenze con il 97,13% delle votazioni in Consiglio Regionale, il Soru accabbadora dell’artigianato sardo con la liquidazione, senza alternativa, dell’ISOLA. «Si ma che vuol dire – ribatterai – io faccio un discorso sociologico. Prendo atto che il gruppo di potere si è spaccato su un diktat di Roma!». Ok, però, insomma, possiamo dimenticare che questo candidato sardissimo, sostenuto da una sorta di Fronte di liberazione algerino, nell’ottobre 2014 diviene segretario del Partito Democratico in Sardegna quando, appena pochi mesi prima, nel giugno dello stesso anno, il Governo Renzi (allora segretario del PD) aveva equiparato le aree militari agli indici di inquinamento delle zone industriali? Non ce lo ricordavamo vero ?
Con il decreto 91/2014 chiamato “Ambiente Protetto” dal Ministro Galletti i poligoni militari e le aree controllate dall’Esercito, sono stati equiparati ad aree industriali, per le quali la legge prescrive soglie di contaminazione molto più alte. Il rivoluzionario gentile che ha fatto? La rivoluzione? No, ha taciuto come davanti a tutto il resto ed è diventato segretario regionale di quello stesso partito! Che fai non ti fidi di un rivoluzionario sardista e antimilitarista così? Se oggi i militari possono fare il bello e il cattivo tempo nei poligoni sardi è anche sua responsabilità.
Forse il problema risiede nel fatto che attribuiamo alla parola “rivoluzione” due significati diversi. Da Gramsci ho imparato che ci sono anche le “rivoluzioni passive”, cioè quelle “modernizzazioni” che avvengono in maniera tale da escludere il popolo, i gruppi subalterni, in una parola dall’alto.
Non so se in questo senso Soru sia una “rivoluzione passiva”, nel senso gramsciano del termine o un semplice fuoco di paglia come appunto i tanti papi stranieri a cui i movimenti nominalmente antagonisti al colonialismo e al capitalismo si sono via via affidati. Ma sicuramente l’operazione “Soru” si gioca sulla testa dei sardi che, ancora una volta, non sono stati minimamente coinvolti in un percorso politico democratico, popolare, comunitario.
Sicuramente non vedo alcun protagonismo sociale, nessuna conflittualità strutturale tra un blocco “sardo” e il sistema coloniale, ma solo una (abbastanza squallida ed egocentrica) resa dei conti interna ad un medesimo ceto di potere.
Mi si risponderà (non dico tu eh!) che il progetto continuerà, che gli indipendentisti e gli anticapitalisti sono maggioritari e che comunque bisogna accontentarsi perché dopotutto sono soltanto elezioni, che il gioco è truccato e che non si poteva fare di più.
E invece si poteva fare di più. Si poteva e si doveva preservare la propria autonomia, con un candidato che gettasse il guanto di sfida anche a Soru, protagonista come gli altri della disastrosa condizione subalterna a cui è stata ridotta la Sardegna e sbugiardare l’inconsistenza della sua “rivoluzione gentile”.
Invece si è preferito il gattopardismo e il trasformismo. Per carità scelte legittime, ma da chi vorrebbe liberare la Sardegna mi sarei aspettato più coraggio e invece ho assistito personalmente (perché alle riunioni del passaggio dal “secondo polo” al fiancheggiamento a Soru ho preso purtroppo parte) al mercante in fiera dove, ti assicuro, mai si è parlato di programmi, di idee, di valori, di prospettive politiche..
Un altro argomento da battere in breccia è quello del “o ora o mai più” (anche qui non parlo certo di te), ma di una vulgata che sinceramente ha stancato. Basta con questo millenarismo d’accatto che serve solo ad abbracciare quelli che Crepet definisce gli “spacciatori di comodità” e – aggiungo io – i “dispensatori di illusioni ad orologeria”.
La Sardegna è una colonia italo-piemontese dal 1713. È stata distrutta e devastata tante volte e oggi non abbiamo il potere di invertire le cose da un giorno all’altro, ma abbiamo quello di costruire un percorso diverso dal letargo di 4 anni e del sistematico risveglio a qualche mese dalle elezioni. Non ci sono bacchette magiche e non ci sono salvatori che arrivano con la cavalleria. E non ci sono manco rivoluzioni gentili o striscianti in atto. C’è solo tanto bisogno di fare ciò che dici in coda al tuo articolo e che qualche piccola realtà territoriale e comunitaria sta faticosamente provando a fare: ripensare l’autodeterminazione « radicalmente, sia nelle sue forme organizzative, sia nei suoi ideali, partendo da una rivisitazione di Simon Mossa (ormai datato) coinvolgendo filosofi, poeti, artisti, musicisti, registi, intellettuali, giornalisti, attivisti, comitati, associazioni, ricercatori, amministratori, aziende e lavoratori. Non per forza solo sardi».
Come sai chiamo questa pratica comunitaria, inserita nel fronte più alto del nuovo vento de-coloniale, “sardismo meticcio”. Ma qui comincerebbe un altro ragionamento e non voglio certo abusare del tuo tempo.
AGGIORNAMENTO: nei commenti la replica all’articolo.
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Immagine: Dall-E
Un commento
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Caro Cristiano, grazie per aver replicato al mio articolo.
