La rivoluzione strisciante delle elezioni sarde 2024 – S’Imprenta, rassegna stampa dalla colonia
La novità di queste elezioni è che sono saltati gli schemi, sia per i partiti italiani che per gli indipendentisti.
Stiamo vedendo passare una piccola rivoluzione sotto il nostro naso. Proviamo a leggerla.
Il centro sinistra in Sardegna si sta sciogliendo come neve al sole.
Ma la cosa principale è che sta avvenendo su un tema caro agli indipendentisti.
Il concetto di classe dirigente sarda selezionata dai sardi, portato avanti opportunisticamente o meno, sta entrando nel linguaggio diffuso e probabilmente si sta rafforzando come prassi politica.
Il centro sinistra si è disarticolato fino a duplicarsi in due spezzoni.
Da anni il PD sardo parla invano di creazione di un partito federato senza mai riuscirci. Forse ormai non ha neppure più senso: il PD si è liquefatto.
La nascita di Progetto Sardegna ha spaccato in due l’ex partito delle primarie. Dopo le preoccupazioni dei militanti del PD del Sulcis, una trentina di persone, tra cui alcuni pezzi grossi, come Obinu e Romina Mura, hanno lasciato il PD.
Dato che i cinque stelle non hanno mai avuto forza locale, viene da chiedersi su cosa poggia la candidatura della Todde. Esclusi i due partiti principali, le altre 9 liste non hanno la struttura organizzativa tale da avere una forza elettorale importante.
Massimo Zedda l’anno scorso accennò al confederalismo democratico, poi non ne parlò più. Segno che il csx è alla ricerca di nuovi ideali, ma senza approfondire più di tanto, magari tra uno spritz e l’altro. Un riformismo dai tempi biblici.
In generale la sinistra in occidente, non solo in Italia e in Sardegna, ha perso i suoi punti di riferimento ideali/ideologici.
Rispetto al globalismo culturale e alla finanza mondiale sono risorti i nazionalismi xenofobi di destra. Dunque, la società non si è “liquefatta”, ma è la sinistra ad aver trascurato i concetti di autodeterminazione (concetto nato a sinistra) e di democrazia dal basso, persa dietro ad un internazionalismo ambiguo. Il resto del mondo non è un monolite culturale, ma un puzzle di culture locali.
Siamo “cittadini del mondo” in quanto sardi.
La domanda di democrazia dal basso è emersa in maniera forte con la nascita di tanti Comitati territoriali contro la speculazione energetica, che non sono contro la transizione, che deve avvenire con il consenso delle comunità.
Esiste una forte domanda di partecipazione politica che non si riversa nei partiti o nel voto.
Se a sinistra ci sono due candidature, la destra ha scelto Paolo “Trux” Truzzu.
Ufficialmente la scelta è avvenuta in Sardegna, ma il nome circolava a Roma da parecchi mesi. Diciamo che a Cagliari è stata ratificata, non scelta. Altamente probabile che, dopo le vicende a sinistra, d’ora in avanti le cose si facciano sottotraccia con maggior discrezione.
È proprio Solinas, che del Psd’Az dovrebbe stare attento a queste dinamiche e soprattutto al linguaggio utilizzato, a chiedere l’intervento esterno da Roma-Milano: “Il valore dell’unità della coalizione si costruirà grazie ad un ulteriore passaggio sul tavolo nazionale“.
Al di là del termine “nazionale”, che dalle parti dell’indipendentismo/sardismo si riferisce alla Sardegna (e statale o plurinazionale all’Italia) Solinas chiede l’intervento dall’esterno per una candidatura, nella peggiore della tradizione italianista.
Per cui, mentre nei partiti italiani si inizia a chiedere autonomia decisionale, nel Psd’Az si chiede l’intervento romano.
Non c’è limite al punto più basso de su Partidu Sardu nella gestione Solinas.
Non si spaccheranno, la destra riesce sempre a ricomporsi all’ultimo (vedi Lega e FI a sostegno di Draghi e Meloni all’opposizione, poi si sono ricomposti in cinque minuti senza spiegazioni). A Solinas verrà offerto un seggio sicuro in Europa, in Lombardia.
Ma per ora confermano lo strappo.
Leggere le parole del leghista Crippa per capire le squallide logiche romane di spartizione di quel che resta della Sardegna:
“Prima delle Europee – spiega Crippa – vanno al voto quattro regioni e la Lega è per riconfermare i presidenti uscenti: Solinas in Sardegna, Marsilio in Abruzzo, Bardi in Basilicata e Cirio in Piemonte. Se così non fosse anche per una sola regione, si riaprirebbero i giochi e il tavolo su tutte le altre regioni.”
La timida candidatura di Alessandra Zedda, annunciata proprio sulla base di una decisione non sarda, ma romana, per ora viene confermata.
A destra, gli unici, oltre alla Zedda, ad aver posto la questione del candidato scelto in Sardegna sono stati i Riformatori, perché non hanno referenti romani.
Hanno proposto, come pure i Progressisti, le primarie per legge, che di per sé, se studiata con una logica politica e istituzionale coerente, sarebbe una rivoluzione.
Sarebbe la fine dei candidati scelti da Roma.
Non è una lettura corretta della realtà in corso? “Esistono solo interpretazioni”, naraiat cuddu, per cui alcune “realtà” diventano tali solo se esiste una narrazione a renderla tale, a darle forma e sostegno. Prende vita solo se narrata e se fatta emergere.