Ci tengo a precisare la mia posizione, permettimi di dirtelo, che secondo me non hai messo a fuoco perfettamente. Probabilmente non mi sono spiegato bene o non sono riuscito ad uscire dalla trappola insita in alcune dinamiche, tipo il tifo da stadio (non tuo) sul nome del candidato, automaticamente ricercate, anche se assenti dal ragionamento.
Oppure con la foga di ancorarmi in rigidi schemi mi hai catalogato a tuo uso e consumo 🙂
Per capirci hai scritto 21 volte Soru, 4 volte Progres, 2 volte Rossomori e Potere al Popolo, 1 volta irs. 0 volte Truzzu, Todde e Solinas. Come rilevi tu stesso io non ho nominato una sola volta Soru. 😀
Schematizzo la mia posizione, per guadagnare in chiarezza:
1. Candidati a Roma. La “rivoluzione strisciante” a cui mi riferisco non è la disarticolazione (che non durerà tanto) ma la richiesta che la scelta sui candidati avvenga in Sardegna e non a Roma.
Sul termine “rivoluzione”, tra il mio e il tuo articolo, appare con tre diverse accezioni. Se non disambiguiamo non ci capiamo.
La “rivoluzione” gentile di Soru, che non so bene cosa sia.
Tu parli di “rivoluzione” dal punto di vista sociale, antagonista (ma esistono tanti modi di intendere il termine “rivoluzione”, che esisteva anche prima di Marx. Non c’è l’esclusiva).
Io ho parlato di “rivoluzione” strisciante (che non c’entra nulla con la parola “rivoluzione” di Soru o con la tua) riferita al fatto che la novità a queste elezioni è che si chiede che i candidati siano scelti in Sardegna. Soru non è l’unico ad averla (opportunisticamente) chiesta. La questione è entrata anche a destra.
Infatti, sull’esperienza Soru, hanno apparecchiato per bene il teatrino e, se pur scelto a Roma, a Cagliari hanno solo ratificato Truzzu, facendola apparire come una decisione. Hanno capito che la questione poteva essere problematica, ma l’hanno risolta molto più furbescamente. Poi Solinas ha invocato Roma (sigh).
Non importa come è nata la questione, ma importa che è lì.
Non ricordo una cosa del genere prima d’ora e, se dovesse diventare prassi comune, sarebbe un primo piccolissimo segnale: la politica sarda deve essere indipendente dalla politica italiana. I partiti italiani sono le cinghie di trasmissione del colonialismo italiano e i partiti di italiani in Sardegna sono gli strumenti necessari per dare parvenza democratica al colonialismo.
Detto questo, non mi aspetto che sia qualcosa di definitivo e acquisito. Ma qualcosa da sostenere e che sia necessario dare forma. Appunto ne scrivo.
2. Disarticolazione. Ho scritto della questione disarticolazione del sistema coloniale italiano (a sinistra come a destra) in corso. Ho precisato che a destra trovano sempre l’accordo alla fine, con un grosso MA, che aggiungo ora: secondo me il Psd’Az (e forse anche la lega) tornerà con la destra, chiederà il voto per la sua lista, ma chiederà il voto disgiunto e appoggerà il candidato Soru e non Truzzu. Voto disgiunto, vendetta fatta.
Per farmi capire meglio, se Lega e Psd’Az (ma poteva essere anche Lega-Forza Italia) avessero fatto un polo separato da quello di Truzzu, l’avrei salutato con entusiasmo, come disarticolazione dei partiti italiani.
Ovviamente questo non fa di me né un leghista, né un forzista, né un Sardista (del Psd’Az).
3. Indipendentisti. L’indipendentismo (che in un altro articolo definisco morto, che dunque un morto non muore due volte, e che quindi ha deciso opportunisticamente di entrare nel taxi-Soru) non c’entra nulla con la questione precedente. Mi concentro sulla scelta dei candidati e sulla disarticolazione dei partiti italiani. Non mi aspetto nulla di indipendentista da Soru, i cui discorsi, anzi, sono impregnati di linguaggio italianista.
Con Soru potevano pure non esserci indipendentisti, che il mio ragionamento precedente non sarebbe cambiato. Il tentativo di aggancio con Soru è un lancio di dadi alla roulette. A freddo.
Invece, per entrare in tema indipendentismo, (e solo in questa parte, l’articolo entra nel merito dell’alleanza degli indipendentisti con Soru e con la Todde, non so se è chiara la sfumatura, cioè entrano solo dal POST 25 febbraio) il dopo elezioni è quello da cui ripartire. Parlo di “rivoluzione” nel campo indipendentista, in riferimento alla fine del concetto di “unità indipendentista”, o “Casa comune” (idea di Angelo Caria) specificando che è esploso quel concetto. Quel concetto oggi non ha più senso.
È necessaria una rifondazione, perché non si può tornare alle vecchie parole d’ordine, ma bisogna elaborare qualcosa di nuovo dal punto di vista dei contenuti (il tuo “sardismo meticcio” va sostenuto e la discussione allargata) e dei contenitori.
Credo che il concetto di “Casa Comune”, “Fronte Comune”, ecc siano morti con la morte di ADN e sepolti con l’alleanza con Soru, anche tenendo conto del fatto che i partiti indipendentisti rimasti in piedi non sono più così tanti.
Nel post elezioni S’Indipendente e ANS devono riuscire ad aprire un dibattito proprio su questo.