Certo, alcune posizioni politiche rientreranno a casa in futuro, ma ora questa disarticolazione del mondo italianista va sostenuta e alimentata in tutti i modi.
Il successo della disarticolazione si avvererà solo se avrà successo elettorale.
La rivoluzione ha toccato anche il mondo indipendentista e lo ha scritto chiaramente Sardigna Natzione nel suo comunicato di addio alle elezioni 2024.
Dopo l’esperienza di Autodeterminatzione, che aveva inizialmente raccolto 9 partiti, realizzando quella che era l’idea di Casa Comune dei sardi di Angelo Caria e punto di riferimento storico di SNI, il mondo indipendentista è esploso, non è riuscito a lavorare insieme nei quattro anni precedenti alle elezioni e nell’ultimo anno diversi tentativi sono crollati al primo starnuto.
Dopo gli indipendentisti di Vota Sardegna (lista che include iRS, Progres e Sardegna chiama Sardegna) Liberu e il battitore libero Maninchedda, con la Coalizione Sarda (che nel frattempo ha accolto anche Azione e Rifondazione Comunista) A Innantis annuncia la volontà di restare con il Campo “Largo” e di unire i simboli con il Movimento Cinque Stelle.
Non è una lista civica, ma la fusione dei due simboli. Sedda, da semiologo, avrà pensato bene di non rinunciare alla notorietà dei due simboli (anche se il suo è meno noto).
Gli effetti estetici sono terribili, da immaginarsi come frutto del lavoro di un grafico obbligato al bilancino politico, più che ai canoni estetici.
Difficile però credere che sia un’operazione di medio-lungo termine.
Alla presentazione sono emerse parecchie contraddizioni e tanti stereotipi sull’indipendentismo, piuttosto imbarazzanti.
Licheri, faccia tosta come pochi, trova il coraggio di parlare di indipendenza energetica delle comunità con la Todde a fianco, viceministra con deleghe all’energia durante il governo Draghi, responsabile dell’assalto eolico e del Tyrrhenian Link.
La stessa Alessandra Todde sottolinea con la sicura naturalezza di essere credibile: “Abbiamo la necessità di essere noi a determinare la nostra politica energetica“. Lo dice senza battere ciglio. Oppure il “noi” è riferito all’Italia.
La Todde parla di necessità di autodeterminazione, ma fino a poche settimane fa diceva che in Sardegna non ci sono le condizioni per l’autodeterminazione (attenzione, non per l’indipendenza, che è un obiettivo non immediato, ma nemmeno per l’autodeterminazione, che contiene un “processo verso“).
Ecco il virgolettato:
“La domanda che però dobbiamo porci è la seguente: il popolo sardo ha condizioni, strumenti e conoscenza sufficienti per autodeterminarsi?
Noi siamo un popolo che, in diverse parti del proprio territorio, non ha le condizioni di base per poter prosperare, e spesso ci mancano perfino le condizioni per vivere dignitosamente. Come pensiamo, quindi, di poter ambire all’autodeterminazione?“
Parlando di lingua sarda, la Todde per l’occasione inizia a sfoggiare un tentativo di accenno in limba, durato qualche secondo, ma subito interrotto per evitare brutte figure, per poi riprendere a parlare la lingua italiana con accento continentale (non è un problema, intendiamoci, ma contribuisce a rendere il siparietto di chi si converte all’ultimo minuto al “sardismo elettorale”).
Esiste ‘IL movimento indipendentista‘ (unico) o tanti movimenti indipendentisti?
O meglio, all’esterno viene percepito come movimento unitario o come un mondo differenziato?
Nel primo caso gli errori di un singolo partito danneggiano tutti quanti, per cui potrebbe aver ragione chi si scaglia contro chi commette errori.
Nel secondo caso, ognuno sbaglia per sé, e non ha senso scagliarsi dal pulpito contro chi la pensa in maniera diversa o cerca strade diverse.
C’è da dire poi che i partiti indipendentisti rimasti in piedi oggi non sono più così tanti, e in pochi sono rimasti fuori dalle coalizioni più grandi. Di questi, solo i Rossomori stanno cercando di presentare una lista indipendente, chiamata Sardegna R-esiste.
Se il mondo italianista ha recepito alcune parole chiave dell’indipendentismo, quest’ultimo ha rotto alcuni tabù nei confronti del mondo italianista.
L’indipendentismo finora ha raccolto alcuni risultati nel lungo termine, rendendo senso comune molte sue battaglie. Una lenta rivoluzione strisciante per la società sarda.
Il tentativo di farlo dalla stanza dei bottoni è un cambio di passo fondante qualcosa di nuovo.
Si è chiuso un ciclo, è evidente. I partiti indipendentisti, dopo vari flop elettorali, hanno mutato le parole d’ordine e ciò che era impensabile fino a qualche mese fa è divenuto reale e maggioritario nell’area.
Una cosa è certa. Dal post elezioni l’indipendentismo va ripensato radicalmente, sia nelle sue forme organizzative, sia nei suoi ideali, partendo da una rivisitazione di Simon Mossa (ormai datato) coinvolgendo filosofi, poeti, artisti, musicisti, registi, intellettuali, giornalisti, attivisti, comitati, associazioni, ricercatori, amministratori, aziende e lavoratori. Non per forza solo sardi.
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Immagine copertina: AI Dall-e
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